È
morto Adolfo Natalini, uno dei fondatori di Superstudio. Non l’ho mai conosciuto.
Ho scoperto l’esistenza di Superstudio quando stavo finendo di scrivere il mio ultimo romanzo. Come accade spesso in quelle circostanze, mi sentivo in uno stato di confusione e strana ricettività verso il mondo che sfiora un laico misticismo. Per questo avevo deciso di accogliere la tardiva scoperta di Superstudio come un segno, e mi ero detta che se mai il libro fosse stato pubblicato volevo che in copertina ci fosse una loro immagine. Oggi si torna molto a parlare di speculative fiction e new weird, ma gli apparati distopici o utopici che si costruiscono per raccontare il reale attraverso una realtà mutata difficilmente scelgono una messa in crisi tramite una simulazione ironica. È facile parodiare un’utopia, trasformarla in pantomima, è più difficile costruire un’utopia in sé ironica. La prima immagine come possibile copertina a cui avevo pensato era questa:
Un gruppetto di hippy scontornato e piazzato su una griglia con uno sfondo glaciale cosa conserva di sé? La sua identità hippy è rinforzata o indebolita dal contrasto? La verità è che a me faceva molto ridere.
La storia che ho provato a raccontare nel mio romanzo può essere sintetizzata in molti modi, ma uno di questi era provare a far collidere un’utopia da Nord del mondo con elementi non assimilabili provenienti da un altrettanto generico Sud del mondo. Uso la parola generico con cognizione di causa, non mi interessava costruire un universo scientificamente inattaccabile, ma lavorare piuttosto sulla giustapposizione di elementi, creare un collage. E così è arrivata l’immagine di Stuperstudio, dove c’era uno scenario artico che dialogava con uno da Badlands, e due cactus spaesati che tentavano inutilmente di attirare l’attenzione di una bambina incongrua sia in un deserto di neve che in uno di ghiaccio.
Quando ho saputo che Adolfo Natalini mi autorizzava a usare l’immagine per la copertina, gli ho mandato una breve email per ringraziarlo. Lui ha risposto con un foglietto di carta scansionato e allegato all’email.
Quando è uscito il libro, mi sono premurata di mandargliene una copia. Ma se l’era già comprata da solo. Una settimana dopo l’uscita mi è arrivata una lettera nella buca della posta, scritta sempre in stampatello.
… Così in una domenica mattina grigia e con presagi di pioggia mi sono sentito spinto fuori dal guscio domestico, mi sono imbarcato su un bus (che a Firenze continuano a chiamare tram), sono sbarcato in una libreria e alla stazione ho chiesto di un libro intitolato ‘Miden’. Mi è stato consegnato, sono passato alla cassa a pagare (il biglietto d’ingresso al mistero) e ho ripercorso la via del ritorno. La città era brutta e malinconica.
Poi mi raccontava la storia dell’immagine che avevo scelto:
Una ragazza inglese che si chiamava Frances Ruth Anne Brunton leggeva una rivista (inglese) che si chiamava “Nova”. Il suo compagno, un giovane architetto, ne raccoglieva pagine che gli piacevano – a volte ne ritagliava figure che incollava su fogli di carta insieme ad altri. A volte i fondi di carta venivano disegnati con trame geometriche, a volte venivano colorati con le matite o con l’aerografo (un sofisticato strumento per spruzzare colori). Ne venivano fuori figure e paesaggi di uno strano mondo, ne scaturivano storie che volevano dare un senso a quel mondo. Una volta molte di queste storie vennero messe insieme per formare un film di animazione che venne intitolato: “La vita (o dell’immagine pubblica dell’architettura veramente moderna): supersuperficie (un modello di vita alternativa sulla Terra).
Che cos’è che metteva insieme una ragazza in bianco, i cactus, la montagna, la superficie quadrettata e il cielo? E cosa aveva messo insieme la ragazza inglese e il giovane architetto tra il 1961 e il 2008? E cosa aveva messo insieme i cinque del Superstudio tra il 1966 e il 1978? O secondo altri tra il 1966 e il 1986?
Forse era stato qualche evento solo nominato ma mai raccontato come il Crollo che ha messo insieme il compagno e la compagna…
Stamattina quando ho letto su Repubblica della morte di Adolfo Natalini ho ripensato a quello che ci aveva messo insieme, alla sua lunghissima lettera che ho conservato come un tempo si conservavano le lettere d’amore. Ma in fondo era stato anche questo, o come direbbe Superstudio uno degli atti fondamentali: Vita, Educazione, Cerimonia, Amore, Morte. La generosità inaspettata di uno sconosciuto. La sua lettera con le note a margine scritte in rosso in cui si prendeva in giro (“Tutta questa didascalia si può saltare”). Mi ero ripromessa di scrivergli anch’io qualcosa a mano, e poi non l’ho mai fatto. Non è un rimpianto, ma è un pensiero che oggi è tornato. Non so neppure perché non abbia mai risposto, volevo fare bella figura e mi sentivo sempre inadeguata. Perfino cominciare con “Caro Adolfo” mi sembrava troppo intimo. Ma forse tutto questo è la storia di un innamoramento platonico, eppure come mi scriveva “sono solo gli innamoramenti platonici che ci fanno trovare il tempo fermandocelo tra le dita che stringono la penna che scrive”.
Poi ho capito che non c’era bisogno di trovare una ragione.
“Forse non c’è una ragione negli eventi, né nelle cose: come nell’immagine della ragazza in bianco e tutto il resto, c’è solo la colla”.
C’è solo la colla.