C hi è Murong? L’ombra di una gabbia di caucciù disegna una griglia di luce sui tratti androgini dello spadaccino. In Ashes of Time (1994), il film più ermetico dell’allora trentaseienne Wong Kar-wai, Murong è sia uomo che donna, sia Yang che Yin e le immagini stratificate e materiche che lo accompagnano ne rispecchiano l’identità sessuale ibrida e fluttuante. L’attrice taiwanese Brigitte Lin, già eroina asessuata e coi capelli tagliati corti in Peking Opera Blues (1986) del regista cantonese Tsui Hark, perfeziona in Ashes of Time il personaggio dal sesso ambiguo. È lei a impersonare la parte dello spadaccino transgender, in cui, a seconda del momento, emerge la natura maschile o quella femminile. La narrazione procede per suggerimenti, sensazioni e sottrazioni. Le relazioni tra i personaggi sono accennate, ma mai spiegate in maniera esauriente. Attraverso un’estetica pulviscolare che smargina i corpi e le cose, anche la linearità degli eventi viene completamente scombinata: i personaggi intrecciano le loro vicende in uno stream of consciousness ininterrotto di azioni e reazioni, in cui i piani temporali si intersecano in un presente appena trascorso e in un passato troppo sepolto per essere ricordato.
Ashes of Time ricodifica un genere classico di tradizione millenaria della cultura popolare cinese, il wuxia, il racconto cioè di arti marziali di cavalieri erranti e solitari in una Cina arcaica ed imperiale. La rilettura del wuxia di Wong Kar-wai trascura però i combattimenti, ridotti a marginali scontri furiosi e rapidissimi, e snatura un genere che ha sempre messo al suo centro la spettacolarità dei combattimenti. Quello che realizza Wong Kar-wai è un vero e proprio anti-wuxia. In Ashes of Time ritorna però un tratto saliente di questo genere di arti marziali, vale a dire una certa libertà nella rappresentazione dell’identità sessuale: non solo vengono mescolati generi e stili, ma anche il corpo, come insegna l’Opera di Pechino, è una maschera, e varia a seconda dei ruoli. Di più, il terzo film di Wong Kar-wai è un wuxia avanguardistico e sperimentale, in grado di collocare un genere storicamente simbolo della diaspora cinese del Sud-Est Asiatico – che nelle ambientazioni mitiche e quasi astratte proiettava il proprio senso di appartenenza ad una “comunità immaginaria” (Benedict Anderson) – nel contesto arty ed intellettuale dei festival internazionali di cinematografia. Alla fine degli anni Novanta l’era del cinema globalizzato è alle porte, e il genere wuxia si appresta a giocare un ruolo di primissimo piano: basti pensare all’esordio di una major americana sul suolo cinese, la Celestial Picture, con la produzione a inizio millennio del blockbuster di Ang Lee La tigre e il dragone (2000).
Ashes of Time rimane dunque il punto di arrivo nella storia di un genere, il wuxia, che di cambiamenti e rivoluzioni interne ne ha viste tante. Come ad esempio a metà degli anni Sessanta, quando, con l’affacciarsi della modernità e dell’ascesa di Hong Kong a “Tigre dell’Asia”, anche il cinema mainstream di Hong Kong rispose all’impetuosa crescita economica dell’ex-colonia britannica creando coreografie ipercinetiche di lotta al limite dell’impossibile, disegnate da valorosi spadaccini (o con molta naturalezza anche spadaccine), eunuchi avidi di potere e monaci corrotti in vesti color zafferano.
Balletti di morte e spadaccini monchi
Con il termine nuovo cinema wuxia ci si riferisce alla rinascita che questo genere conobbe grazie ai successi strepitosi di una serie di film in cinese mandarino, in technicolor e in formato anamorfico, prodotti dal celebre studio di Hong Kong Shaw Brothers. Nel nuovo wuxia la classica trama di chanson de geste si fondeva con motivi dello spaghetti western italiano e del filone cappa e spada giapponese (chambara). Acrobazie e scene di realistica violenza prendevano il posto delle trovate fiabesche e soprannaturali tipiche del wuxia cantonese degli anni Cinquanta, e, prima fra tutte, della famosa tecnica del palmo di Buddha con la quale il nemico, tramite fasci di energia, spesso semplicemente disegnati sopra la pellicola, veniva colpito a morte.
Ashes of Time ricodifica un genere classico di tradizione millenaria della cultura popolare cinese, il wuxia, il racconto cioè di arti marziali di cavalieri erranti e solitari in una Cina arcaica ed imperiale.
L’aspetto seriale del genere wuxia rimane anche in questa fase di modernizzazione un principio ricorrente. One-Armed Swordsman (1967), l’epopea del sanguinoso martirio dello spadaccino monco nonché il primo film di Hong Kong ad aver incassato un milione di dollari, avrà due sequel, parecchi remake e spin-off. Nel 1971 fu realizzato anche un crossover – Zatoichi meets the One-armed Swordsman – una coproduzione giapponese con due finali alternativi a seconda del paese di distribuzione. Il regista pioniere di One-Armed Swordsman è Chang Cheh, ex-giornalista passato con successo dietro la cinepresa e destinato a dare grande lustro agli Show Brothers, arrivando a girare un centinaio di pellicole spaziando tra generi. I suoi film wuxia sono contraddistinti da un’ossessiva glamorizzazione della morte che incombe su un mondo arcaico e truculento, espresso in simbologie falliche di lance e spade che penetrano, dismembrano e trapassano, così esibendo il corpo maschile in azione. Anche se a partire dagli anni Settanta la critica ha interpretato i film di Chang Cheh prevalentemente come espressioni di un’omosessualità latente e piuttosto sadica, che obbliga i suoi personaggi a destini atroci e ad agonie prolungate, il regista ha sempre negato ogni contenuto omosessuale dei suoi film, limitandosi a dichiararsi a conoscenza delle teorie di Freud riguardo l’interpretazione di spade e lance (a tal proposito l’intervista a Chang Cheh nel documentario di Stanley Kwan Yang ± Yin: Gender in Chinese Cinema, 1996).
Negli anni Ottanta il cinema mascolino omoerotico di Chang Che verrà riscoperto dai gangster thriller del suo allievo John Woo, il quale dipingerà un universo di soli uomini dove le pistole sostituiscono le spade. Come ad esempio in A better Tomorrow (1986), un capolavoro del genere heroic bloodshed (letteralmente: eroici bagni di sangue), dove Woo attinge a piene mani dall’estetica e dall’ideologia del wuxia e dalla tradizione del noir europeo, elevando l’amicizia virile e la fratellanza a codice morale di una casta di pochi eletti. Ralenti e marche di enunciazione amplificano in maniera lirica la grottesca riluttanza dei protagonisti a morire, mentre i loro gesti sontuosi verso il martirio e la loro impeccabile eleganza firmata Armani consacreranno i gangster di A Better Tomorrow a nuovi e moderni cavalieri romantici.
All’interno della storiografia del cinema wuxia degli anni Sessanta-Settanta è un topos diffuso contrapporre la produzione di Chang Cheh, con i suoi eccessi sanguinolenti e feticistici, a quella formalista del regista e auteur King Hu. Dove le coreografie wuxia di Chang Cheh compiacciono lo sguardo nel mostrare in modo eccessivamente esauriente i rapporti di cause ed effetto, di azione e reazione, quelle di King Hu ne costituiscono l’antitesi, prediligendo un’estetica del frammento, volta a disorientare lo spettatore. Nel cinema di King Hu la totalità dell’azione viene scomposta in una moltitudine di astratte fasi intermedie, e la tradizionale sintassi filmica è sconvolta da contrasti forti di primi piani e totali. Come Drink With Me (1966) è il primo film wuxia di King Hu a far conoscere il genere ai cinefili occidentali. È inoltre un elegante tributo al musical con diversi elementi di chiara matrice teatrale: sottolineature musicali extradiegetiche, gli intermezzi dei bambini come coro greco e infine l’ambientazione in uno spazio chiuso, una taverna che si trasforma in un palcoscenico. La taverna è il corrispettivo del saloon nel western: un crocevia di viandanti, di cavalieri erranti, di personaggi solitari dal largo cappello, dove gli avventori passano il tempo bevendo e giocando a mahjong. Ma è anche un luogo dove si consumano intrighi e si servono bevande avvelenate o il ritrovo di carbonari e spie, dove si scambiano o intercettano mappe o documenti segreti.
Il cinema di King Hu raggiungerà però la sua forma piena solamente con Dragon Inn (1967), film di culto girato a Taiwan, dove primeggia quell’“estetica del balenio”, che secondo David Bordwell caratterizza su di un piano formale sequenze di combattimento, nelle quali, tramite un sapiente uso del montaggio costruttivista, alcuni passaggi dell’azione vengono omessi, spingendo così lo spettatore a dover saturare mentalmente le ellissi narrative. I duelli tra l’eunuco Zhao e una banda di rinnegati si svolgono in una sperduta locanda nella steppa, senza una vera e propria motivazione narrativa, orchestrati da forze sovrannaturali e punteggiati dal caratteristico suono del bagzi, lo strumento a percussione di legno immancabile nell’opera pechinese. I jump-cut e i falsi raccordi che destrutturano la scena sono riconducibili da un punto di vista diegetico alle capacità sovrannaturali dei protagonisti che saltano e si muovono a una velocità tale da sfuggire a qualunque occhio umano (e anche al cineocchio meccanico della cinepresa, per dirla con Dziga Vertov).
Dove le coreografie wuxia di Chang Cheh compiacciono lo sguardo nel mostrare in modo eccessivamente esauriente i rapporti di cause ed effetto, quelle di King Hu ne costituiscono l’antitesi, prediligendo un’estetica del frammento.
Stacchi e tagli di montaggio contribuiscono però anche a creare quel ritmo serratissimo che impedisce di scorgere pedane, trampolini e wire work – vale a dire tutti quegli effetti speciali e prop dell’era predigitale, al servizio di un cinema che pur volendo essere più verosimile rispetto alla tradizione precedente, spesso sconfina nel regno del fantastico. In quello che è considerato il capolavoro di King Hu, in Touch of Zen (1971), il limite tra realtà e fantasia viene rimarcato dall’immaginario metafisico e buddista. In una foresta di bambù la lotta manichea tra Dao (il Bene) e Mo (il Male) è anche quella contro la forza di gravità: una nüxia (figura letteraria del guerriero errante donna) e un pavido erudito (lo shusheng, la tipologia dello studente debole e romantico, anch’esso un ruolo tradizionale della cultura popolare cinese) combattono fianco a fianco, volteggiando tra le canne di bambù. Il leggero fruscio delle vesti e l’acuto suono delle spade cozzanti sono i soli effetti sonori di questa scena d’ipnotica bellezza.
Introverse Spadaccine e radiose guerriere
L’universo di King Hu pullula di eroine abili nelle arti marziali, belle, silenziose, temibili e all’occorrenza più spietate degli uomini (celebre l’episodio in cui Xu Feng uccide a sangue freddo un nemico inerme in A Touch f Zen). Queste leggendarie spadaccine sono per lo più affiancate da personaggi maschili pusillanimi e facilmente in balia di fantasmi seducenti ed in cerca di reincarnazione (come in Legend of the Mountain, altro film wuxia di King Hu). La predilezione per la figura della guerriera donna non è però una sola prerogativa del cinema di King Hu, bensì una tematica ricorrente della tradizione wuxia. È tuttavia indubbio che soprattutto King Hu abbia contribuito a rendere popolare anche in occidente questo ruolo. Il personaggio della Rondinella in Come Drink with Me è un’aggraziata e al contempo marziale spadaccina che combatte in pantaloni e non ha una fissa dimora ed è quindi un affronto proto-femminista alla femminilità domestica e consenziente dell’etica del Confucianesimo. Anche Chang Cheh riprende in Golden Swallow (1968) il ruolo della Rondinella ma il suo cinema virile trasforma l’eroina di Hu in un personaggio secondario che perde molte delle sue capacità guerriere, riducendosi al ruolo più tradizionale di oggetto d’amore conteso tra due uomini.
Lo stereotipo dello spadaccino fisicamente mutilato e allo stesso tempo invincibile è offerto nuovamente, sebben in chiave femminile, in The Deaf and Mute Heroine (1971), un wuxia psichedelico anni Settanta dell’attore-regista Wu Ma. Un capannello di malintenzionati circonda l’eroina solitaria – una silhouette nera ritagliata in un irreale sfondo arancio. Uno zoom repentino ne accentua lo sguardo fiero, mentre la sua spada cala sulla minaccia avanzante: compaiono i primi titoli di testa, ritmati da un trascinante ed ipnotico sottofondo sonoro di percussioni alla Tarantino. Comincia così paradossalmente un film che narra delle gesta di un’eroina sordomuta con una forte sensibilità musicale che scandisce movimenti precisi e fatali: ecco il primo nemico infilzato e tenuto sospeso nell’aria, un primo bottino di guerra di colei che non sente e non parla, ma che lascia infuriare dentro di sé la più rumorosa battaglia.