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i Ettore Majorana, fisico italiano originario di Catania, si perse ogni traccia la sera del 25 marzo 1938, alle 22:30, quando si imbarcò da Napoli, città dove insegnava Fisica teorica all’Università Federico II, su un piroscafo diretto in Sicilia, a Palermo. Da quel momento in poi, le notizie sul fisico sono diventate solo delle ipotesi, senza alcun possibile riscontro nella realtà. Di quel giovane professore si interessò anche la rubrica Chi l’ha visto de La Domenica del corriere, descrivendolo come un uomo «di anni trentuno, alto metri 1,70, snello, coi capelli neri, occhi scuri e una lunga cicatrice sul dorso della mano». Nonostante le lunghe e approfondite ricerche, pure Mussolini, dietro pressione di Fermi, si interessò a Majorana promettendo una ricompensa di trentamila lire, nulla si è più scoperto: Ettore Majorana era scomparso per sempre.
Tra il 31 agosto e il 7 settembre 1975, Leonardo Sciascia scrisse per La Stampa un lungo saggio sul fisico scomparso dove, utilizzando magistralmente le notizie frammentarie sul fatto, rielaborò le voci delle persone a lui vicine e gli atti burocratici dell’allora polizia fascista, delineando così un ritratto che ha plasmato la nostra immagine dell’uomo. Quando il fatto della scomparsa divenne certo e condiviso nell’opinione pubblica, e le ricerche non portarono al ritrovamento neanche di un cadavere, si profilarono due ipotesi: la prima che scommetteva sul suicidio di Majorana, l’altra, portata avanti dalla famiglia, puntava su un suo ritiro in qualche ambiente monastico dell’Italia meridionale dove, sempre secondo la famiglia, il giovane professore impaurito dai grandi interrogativi della fisica, avrebbe cercato rifugio. Il libro di Sciascia segue proprio questa seconda via, e lo fa dopo un’esemplare ricostruzione della personalità del fisico, amante di Shakespeare e Pirandello secondo Amaldi, in rapporti difficili con Fermi e proficui con Heisenberg, che era riuscito a vedere ciò che Fermi non vedeva, e cioè che gli esperimenti sulla radioattività fatti a Roma potevano portare alla scissione dell’atomo di uranio, realizzando quella fissione nucleare innesco dell’esplosione di una bomba atomica. Sarebbe stato questo a spingere Majorana, secondo Sciascia, al convento dei Certosini dove chiude il suo libro.
Quarant’anni dopo l’inchiesta dello scrittore di Racalmuto, nel suo Che cos’è reale? La scomparsa di Majorana – nuovo libro edito da Neri Pozza – Giorgio Agamben ritorna sulla questione e lo fa proponendo una nuova ipotesi, persuasiva ed interessante non solo perché getta uno sguardo nuovo e originale sul caso, ma anche per i risvolti contemporanei della sua lettura che va ad interrogarsi, con la classica chiarezza discorsiva e cognitiva, sulle leggi che regolano il rapporto tra la fisica teorica e la realtà. L’idea infatti che sta alla base di questo breve libro di Agamben, arricchito dalla ripubblicazione dell’importante articolo di Majorana Il valore delle leggi statistiche nella Fisica e nelle Scienze sociali, è che il fisico, decidendo di scomparire, abbia fatto della sua stessa persona lo specchio dello statuto di realtà per come essa viene espressa dagli studi fisici, dissolvendosi nella probabilità.
Per tentare di rispondere a questa domanda e quindi agli interrogativi creati dalla scomparsa di Majorana, Agamben scrive che le uniche certezze da cui partire sono le lettere che il fisico scrisse prima di svanire nel nulla. In queste lettere si respira un’ambiguità e una divergenza di spiegazioni che contribuiscono a confondere le tracce e lasciare aperte, intenzionalmente, interpretazioni differenti e contrastanti. Un esempio lampante è la lettera che Majorana scrisse al suo collega all’Università di Napoli, Carrelli:
Caro Carrelli,
ho preso una decisione ormai inevitabile. Non ci è in essa un solo granello di egoismo, ma mi rendo conto delle noie che la mia improvvisa scomparsa potrà procurare a te e agli studenti. Anche per questo ti prego di perdonarmi […]. Ti prego anche di ricordarmi a coloro che ho imparato a conoscere e ad apprezzare nel tuo Istituto, dei quali tutti conserverò un caro ricordo almeno fino alle undici di questa sera, e possibilmente anche dopo.
Solo in questa lettera ci sono numerosi elementi ambigui: innanzitutto Majorana parla di “improvvisa scomparsa”, poi, come nota Agamben, dice di ricordare “almeno fino alle undici” i suoi colleghi, fatto che sembra quasi presagire la morte ma che subito viene smentito dal “possibilmente anche dopo”. Dello stesso tenore anche la lettera inviata alla famiglia e un’altra inviata sempre a Carelli: più in generale, l’unico dato che si può trarre da queste lettere, è che la realtà dei fatti non corrisponde mai a ciò che lui scrive. L’unica certezza è che, da quel momento, il fisico è irrevocabilmente scomparso: “La scomparsa di Majorana – scrive Agamben – è certa quanto improbabile (nel senso letterale del termine: essa non può essere in alcun modo provata e accertata sul piano dei fatti)”.
Il grimaldello che Agamben imbraccia per entrare nel cuore del mistero è l’articolo poco prima citato di Majorana, un articolo pubblicato nel 1942, quindi quattro anni dopo la sua scomparsa, sulla rivista Scientia. In questo scritto – citato a dire la verità anche da Sciascia, ma qui sviscerato da Agamben in tutte le sue ricadute – Majorana riflette sulle trasformazioni che la fisica sta subendo: nel graduale abbandono del determinismo della meccanica classica (“queste leggi statistiche indicano un reale difetto di determinismo”), la fisica si sta assestando sempre più su una concezione assolutamente probabilistica della realtà: “non esistono in natura leggi che esprimano una successione fatale di fenomeni; anche le leggi ultime che riguardano i fenomeni elementari, hanno carattere statistico, permettendo soltanto di stabilire la probabilità che una misura eseguita su un sistema preparato in un dato modo dia un certo risultato”. Ma nella lettura di Majorana il fattore ancor più inquietante è quello che riguarda l’altro aspetto della meccanica quantistica e cioè che, come scrive poco dopo, “qualunque esperienza eseguita in un sistema esercita su di esso una perturbazione finita che non può essere, per ragioni di principio, eliminata o ridotta”. Da questo deriva che il risultato di qualunque misura riguardi piuttosto “lo stato in cui il sistema viene portato nel corso dell’esperimento stesso che non quello inconoscibile in cui si trovava prima di essere perturbato”.
In questo modo allora, ciò su cui uno sperimentatore rifletterà non è il sistema stesso, quanto sulle modifiche che tale sistema subisce o ha subito. Ma tali modifiche, come detto prima, sono o spontanee (e quindi regolate dal caso) o indotte dallo sperimentatore: “bastano comuni artifici di laboratorio per preparare una catena complessa e vistosa di fenomeni che sia comandata dalla disintegrazione accidentale di un atomo radioattivo. Non vi è nulla dal punto di vista strettamente scientifico che impedisca di considerare come plausibile che all’origine di avvenimenti umani possa trovarsi un fatto vitale egualmente semplice, invisibile e imprevedibile”.
Non a caso, fa notare Agamben, Majorana usa il termine “comandata”: non siamo qui dalle parti delle riflessioni di Fermi e Oppenheimer che porteranno alla costruzione della bomba atomica, qui siamo ancora più avanti, ad un discorso metafisico sul carattere probabilistico di tale fisica; perché se le cose stanno così, il principio di indeterminazione non porta l’uomo a non intervenire e ad arrestare l’itinerario della sua conoscenza, ma anzi ne legittima l’intervento, per dare una direzione precisa al movimento di forze. In Vita di Galileo, Bertolt Brecht scrive un dialogo che sembra pronunciato dallo stesso Majorana: “Quando, coll’andar del tempo, avrete scoperto tutto lo scopribile, il vostro progresso non sarà che un progressivo allontanamento dall’umanità. Tra voi e l’umanità può scavarsi un abisso così grande, che ad ogni vostro eureka, rischierebbe di rispondere un grido di dolore universale”.
L’ipotesi di Sciascia allora, che insisteva su una fuga del fisico davanti alle scoperte della fissione nucleare, trova nel ragionamento di Agamben un’aggiunta importante, cioè che “la scienza non cercava più di conoscere la realtà, ma soltanto di intervenire su di essa per governarla”.
Il libro di Agamben, costruito quasi come un giallo puramente intellettuale sulle conseguenze degli sviluppi della fisica, che prosegue poi con un’analisi puntuale dell’articolo La science et nous di Simone Weil, con la critica del fisico De Broglie all’universo probabilistico della fisica, fino ad arrivare, passando per una breve quanto puntuale storia di questo aspetto della fisica, alla Metafisica di Aristotele, si conclude tornando sulla decisione di Majorana. Come intuì anche Simone Weil qualche anno dopo, Majorana realizzò che se lo stato originale di un sistema è in sé inconoscibile, allora i modelli statistici diventano la stessa realtà: nella meccanica quantistica la realtà, inconoscibile, non può che cedere il posto alla probabilità.
Questa presa di coscienza era insopportabile non solo per Majorana, ma anche per Einstein che così scrisse in una lettera a Max Born nel 1924: “l’idea che un elettrone esposto a una radiazione scelga liberamente l’attimo e la direzione in cui vuole saltare mi è insopportabile. In questo caso preferirei fare il ciabattino o addirittura il croupier in un casinò piuttosto che il fisico”. Stando così le cose, secondo la lettura di Agamben, Majorana ha fatto della sua stessa persona la cifra esemplare dello “statuto del reale nell’universo probabilistico della fisica contemporanea e ha prodotto [scomparendo] in questo modo, un evento insieme assolutamente reale e assolutamente improbabile” rivolgendo alla scienza una domanda tuttora senza risposta alcuna: che cos’è reale?
Secondo le testimonianze della famiglia, quando le indagini poco dopo la scomparsa si estesero alle residenze dei Gesuiti, gli investigatori andarono a bussare al convento di San Pasquale a Portici; alle domande rivolte al padre guardiano, la risposta suonò enigmatica e, in maniera beffarda, vicina al ragionamento di Majorana sulla inconoscibilità della realtà: “Perché volete sapere dov’è? L’importante è che sia felice”.