Quando la letteratura mescola scienza e pensiero magico.
Graziano Graziani è tra i conduttori di Fahrenheit (Rai Radio 3), ha realizzato documentari radiofonici e televisivi (Rai 5), scrive per minima & moralia e il Tascabile e ha collaborato con diverse testate (Carta, Lo Straniero, Frigidaire, I Quaderni del Teatro di Roma). Si occupa principalmente di teatro e letteratura. Ha scritto vari libri, tra cui due inventari letterari per Quodlibet – l'Atlante delle micronazioni e il Catalogo delle religioni nuovissime – e il romanzo Taccuino delle piccole occupazioni per Tunué.
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ome tutti sanno gli spettri degli animali sono sensibili al cesio, irradiano una luce flebile, nel maggiore dei casi tra i 3 e i 6 watt, e le loro sagome possono restare impresse su delle lastre come avviene per la fotografia. Tanto che dell’arte l’ectografia – così si chiama la pratica che realizza immagini di ectoplasmi – può essere considerata una scienza affine. A rivelarcelo è un piccolo libro dell’argentino Roque Larraquy, che procede per frammenti, testimonianze e lettere, raccontando le alterne fortune dell’ectografia e dei suoi officianti nella Buenos Aires di inizio Novecento, tra il 1914 e il 1957. Rapporto sugli ectoplasmi animali di Buenos Aires, edito in italia da Gallucci, si avvale delle illustrazioni razionaliste di Diego Ontivero ed è un gioiello che non può mancare nella libreria degli appassionati di letterature fuori dall’ordinario.
Figlio illegittimo dei bestiari borghesiani, delle distorsioni cortazariane della logica cartesiana, il “Rapporto” è un libro allo stesso tempo moderno e antico. Un divertente catalogo di apparizioni spettrali più o meno credibili, e di metodi empirici per registrarli come si trattasse di un qualunque fenomeno fisico, a cui fanno seguito alcune testimonianze del fondatore della materia, Severo Solpe, fondatore della Società Ectografica Argentina.
Il “Rapporto”, tuttavia, è molto di più di un divertissement letterario. Larraquy ci fa sprofondare in un mondo che attinge a piene mani dall’entusiasmo positivista per la scienza che ha guidato le speranze dell’uomo nei due secoli precedenti al nostro. A guardarlo oggi con occhi disincantati si può sorridere (e leggendo si sorride molto) dell’ingenuità che c’era sotto quell’entusiasmo, ma non bisogna dimenticare che proprio da lì, per certi versi, originava un’idea di futuro luminosa e salvifica, parecchio lontana da quella fosca e opaca che viviamo oggi. Ovviamente, in nome di quell’ingenuo entusiasmo, si sono anche compiute con leggerezza azioni che oggi definiremmo nefande e ignominiose. Non sfuggono a questa regola nemmeno Severo Solpe e i suoi adepti, che in nome della scienza infliggono morti dolorose e crudeli agli animali tenuti in cattività allo scopo di creare ectoplasmi da laboratorio, perché si sa che tanto piú è doloroso il trapasso, tanto più è probabile che di quel trauma resti traccia.
Spesso con la scienza l’uomo ha intrattenuto un rapporto che, paradossalmente, ha a che vedere più con il pensiero magico che con il materialismo che la sottende. Dagli scienziati ci aspettiamo, né più né meno, quello che gli uomini dell’antichità si aspettavano da sciamani e stregoni. Ce lo ricorda un altro libro di letteratura compilativa, stavolta un catalogo di storie reali, Ossa, cervelli, mummie e capelli di Antonio Castronuovo (edito da Quodlibet Compagnia Extra). Una delle storie di questo reliquiario contemporaneo è dedicato alla mummia di Lenin, la migliore imbalsamazione di tutti i tempi. E forse anche la più paradossale, visto il contesto filosofico che accompagnava la visione del fondatore del Bolscevismo. Con una scrittura asciutta e coinvolgente, che lascia ai paradossi della storia stessa il compito di far esplodere le iperboli della vicenda, Castronuovo ci racconta come una parte dell’intellighentzia bolscevica fosse persuasa che uno dei fini ultimi del comunismo fosse ottenere, attraverso la scienza, la resurrezione dei corpi e l’affrancarsi del genere umano dalla morte terrena.
Larraquy ci trascina in una dimensione analogica della scienza, fatta di lastre e reagenti, di ectoplasmi immateriali che restano impigliati in oggetti materiali, di misuratori ed esperimenti bislacchi.
Una visione un po’ millenarista, se ci fate caso. In questo strano connubio di positivismo e pensiero magico fa il suo ingresso un personaggio secondario, Aleksandr Bogdanov, inizialmente stretto collaboratore di Lenin e a sua volta autore di un piccolo gioiello della narrativa di fantascienza, La stella rossa (in Italia lo ha pubblicato Sellerio anni fa, oggi è introvabile), in cui immaginava l’instaurazione del comunismo su Marte. Era il 1906 (ben prima che su Marte vi arrivassero i fascisti di Corrado Guzzanti). Anche Bogdanov era affascinato dall’ipotesi di un’immortalità collettiva raggiungibile grazie ai progressi della scienza, e riteneva che nel sangue si celasse il segreto per la risurrezione dei morti. Fondò così l’Istituto per le trasfusioni di Mosca, dove si praticavano scambi si sangue sulla base delle sue teorie. Morì nel 1927 a causa di una trasfusione di sangue non compatibile.
Di storie bizzarre come questa è costellato l’album di famiglia della scienza (per gli appassionati della materia consiglio la lettura del gustosissimo Mattoidi italiani di Paolo Albani, sempre Quodlibet Compagnia Extra). Questa corrente di pensiero magico non abbraccia soltanto le teorie, ma riverbera anche negli oggetti e negli strumenti utilizzati per suffragare le stesse attraverso l’osservazione empirica. E qui torniamo al Rapporto sugli ectoplasmi animali di Buenos Aires: uno degli aspetti più gustosi e affascinanti del libro di Larraquy è il suo trascinarci in una dimensione analogica della scienza, fatta di lastre e reagenti, di ectoplasmi immateriali che restano impigliati in oggetti materiali, di misuratori ed esperimenti bislacchi.
L’analogia è stata per anni una forma di sapere formidabile, ma anche quella più prossima al pensiero magico, che ad esempio immagina la persistenza di connessioni laddove esse sono cessate di esistere (come lo spettro di un animale morto, per l’appunto). La dimensione analogica della scienza è già un po’ magia, ai nostri occhi. Le onde radio, il magnetismo, persino l’elettricità nella nostra immaginazione hanno flirtato per anni con l’esoterismo e la metafisica. Dal punto di vista dell’immaginario cinematografico credo che proprio a questo flirt sia dovuto il grande successo di film come Frankestein jr, con la scena dell’animazione del mostro, o Ghostbuster, per restare in tema di fantasmi, con i sui apparecchi fatti di antenne ronzanti e di zaini protonici dalle enormi batterie; e infine persino di Guerre stellari, dove all’immaterialità della Forza fa da contraltare una tecnologia meccanica fortemente analogica, con navi spaziali come il Millenium Falcon che si aggiustano a suon di cacciaviti e calci ben assestati.
L’immaterialità dell’era digitale ci proietta in un’altra dimensione, dove il confine tra magia e scienza si fa volendo persino più sfumato – nel mondo digitale le cose letteralmente appaiono dal nulla – ma essendo esse frutto del calcolo di un processore perdono, per l’appunto, quella sgangherata poesia analogica. Certo, anche l’era digitale flirta con la metafisica – pensate ai profili Facebook in memoriam dedicati ai morti, che convertono profili preesistenti e trasformano le nostre bacheche in potenziali tavole per l’evocazione spiritista – ma l’immaginario a cui afferisce ha cambiato decisamente di segno. Oltre a divertirci con situazioni paradossali e con una comicità fortemente letteraria e intimamente sudamericana, il Rapporto sugli ectoplasmi animali di Buenos Aires, con il suo linguaggio posticcio da rapporto scientifico, ci regala il brivido di attingere a quell’immaginario praticamente scomparso dalla nostra quotidianità ma ancora così istintivamente familiare.