C osta sudoccidentale della Svezia, Goteborg, città di mare che conta mezzo milione di abitanti, qui è nata la Volvo e hanno sede gli stabilimenti di Ericsson, dell’azienda meccanica SKF e il più grande porto scandinavo. Grazie all’eredità scientifica di Per-Ingvar Brånemark, il padre della moderna implantologia dentale, a Goteborg lavorano anche due delle più importanti aziende a livello mondiale di prodotti odontoiatrici. Insomma, Goteborg è una città ricca e dinamica, oggi governata da Axel Josefson del Moderata Samlingspartiet, dopo essere stata guidata da Ann-Sofie Hermansson, socialdemocratica con un passato in Volvo. Una città, inoltre, che registra indici d’inquinamento molto contenuti.
Tuttavia, Jonna Jinton nel 2010 se n’è andata. Si è spostata circa mille chilometri più a nord, nel villaggio natale del nonno, Grundtjärn. E lì ha imparato, tra le altre cose, a padroneggiare un’antica tecnica vocale, chiamata kulning. Ci vogliono più o meno dodici ore di macchina per arrivare a Grundtjärn, nella contea di Västernorrland. Considerando che la Svezia conta appena dieci milioni di abitanti, e che la densità abitativa è di circa 22 abitanti per chilometro quadrato, quel primo viaggio per Grundtjärn dev’essersi svolto in mezzo a un paesaggio per lunghi tratti disabitato.
Jonna è una donna giovane, dai lunghi capelli dorati, biondi, quasi lattescenti, simili a un grande fascio di grano; corpo flessuoso, portamento regale, un viso aperto, pronto all’incanto e all’estasi. L’abitudine a fotografarsi in abiti dal gusto folk, e in contesti di grande suggestione, crea intorno a Jonna un’aura mistico-pagana, anche se un po’ convenzionale e patinata. A Grundtjärn, dove si è trasferita, vivono appena dieci persone. Il sogno era quello di lasciarsi alle spalle Goteborg e riscoprire, nell’isolamento, le virtù terapeutiche della natura e del paesaggio. “I started with nothing but a dream. And today, I live my dream” scrive Jonna in un post fissato su Facebook. Sembra retorica autoimprenditoriale, del genere “le 10 frasi più belle di Steve Jobs”. E senz’altro, in parte, lo è. Pur cercando la solitudine, Jonna ha aperto un sito, un profilo Instagram e un videoblog su YouTube, dove racconta la sua esperienza di vita nel grande nord, parlando e confessandosi in clip di qualità cinematografica, che spesso sfiorano la durata di un mediometraggio. L’impostazione è quella confidenziale usata da diversi YouTuber: sguardo in camera e parlare al cuore; la voce, grazie agli standard di registrazione, arriva calda e sincera. Video e foto si servono di un’estetica solenne, di tipo pubblicitario, e descrivono i paesaggi mozzafiato della più profonda e spopolata natura scandinava. Le panoramiche spettacolari, le riprese dall’alto sulle abetaie grigie e fumose, sono realizzate grazie all’obiettivo di un drone. Prati, querce, laghetti gelati dove Jonna s’immerge anche d’inverno (per provare a sé stessa di essere più forte di ciò che crede), distese innevate e, in primavera, fiumiciattoli e boschetti muschiosi, colorati di quella tonalità di verde scuro celebrata anche in molte sequenze del cinema di Tarkovskij.
Jonna è in grado di risvegliare, nell’immaginario di chi guarda, tutti i cliché collegati al fascino del paesaggio boreale. Ma se la storia di Jonna Jinton è stata ripresa dai siti di tutto il mondo, lo si deve anche al kulning. Il kulning è una tecnica vocale, di origine medievale, che Jonna ha deciso di riscoprire, diventandone un’interprete e una sorta di ambasciatrice in rete. Si tratta di un richiamo per le greggi e le bestie, tradizionalmente esercitato dalla donna, cui era affidata la custodia degli animali. Veniva praticato in tutta la Fennoscandia, cioè il territorio che oggi comprende la penisola scandinava, la Finlandia e la Carelia. E in particolare in Dalarna, regione della Svezia centrale. Al mattino mucche e capre si allontanano al pascolo, accompagnati dal tintinnio dei campanacci; verso sera la donna pastore, detta vallpiga o vallkulla, si affaccia sul vuoto di una landa. Da lì modula un richiamo. È una voce più di testa che di petto, secondo la distinzione canonica che viene fatta nelle scuole di canto. Il suono si propaga nello spazio aperto e disabitato. Udito il richiamo della valkulla, le bestie riattraversano docilmente tutta la strada fatta al mattino e tornano alle loro stalle e recinti. Sembra una magia. Non c’è bastone, non c’è esercizio della forza fisica, ma solo il potere della voce umana che agisce sullo psichismo animale.
La donna pastore poteva trascorrere tutta l‘estate lontano da casa, da maggio fino a ottobre. Viveva nelle foreste, nei pascoli estivi sopra le colline. A volte nei fäbodar, cioè i villaggi di montagna. Il kulning serviva a richiamare il gregge, ma poteva essere anche un’arma per spaventare un animale selvatico. Oppure un espediente per farsi compagnia, mentre si cammina in un bosco o durante le ore di lavoro in solitudine. Si tramandava di generazione in generazione, da valkulla a valkulla. Oltre al kulning, esistevano forme più brevi e codificate, chiamate lalning o lullning, grazie alle quali una donna pastore comunicava a distanza con un’altra donna pastore, in modo da segnalare un pericolo, oppure la scomparsa o il ritrovamento di un animale. “Per ciascuna di queste circostanze”, scrive la musicologa Anna Ivarsdotter (“And the cattle follow her, for they know her voice. On communication between women and cattle in Scandinavian pastures”, PECUS. Man and Animal in Antiquity, Istituto Svedese di Studi Classici, Roma, 2004), “c’erano segnali melodici specifici, portatori di un preciso messaggio, che tutti conoscevano e decifravano. Doveva essere un bel sollievo quando una donna che aveva perso una mucca sentiva un segnale di risposta: non cercare più, la mucca è qui”. Dal corno di una capra o di un bue, inoltre, si poteva ricavare un piccolo strumento in cui insufflare. “Durante i mesi estivi”, scrive ancora Anna Ivarsdotter, “le foreste risuonavano delle chiamate delle donne al pascolo. I suoni della foresta stessa – il fruscio del vento tra gli alberi, il gorgoglio dei torrenti, il canto degli uccelli e il persistente lamento delle zanzare – costituivano un paesaggio sonoro di fondo. In questo contesto, i rumori provenienti dall’alpeggio – il suono del corno, il richiamo del pastore […], i campanacci delle mucche, il mormorio del gregge e il belato delle capre – s’imponevano in primo piano. Erano suoni a cui rispondevano sia gli esseri umani che gli animali. La pastorizia potrebbe quindi essere vista come un unico evento musicale che durava per l’intero arco della giornata”.
Più che un semplice richiamo, il kulning è un canto vero e proprio, melodioso, caratterizzato da un utilizzo unico della voce. Dato che serve a comunicare con gli animali, non prevede versi, parole, è puro suono, astratto, eppure grazie ai suoi “wuwaaa”, “bruwaaaa”, “iaw”, “iuwuuuu”, trova una sua via misteriosa alla narrazione. Racconta, qualcosa dice, ma niente che si possa fissare in un significato. Mima il linguaggio, senza arrivare alla parola. Comanda, seduce. Dipinge, in un certo senso. Modella, anche. A volte sembrano le risa e gli sghignazzi di un angelo. Può essere ascoltato anche a chilometri di distanza. Un esempio della distanza che un kulning è capace di coprire, lo offre la cantante Susanne Rosenberg, nel discorso che introduce una sua performance tenuta a Roma, nel 2002, presso l’Istituto Svedese di Studi Classici: “Se mi mettessi a cantare a Villa Borghese, probabilmente la mia voce si sentirebbe fino a San Pietro”. Alla condizione che la città sia tutta vuota, come una valle scandinava, senza macchine e scooter. Nella stessa occasione, la Rosenberg spiega che nel kulning la laringe va leggermente alzata, anziché abbassata, come accade comunemente nel canto classico. Data la prevalenza delle tonalità acute, è quasi una sorta di falsetto, ma, come riporta uno studio cui hanno contribuito ricercatori dei dipartimenti di Otorinolaringoiatria, Foniatria e di Lingua e Cultura dell’università di Svezia e Finlandia, “è dimostrato che il kulning, rispetto al falsetto, mostra un migliore contatto delle corde vocali e una chiusura glottale più lunga nel ciclo fonatorio”. Insomma, gli somiglia, ma non è un falsetto.
Oggi il kulning non viene sostanzialmente più praticato. È raro imbattersi in una donna pastore che richiama il gregge. In un video, senza dubbio straordinario, una donna riesce col canto, e quasi per caso, a richiamare a sé un cigno. Udito il richiamo, il cigno risale in una candida foschia tutto lo specchio di un laghetto, fino a raggiungere un ponticello di legno.
È stata Jonna Jinton, con i suoi video magniloquenti, a restituire al kulning attenzione e una certa popolarità in rete. Le migliaia di commenti ai video che Jonna carica su YouTube, testimoniano nell’ascoltatore un’esperienza di rapimento, di sogno: “You make me feel like I’m living in the ancient times”. Ciò che alle nostre orecchie suona come una sorta d’invocazione, di canto sacro, nei secoli passati fu, prima di tutto, uno strumento tecnico nel contesto delle attività di pastorizia. Non è possibile sapere con certezza se nell’immaginario di un essere umano del Sedicesimo secolo il kulning potesse risuonare nello stesso modo con cui risuona oggi in noi. È probabile che il gioco di certe frequenze con l’eco e gli spazi aperti non lo lasciasse indifferente. Per certi versi il kulning è simile a un altro canto da richiamo, lo jodel delle alpi. Ma mentre nelle armonie dello jodel troviamo una sorta di allegria delle vette, nel kulning non possiamo fare a meno di sentire qualcosa di diverso, cioè la continua evocazione di una dimensione ultraterrena; come se le bestie che si vogliono richiamare alla stalla, non si trovassero al di là di un dosso o di una collina, ma in una sorta di magico altrove erboso. Dall’idillio incontaminato del pascolo, il gregge va ricondotto al di qua, nel mondo dell’uomo, grazie alla soave circonvenzione del canto.
Per la sensibilità di noi contemporanei, il kulning vale come un ponte verso un fittizio universo fiabesco. È lì che ci richiama. Verso la leggenda e il mondo inviolato delle origini. Eppure, questa dimensione senza dubbio seducente, ipnotica, che Jonna Jinton rappresenta con la sapienza e l’arte retorica di un’esperta YouTuber, può essere interpretata in modi molto diversi. Lo dimostra, per esempio, anche uno dei tanti commenti lasciati in rete: “Nothing in the world is more beautiful than a traditional white European woman”.