U
n pioniere è uno che si muove davanti a tutti, battendo strade appena percepibili, segnando sentieri nel deserto, chiodando pareti rocciose mai state intaccate. Un pioniere è un visionario, uno che vede oltre la realtà. Un pioniere è anche uno che scommette, sulle sue capacità per prima cosa. C’è sempre un motivo specifico, una fattispecie, un’impresa dietro un pioniere: l’impresa che ha reso Will Eisner il pioniere del fumetto è Contratto con Dio.
Quattro racconti, personaggi sempre diversi ma stessa ambientazione, cioè Dropsie Avenue, location diseredata che sembra saltata fuori da un disco nostalgico di Tom Waits. Subito ci viene presentato il palazzo attorno al quale Will Eisner svilupperà le sue trame: il caseggiato numero 55. Dire Dropsie è un po’ come dire “perdente”, colui che ha “droppato”, mollato. E tutti quelli che abitano quella specie di “nave da crociera di cemento” al numero 55 sono dei perdenti, dei reietti della società, ultra vitalizzati dalla ricerca del riscatto che spetta a chiunque affitti un pollaio nel Bronx. Contratto con Dio viene realizzato nel 1978, ma le storie che lo compongono sono dei primi anni trenta, anni animati da chi dirotta la propria esistenza verso gli Stati Uniti, la terra delle mille opportunità. Il mondo di Dropsie Avenue è il mondo di Eisner, un mondo molto personale perché fatto di ricordi, un mondo vero che solo l’utilizzo dell’immagine trasforma in finzione. Mura sgarrupate, panni stesi, grondaie storte, vociare indefinito.
Prima di questo quartetto di racconti, di questo sandwich impeccabile, per una dozzina d’anni, dal 1940 fino al 1952, Will Eisner aveva dato forma e vita a The Spirit, un eroe entrato nella storia del fumetto. Scelte registiche rivoluzionarie, invenzioni visive seminali al servizio di un affascinante quanto implacabile investigatore, uno sbirrissimo con la mascherina, senza poteri speciali anche se terribilmente resistente. Non esattamente il supereroe in calzamaglia che ci si potrebbe aspettare comprando un volume della DC Comics, ma più una super-entità, un’emanazione della metropoli, uno spirito, appunto, del focolare, che protegge e serve la sua città al di sopra di tutto e di tutti. Ed è sempre uno spirito quello che anima Contratto con Dio, uno spirito però più concreto, più lercio e sgualcito, che scaturisce direttamente dalle costole fumose di una città-bettola come il Bronx.
Quattro racconti, dunque. Il primo è quello che dà il nome alla raccolta. È il più doloroso, perché prende le mosse dalle esperienze dello stesso Eisner, che perse Alice, la giovane figlia, ed ebbe non pochi problemi ad elaborarne il lutto. La storia snocciola la parabola di Frimme Hersh, il quale da bambino stila i termini di un contratto che vuole stipulare nientemeno che con Dio – lo butta giù su di una pietra, proprio come I Comandamenti; firma e controfirma che sarà un ebreo retto e rispettoso della torah, in cambio ovviamente vuole solo essere protetto da Dio. Cresce solo, senza moglie, ma pieno di affetto per i poveri e i deboli, dedicando tutto il suo amore alla figlia (adottiva), la quale però gli viene strappata improvvisamente da una malattia. Di chi è la colpa? Di Dio? Oppure c’era qualcosa di errato nel contratto che Frimme aveva sottoscritto anni prima? Forse c’è bisogno di riscriverlo, di codificare il rapporto tra l’Uomo e il suo Dio in maniera più trasparente. Se non è troppo tardi, ovviamente. Giuro che non esiste niente di più triste della pioggia che allaga le prime sequenze di questa storia, pioggia che batte sulla spalla di Frimme Hersch come se volesse privarlo dei suoi dolorosi ma consolanti pensieri, che batte sul suo cappello mentre torna a testa bassa dal funerale della figlia.
Ed un cappellaccio, da accattone, è quello del protagonista de Il cantante di strada, il secondo racconto del volume. Un cappello che deve riempirsi di spicci. Il cappello di un cantante vagabondo che arranca tra il bancone dei bar e i miserabili vicoli dietro Dropsie Avenue. La sua voce colpisce l’orecchio giusto e gli viene offerta la tanto agognata possibilità di riscatto, ma il suo cuore non è abbastanza saldo. Forse, come ne La Leggenda del Santo Bevitore, il nostro ubriacone non vuol cambiare, sta bene così, basta la bottiglia a farlo scendere a patti con il degrado.
In Super invece, la terza storia e la mia preferita, nel degrado ci si muove schiettamente, senza sotterfugi. Mr. Scuggs è il roccioso sopraintendente del numero 55, comunemente detto Super, quasi come Superman, ma che dell’uomo d’acciaio non ha nulla, come tutta Dropsie Avenue d’altra parte. Il compito del Super è quello di riscuotere l’affitto e ridurre al minimo le lamentele degli affittuari, un personaggio insomma a metà tra l’aguzzino e il venduto. Senza un briciola di accondiscendenza o di pietà il Super serpeggia come una murena nei bassifondi del palazzo. La sua stanzetta nel sottoscala coperta di immagini pornografiche è il vessillo di un asociale deserto interiore. La nemesi di un tale ignobile personaggio è l’innocenza, che però gli busserà ben presto alla porta. E che lo fregherà, dato che quando l’innocenza gioca sporco non la batte nessuno. Sembra quasi di sentire Bernard Herrmann, la sua colonna sonora di Taxi Driver, farsi strada tra le vignette dell’epilogo di questo episodio.
Il quarto capitolo ci porta in un Cookalein, lontano da Dropsie Avenue ma al cuore della sua miseria. Come dire che i perdenti se lo portano nel cuore, nell’anima, nella carne, il segno avvilente del loro stigma esistenziale. In vacanza – se vi siete mai chiesti come può essere la vacanza di un miserabile, Eisner risponde anche a questa arguta questione – gli abitanti dello stabile numero 55 ingarbugliano, rischiano, sconfinano, aprono giochi e chiudono storie di una vita in poche pagine, con un ritmo ed una crudeltà che una serie di Netflix può solo sognare.
Contratto con Dio, arcinoto in tutto il mondo ma, secondo chi scrive, ancora poco letto in Italia, è il capolavoro dei capolavori, capostipite di una generazione di romanzieri che utilizzano le tecniche del racconto sequenziale per dire tutto quello che con i romanzi canonici, scritti con lettere intendo, non riescono a dire. Almeno non nella stessa maniera. Nella solida edizione cartonata distribuita da Rizzoli Lizard ci viene presentato nella versione tradotta da Francesco Pacifico e Veronica Raimo, che rendono bene gli umori trentennali del testo di Eisner.
Se è facile sparare sulla Croce Rossa, è altrettanto facile lustrare gli scarponi al Re. E allora mi chiedo: a quarant’anni di distanza cosa rimane oggi di Contratto con Dio? Le atmosfere sono un po’ arrugginite rilette al giorno d’oggi, i disegni appaiono a tratti caricaturali se paragonati all’esibizionismo dei grandi maestri che sarebbero venuti dopo, ma come una brace sotto la cenere, questo libro brucia ancora. Leggere il titolo basta per interrogarci scomodamente su molto, su tutto. Quale fumettista ha usato mai la parola Dio, inteso proprio come Dio, colui che dirige il destino di ciascuno di noi, con un tale schietto coraggio? Come riportato nell’introduzione, nel 1978 Will Eisner dovette combattere non poco per dare la giusta visibilità a questo volume. Gli stessi commessi delle librerie erano confusi da quell’incomprensibile fumetto che non era né una storia di supereroi né una sequela di vignette comiche. Eisner aveva fatto qualcosa di mai tentato prima. È questa la lezione di Contratto con Dio, una lezione che tracima oltre la tecnica del disegno o della scrittura. Una lezione che ha lasciato il segno su un autore come Kurt Vonnegut: “Contratto con Dio è straziante e magnifico.” Magnifico perché straziante. Lo strazio e la magnificenza erano elementi che mancavano al fumetto nel 1978: se oggi, senza timore, possiamo trarre ispirazione anche dalle nostre cicatrici lo dobbiamo a Will Eisner. Colui che a sessant’anni, quando oramai poteva mettersi in poltrona e godere dei proventi della sua opera, ha deciso di persistere nel dare fondo alla sua passione di fare fumetti. Persistere: l’arte degli stolti. E dei pionieri.