S pazio Calmo è un progetto fotografico che indaga il significato sociale e artistico della scena musicale elettronica e sperimentale contemporanea attraverso gli spazi che la ospitano. Curato da Supersento (Ilaria Benini e Marilivia Minnici), il progetto è accompagnato da quattro saggi critici. Pubblichiamo qui quello di Enrico Petrilli: “Per un parlamento dei luoghi. Le scenografie bastarde di Spazio calmo”.
Come muoversi all’interno del disorientante campo di Spazio calmo? Come rispondere allo smarrimento provocato dalla nostra assenza o dal senso di vertigine prodotto dall’aver portato in primo piano tutto quello che comunemente è lasciato sullo sfondo? Come approcciarsi alla naturalezza con cui Spazio calmo ha anticipato il presente senza venire fagocitati dalle nostre ansie targate COVID? Per lasciare sbocciare un’idea di spazio senza comprometterla con la nostra ossessione del momento, cioè riconquistarlo, un passaggio iniziale quanto essenziale è imparare da due progetti politico-filosofici che negli ultimi decenni hanno cercato di sviluppare cosmologie alternative, rigettando l’ordine classificatorio moderno e alterando le gerarchie della realtà a cui siamo stati socializzati. Esperimenti che sono in grado di snaturare l’architettura antropocentrica del mondo – la quale non soltanto è asservita all’umano, ma è anche funzionale a riprodurne una definizione normalizzante – grazie al contributo di elementi fino a ora esclusi dalla concezione dominante. Il riferimento, più semplicemente, è a due parlamenti di recente istituzione.
Il primo è il “parlamento delle cose” di Bruno Latour, una nuova istituzione creata per dare rappresentanza al non-umano. Latour vuole superare la distinzione obsoleta e “anticostituzionale” tra umano e non-umano, riconoscendo i diritti dei quasi-oggetti che popolano il mondo. I quasi-oggetti sono il buco dell’ozono, le sostanze stupefacenti, i robot dotati di sensori e via discorrendo, vale a dire quegli ibridi sulla soglia tra natura e cultura. Simultaneamente oggetti e soggetti ma, allo stesso tempo, né l’una né l’altra cosa, i quasi-oggetti risultano “invisibili, impensabili, impresentabili” per le categorie di senso moderne. Il parlamento delle cose accoglie e dà voce a questi mostri e chimere perché riconosce il loro contributo – grazie alle relazioni che costruiscono tra essi e con noi umani – nel produrre quel nodo gordiano che è il mondo.
Il secondo è il “parlamento dei corpi” di Paul B. Preciado, in cui viene rivoltata la concezione imperialista dello spazio espositivo museale moderno. Questo, infatti, nasce dagli stessi presupposti di colonialismo, suprematismo ed eteronormatività per creare un canone che si concretizza in gabbie-opere in cui viene esibito “il corpo degli esclusi dal discorso” – come li chiama il collettivo Tiqqun. Corpi, vite ed esperienze altrui messe in mostra attraverso uno sguardo esotizzante che letteralmente ammutolisce l’Altro e il suo essere nel mondo. Per Preciado, distruggere la relazione di sudditanza che il nostro sguardo da “visitatori estetici o consumatori neoliberisti” impone su quel corpo, significa presentificare vite e saperi altri per dare “visibilità a narrazioni dissidenti, eterogenee e minori”. Il parlamento dei corpi non accoglie né il corpo silenziato degli esclusi, né il corpo massificato in funzione del mercato o di altri regimi di controllo, né il corpo individualizzato dalla nuova ragione del mondo neoliberista, ma attraverso un poliedrico “esercizio di libertà” fatto di parole, movimenti e gesti dà voce a corpi ibridi e deliranti, alle prese con continue mutazioni.
Spazio calmo è un’esaltazione del non-umano, non semplicemente perché gli lascia la scena, ma perché istruisce il nostro sguardo a diventare complice dei quasi-oggetti che dischiudono in questo modo tutto il loro potere agentivo. È un gioco di ambivalenze e divenire altro: accade quando la sovrapposizione di texture e pieghe di un telo ci immerge in un territorio naturale quanto digitale, o quando i segni del passaggio dell’umano su una superficie di pietra trasmutano in pitture rupestri tanto precise quanto libere dalla logica della progettualità e del senso. È riconosciuta l’abilità dei quasi-oggetti di relazionarsi gli uni con gli altri per comunicare qualcosa: una struttura in metallo inserita ordinatamente all’interno di un piano prospettico non rovina la supposta naturalezza di un viale alberato per colpa della sua differenza, perché all’opposto rivela come quello spazio fosse già costruito e artificiale prima del suo stesso intervento.
I quasi-oggetti hanno la capacità di non essere banalmente al nostro servizio, ma di trascendere la propria materialità per diventare simboli. Alla genesi della musica elettronica da ballo – e quindi di una industria del divertimento che smette di essere spettatoriale – c’è il fratricidio post-umano del dj che fondendosi con le tecnologie elettroniche cancella le orchestre del liscio, gli ensemble jazz e le band rock. Il vuoto prodotto dalla scomparsa dei musicisti non è occupato da altro ego – almeno fino all’avvento delle Superstar dj – perché la musica elettronica, come sosteneva Dan Sicko in Techno Rebels: The Renegades of Electronic Funk, “indirizza l’attenzione esclusivamente sulla musica” e, al centro del palco, lo spazio è presto occupato dalla figura totemica del muro di casse. In Spazio calmo questo simbolo è incappucciato, in un impressionante rimando ai prigionieri torturati dai militari statunitensi ad Abu Ghraib. Ma mentre Satar Jabar è vittima del terrore di chi vorrebbe farlo parlare, qui la cassa coperta smette di essere il simbolo della festa e dell’incontro per diventare quello del silenzio e del distacco, quindi del nostro presente.
I corpi, invece, hanno una collocazione opposta in Spazio calmo, come se ci fosse il rischio di rovinarlo con il loro possibile e invocato potere delirante. E infatti assumono solo connotati negativi: diventano il simbolo di un errore (o del dubbio) quando appaiono (forse) involontariamente dietro una colonna; spogliati di qualsiasi specificità e rinchiusi nella purezza del bianco, sono resi dei quasi-manichini; la loro carnalità è anestetizzata dalla bidimensionalità di uno schermo che la riduce a mero spettacolo; quando, finalmente, sono posti in primo piano e al centro della scena, allora sono immortalati di spalle e inseriti all’interno di un’altra opera come a dimostrare il pericolo che rappresentano per lo stesso Spazio calmo.
I corpi assenti non sono solo quelli del pubblico, degli artisti e dello staff perché i luoghi scelti per Spazio calmo evocano immediatamente quelle presenze fantasmatiche che si aggirano e vegliano al loro interno. I corpi sventrati nel mattatoio Macao, le schiene piegate e i movimenti meccanizzati dalla catena di montaggio al Lingotto FIAT, le mani gonfie e la pelle bruciata dei pescatori di Ortigia, i polmoni infestati e le gambe stremate degli operai nelle cave di marmo e granito del Nextones, la servitù senza nome al Castellazzo di Terraforma sono tutte soggettività minori e dimenticate, da cui è stata estratta ogni energia per fomentare la macchina proto- e capitalista che ha prodotto il mondo come lo conosciamo. Nella doppia assenza che accomuna Spazio calmo diventa lecito chiedersi se lo stesso non sia valido anche per quel pubblico, quegli artisti, quello staff a noi più vicini. Detto altrimenti, emerge il dubbio che il superamento della spettatorialità moderna non sia stato solo una liberazione per quelli che Tim Lawrence battezza party pariahs – “il corpo degli esclusi dal discorso” che inizia a comunicare sul dancefloor – ma abbia rappresentato anche una nuova modalità di consumare le energie dei viventi da parte dell’industria del divertimento.
Tuttavia, non è possibile limitarsi a questo punto, perché i parlamenti da cui siamo partiti ci spingono oltre la nostra soglia antropocentrica. Dopotutto, assieme a quasi-oggetti e corpi, un altro elemento costituente di questo progetto richiede riconoscimento, quello dei luoghi che lo hanno accolto. Spazio calmo offre un’opera di mediazione unica tra spettatore e contesto perché, grazie al suo sguardo non-allineato, non attraversa semplicemente dei luoghi, ma li taglia per aiutarci a riflettere, in maniera situata e non astratta, al riguardo. Negli ultimi decenni, l’industria del divertimento è stata testimone di una diaspora, con gli eventi musicali che hanno smesso sempre più di essere ospitati nei loro esercizi di riferimento. Dopo essere stati un motore della night-time economy, i club di musica elettronica come i locali di musica live sono diventati una vittima della rigenerazione urbana, perché al disordine sonico e all’intossicazione festosa alimentata da questi contesti è preferita la ricreazione civilizzata di ristoranti e cocktail bar. I luoghi di Spazio calmo sono il prodotto di questo movimento, dei rifugi colonizzati da tutto quello che non era più benvenuto nello spazio urbano.
X conta come Y in C. Istituire un parlamento dei luoghi significa riconoscere anche al contorno il suo “spazio” di azione. E all’interno di queste pagine significa chiedersi come dovrebbero essere trattate le scenografie bastarde che non hanno fatto da semplice cornice a Spazio calmo, ma lo hanno generato grazie al loro potenziale estetico e alla loro influenza materiale. L’essere state complici delle riterritorializzazioni dell’industria del divertimento citata poc’anzi non sembra sufficiente per accusarle di essere succubi alle necessità del profitto esperienziale. Allo stesso modo, invocare il loro passato – ed esibirle per quello che hanno rappresentato – significa essenzializzarle, un esito contrario rispetto agli intenti progressisti del parlamento. Spazio calmo non fa niente di tutto questo, perché non si ferma al limite del puro ragionamento logico, ma si proietta fisicamente all’interno dei luoghi che attraversa, per trasmettere l’abbraccio della vuota imponenza del Lingotto, come se ti accogliesse nel suo ventre stanco; la capacità di farti perdere dei giardini di Villa Arconati, nonostante la loro geometria; la seduzione non lineare del Macao che non ricerca una pulizia espressiva, ma sovrappone piani senza adattarli e limarli gli uni agli altri; l’affronto delle cave del Nextones, in grado di saturarti nella loro pienezza. Il risultato è quindi un’esaltazione della natura ibrida di questi quasi-luoghi: non più macelli, fabbriche, miniere e non ancora dei banali contenitori; scenografie bastarde che nel loro essere in mutazione non servono solamente da palcoscenico all’eventificazione del divertimento, ma offrono anche delle vie di fuga grazie alle eccezionali atmosfere in cui ci immergono.
Estratto da Spazio calmo. Musica, architettura, corpi (Supersento, 2021).
Spazio Calmo VS Notti tossiche.
Presentazione e festa giovedì 14 aprile, ore 19 al Fanfulla, Roma. Con Enrico Petrilli, Valerio Mattioli, N.W.R. Next Week Revolution, Hyiils (LIVE), La Diferencia (dj set).
Il talk sarà in diretta radiofonica per Trasmissione da Roma Est.