C
ome è potuto succedere?” è quello che si chiedono le Persone Perbene davanti a quei fatti di cronaca nera che non si lasciano facilmente spiegare con un contesto sociale “degradato”. Davanti a quelle tragedie che non avvengono in qualche periferia disagiata, magari ad alto tasso di immigrati, di disoccupati o di malavita. Quelle tragedie “inspiegabili” che avvengono nelle tranquille cittadine di provincia, nelle famiglie Perbene, nei contesti rassicuranti della medio-borghesia ancora messa bene. Con indignazione e sgomento, le Persone Perbene vanno a guardare i profili social dei coinvolti cercando un segno di squilibrio, una qualche radice del male. Spesso si resta delusi: sembra tutto così normale. Le foto di gruppo, i viaggi, qualche barzelletta, gli auguri di compleanno. Allora, come è potuto succedere?
È quello che sono costretti a domandarsi i protagonisti del romanzo d’esordio di Alice Urciuolo, Adorazione (66thand&2nd), dopo che l’adolescente Enrico ha ucciso Elena, la fidanzata. Con la differenza che loro non hanno bisogno di andare a cercare sui social: in un piccolo centro come Pontinia, ci si conosce praticamente tutti. Per qualche motivo, la comunità, anche quando prova a riflettere sull’accaduto, sembra cercare costantemente di ricacciare giù la domanda. Non la articola mai, la rimuove con ostinazione: chiederselo vorrebbe dire guardarsi finalmente allo specchio, mettere in discussione i presupposti su cui si fonda da sempre. A un anno dalla tragedia, però, gli amici coetanei di Enrico e Elena scopriranno tutti, ognuno a modo suo, come sia potuto succedere: il romanzo è un lento avvicinamento dei personaggi e del lettore alla comprensione di cosa è andato storto.
Protagoniste del romanzo sono tre adolescenti: Diana, sedicenne decisa a diventare neurologa, introversa e insicura a causa di una vistosa voglia sulla coscia; la sua migliore amica, Vera, all’apparenza indipendente e che patisce però di essere stata cresciuta solo dalla madre; e infine la di lei cugina Vanessa, di 18 anni, bellissima e fidanzata in casa con Gianmarco, rampollo locale. La scoperta del desiderio le trasfigura nel giro di pochi mesi: c’è chi si scopre per la prima volta oggetto desiderabile, chi resta impelagata in un’ossessione amorosa fatta di frustrazione e umiliazione, chi trascende la propria identità e si sente libera per la prima volta. Tutte fanno i conti con la potenza deflagrante del desiderio, che pure le aiuta a illuminare, a comprendere.
Attorno a loro, una serie di personaggi che sono trattati con la stessa attenzione: Urciuolo, che viene dalle sceneggiature della serie Skam Italia, sa entrare nelle teste di tutti i suoi attori, facendoci vedere i diversi punti di vista. Quello dei ragazzi: in primis Giorgio, fratello maggiore di Vera che era innamorato di Elena, ma anche dell’amico Christian, confuso e indeciso tra l’affetto che prova per la sua ragazza e l’attrazione per un’altra. Ma soprattutto quello delle generazioni precedenti, molto più invischiate nelle dinamiche della provincia fatta di apparenze, invidie e rinunce. Stella, la nonna, non può condividere ma nemmeno comprendere le scelte della nipote Vanessa: “Era stata costretta a passare tutta la vita insieme a un uomo che la opprimeva, per lei non esisteva altra scelta, e allo stesso modo sarebbe stato naturale che pure lei rimanesse tutta la vita insieme a Gianmarco. Che lo amasse o meno non importava, che lo volesse o meno non importava. Gianmarco era un impegno che si era presa, e così sarebbe stato per sempre.”
Il mondo che Stella rappresenta è destinato a morire. La generazione successiva, quella dei genitori dei protagonisti, è più articolata: si vedono già in nuce le diverse traiettorie che toccherà ai figli assumere pienamente. Se fino alla generazione precedente la loro ribellione al sistema ipocrita della provincia era semplicemente impossibile, le cose sono già cambiate: perpetrare quel sistema diventa una scelta, una questione di coraggio o vigliaccheria. Vigliaccheria spesso ammantata di nobiltà d’animo, di sacrificio e di amore romantico. È qui che emerge il tema che dà il titolo al romanzo: l’adorazione (“lei non voleva solo che Giulio approvasse la sua voglia, voleva che Giulio la adorasse”). Quella che Walter, il padre di Vanessa, ha sempre provato per Diletta, madre di Diana:
Walter (…) era sempre pronto ad ascoltare, a capire, a battersi, ma non per sé stesso, e forse era questo il motivo per cui non aveva funzionato tra di loro. Quando uscivano insieme Diletta aveva vent’anni e voleva un uomo che le dicesse qualche no, uno che non la accontentasse in tutto. Walter invece era troppo prevedibile, troppo innamorato e troppo asservito, anche se è una brutta cosa da dire. Adesso avrebbe voluto dirgli che anche lui si meritava più di quello che aveva – “Dovresti pensare anche a te, Walter”-.
Questo senso di venerazione è l’altro lato della medaglia della violenza e della sopraffazione che piaga i rapporti tra i generi, quello che sembra far naufragare nel libro ogni speranza di comunicazione nelle relazioni eterosessuali:
Pensò di scrivere a Vanessa, poi si disse che sarebbe stato meglio aspettare che lo cercasse lei. Gli venne di nuovo da piangere, proprio non capiva. L’aveva adorata, le aveva sempre dato tutto quello che desiderava, aveva fatto tutto quello che era giusto, sempre. Ma se aveva sbagliato, se ancora mancava qualcosa, allora avrebbe rimediato. Smetterò di giocare alle schedine, di fare battute sul Duce, di trattarti come una bambina. Farò qualsiasi cosa.
Ed è proprio questa abnegazione, questa adorazione a creare quei mostri apparentemente incomprensibili agli occhi di quella provincia che non dispone nemmeno dell’orgoglio sottoproletario, del grottesco e della rivendicazione del degrado per evitare la trappola del conformismo: la provincia, che è poi la definizione più accurata di tutto il Paese (“si è sempre la provincia di qualcun altro, anche Latina era provincia”) si rivela tanto più violenta quanto più è piccolo-borghese. Così, il romanzo evoca quasi distrattamente un “generico, quanto autentico fascismo” (come diceva dieci anni fa una canzone de I Cani), fin dalle primissime pagine, ambientate nello spogliatoio della palestra “dove le scritte Duce regna si alternavano a dichiarazioni d’amore”. Non è un caso: è questo l’orizzonte totalitario di un mondo senza politica, disperatamente in cerca di nuove bussole morali, che possono essere l’apparenza e il prestigio, o proprio quell’amore romantico che conserva intatto tutto il problema del potere.
Urciuolo non fa del libro né un romanzo a tesi né una storia edificante, lo dimostra il fatto che il personaggio a cui dedica le pagine più affascinanti è proprio la ragazza che a sua volta si avvicina più pericolosamente di tutte a diventare protagonista di un titolo di cronaca nera (o quantomeno di un autentico scandalo). La parabola di questo personaggio mette in scena e problematizza in modo sottile il conflitto tra provincia e città, tra arretratezza e progressismo, tra conformismo e desiderio. Il problema della piccola comunità descritta dal romanzo è certamente sistemico, ma la via di fuga non è tracciata né sicura: chi resta aggrappato a quel mondo antico ha solo da perdere, chi invece sceglie di avventurarsi altrove, come direbbe proprio la vituperata saggezza popolare, “sa quello che lascia ma non quello che trova”. Si espone a un rischio. Quel rischio che è bello esplorare nei romanzi.