L e donne di Clarice Lispector” ha scritto Antonio Tabucchi “hanno sulle labbra un sorriso ineffabile”. Sono bambine che nascondono il corpo morto di una compagna di scuola in un armadio per giocarci come con una bambola. Sono ragazze che prima di addormentarsi fingono di dare la mano a qualcuno, perché quella è la loro idea di gioia. Sono giovani sole in un attico che finiscono per mangiarsi uno scarafaggio. Sono felici di andare dal dentista perché dopo se ne vanno al cinema. Le donne di Clarice Lispector sembrano fuori dalla realtà eppure la vivono fino in fondo, appaiono perdute ma si ritrovano sempre, al centro di loro stesse. Eterea, non appartenente a questo mondo, sembra anche la Lispector nell’unico video dove possiamo vederla su YouTube. Intervistata nel 1977 da TV2 Cultura per il programma Panorama, altera e attenta, pensosa e a tratti annoiata, con una sigaretta fra le dita della mano destra, volto di sfinge e voce decisa, Clarice dichiara al giornalista Júlio Lerner: “gli adulti sono tristi e solitari”.
È ancora una donna, questa volta adulta, ad essere la protagonista di Acqua viva, che alla sua uscita nel 1973 raccolse recensioni splendide, che fecero parlare di un risveglio della letteratura brasiliana del momento “da un letargo deprimente e degradante”. Ma è una donna adulta che si rifiuta di essere triste. Piuttosto “caleidoscopica”: “non voglio avere la limitazione terribile di chi vive soltanto di quanto può avere senso. Io no: io voglio una verità inventata.” In Acqua viva, che esce in Italia per Adelphi, Clarice Lispector regala a chi la legge una chiave per aprire due tesori: la sua letteratura e la sua vita. Tradotta in Italia fin dagli anni Ottanta dalla casa editrice di Roberto Calasso, che pubblica il suo romanzo d’esordio, Vicino al cuore selvaggio; e da Feltrinelli, che nel 2013 ha raccolto in unico libro una summa del suo mondo, tra racconti e romanzi: Legami familiari, La mela nel buio, La passione secondo G.H., Un apprendistato, La passione del corpo e L’ora della stella; nonostante tutto, l’enigmatica scrittrice brasiliana sembra rimanere ancora lontana dagli scaffali delle nostre librerie.
È una notte di fine luglio, sono le tre, siamo in una stanza con una finestra. La tenda è rotta, entra la luce della luna piena, la stanza è “fosforescente di silenzio”: una pittrice scrive un lunghissimo flusso di coscienza. Dentro c’è di tutto: sogni, ricordi e previsioni, soffitti dell’infanzia, corpi lungo la strada, collezioni di fiori, corde tese, ombrelli aperti, le piccole persone care a Clarice: cani e gatti, quello che c’è ma che non si vede: “la cosa che più mi emoziona è che ciò che non vedo esiste lo stesso. Perché così ho ai miei piedi tutto un mondo sconosciuto che esiste pieno e denso e ricco di saliva”.
Clarice Lispector regala a chi la legge una chiave per aprire due tesori: la sua letteratura e la sua vita.
Acqua viva è una corrente lenta e torbida, veloce e cristallina, che trascina il lettore immerso nel flusso ipnotico di parole della Lispector: “ti scrivo in disordine, lo so bene. Ma è come vivo. Lavoro solo con oggetti smarriti e ritrovati”. In una pagina Clarice scrive “ci sono tante cose da dire che non so come dirle”, in un’altra “voglio avere la libertà di dire cose senza nesso”. La protagonista di Acqua viva si interroga incessantemente sulle possibilità del linguaggio. Ammette di non sapere cosa sta scrivendo, scrive di essere oscura a se stessa, dichiara che quello che può venir fuori dai suoi pensieri sarà imprevedibile, forse spaventoso.
Dare un unico nome al destinatario di questo “facsimile di libro” è superfluo. Certe file di frasi lasciano pensare che sia un vecchio amore: “ormai sono entrata in comunicazione con te in modo così forte da cessare di esistere pur essendo. Tu sei diventato un io. È così difficile parlare e dire cose che non possono essere dette. È così silenzioso. Come tradurre il silenzio dell’incontro reale tra noi due? Difficilissimo raccontarlo: ti ho guardato fisso per qualche istante. Questi momenti sono il mio segreto”. Altre righe sembrano appartenere a un diario di cui è custode solo lei stessa, reminiscenze private, legate a nessuna persona in particolare: “ero così felice che mi rannicchiai in un angolo del taxi impaurita perché la felicità fa male”. Di fronte alle due opzioni è Clarice a dare la risposta: “il meglio si trova fra le righe”.
Se è vero quello che si racconta in una biografia: che, sul taxi che la portava in ospedale un mese prima della sua morte, Clarice Lispector disse alle sue amiche: “fate finta che non stiamo andando in ospedale, che non sono malata e che ce ne stiamo andando a Parigi”, Acqua viva è una lettera d’amore alla vita e alla scrittura, che contiene una confessione e una promessa: “ti scrivo perché non mi comprendo. Ma continuo a seguirmi. Elastica”.