N ell’aprile del 1990, su commissione di Rolling Stone, Lou Reed volò a Praga per incontrare Václav Havel: “Un mio eroe, un poeta, un drammaturgo, un grande uomo”. Leader del partito Občanské Forum, Havel era stato nominato Presidente della Repubblica il 29 dicembre 1989, incarico confermato sei mesi dopo dal risultato delle prime elezioni libere in Cecoslovacchia dal 1946. (Fra gli atti amministrativi d’inizio mandato, spicca la designazione di Frank Zappa ad Ambasciatore Speciale in Occidente per il Commercio, la Cultura e il Turismo, rango successivamente revocato su richiesta del governo statunitense.) Havel raccontò a Lou Reed che
alla fine degli anni Sessanta qui da noi ci fu un’ondata di musica rock… Dopo l’
invasione sovietica la maggior parte dei gruppi si sciolsero o cominciarono a suonare musica diversa, perché in effetti la buona musica rock era vietata. Ci fu tuttavia una band in particolare che durò, non si ribattezzò e non cambiò. In verità ce n’erano diverse, ma questa era la più conosciuta. E il suo stile musicale era molto influenzato dai Velvet Underground, di cui nel 1968 avevo portato un disco da New York. Fu uno dei loro primi dischi…
E questo gruppo cominciò a essere perseguitato: prima perse il proprio status professionale e poi poté suonare solo in feste private. E per un certo periodo suonò anche nel fienile del mio cottage estivo, dove organizzavamo, in modo assai complicato, concerti segreti… Il suo nome era Plastic People of the Universe e nei bui anni Settanta e Ottanta scaturì da lì un movimento underground. Quindi vennero arrestati. Con alcuni amici organizzammo una campagna contro la loro detenzione e fu abbastanza difficile convincere certe personalità molto serie, tipo accademici e premi Nobel, a prendere posizione a sostegno di irsuti musicisti rock. Ciò nonostante, ce la facemmo. E questo portò alla costituzione di una sorta di comunità solidale. Gran parte di quei musicisti furono liberati o ricevettero sentenze miti sotto la pressione della nostra campagna. Ci convincemmo che quella comunità non dovesse dissolversi, ma continuare in forma più stabile, e così nacque l’organizzazione Charta 77 (…) Con questo voglio dire che la musica, la musica underground, in particolare un disco dei Velvet Underground, ha avuto un ruolo piuttosto significativo nello sviluppo del nostro paese.
(Rolling Stone alla fine rinunciò a pubblicare il pezzo, che uscì invece poco dopo sul periodico Musician e fu poi ripreso nel volume Between Thought and Expression.)
La sequenza di eventi che riportò la democrazia in Cecoslovacchia fu denominata Rivoluzione di velluto. “Non siamo stati noi a chiamarla in quel modo, ma i giornalisti occidentali: a loro piacciono le etichette semplici”, spiegò Havel a Lou Reed. “Comunque ha preso piede pure qui e viene usata ancora adesso. Ed è vero che, a parte il massacro iniziale, la nostra rivoluzione non è stata sanguinosa, ma questo non significa che sia stata necessariamente così vellutata. O che abbiamo vissuto un periodo vellutato”.
Su richiesta del Presidente, in serata Reed si recò in un club ad assistere a un concerto dei Půlnoc, gruppo derivato dai Plastic People of the Universe, salendo quindi sul palco per eseguire qualche canzone dal suo ultimo album, New York, e infine – raggiunto dai musicisti cechi – alcune cover dei Velvet Underground. Avrebbe offerto poi personalmente agli stessi Půlnoc l’opportunità di aprire per il suo concerto in coppia con John Cale legata a Songs for Drella, il disco di tributo ad Andy Warhol, alla Fondation Cartier di Parigi il 15 giugno 1990, che si concluse con la rimpatriata con Sterling Morrison e Maureen Tucker, preludio alla ricostituzione del quartetto, che si sarebbe esibito dal vivo al Palác Kultury di Praga il 13 giugno 1993.
Intorno a metà anni Sessanta, nella capitale si era addensata una vivace scena rock chiamata “bigbit”, ispirata ai modelli angloamericani – su tutti i Beatles, di cui erano epigoni locali di successo gli Olympic – esportati via etere da Voice of America e Radio Free Europe. In apparenza il regime sembrava tollerare quell’effervescenza giovanile, ma l’arrivo di Allen Ginsberg nel marzo 1965 incrinò l’equilibrio: invitato dagli universitari praghesi a tenere conferenze e reading, il profeta della Beat Generation non mancò di attaccare il Presidente in carica, Antonín Novotny, e fu perciò espulso dal paese. La sua visita provocò un’impennata nel numero di aspiranti hippies, fenomeno che contribuì a rendere la città insolitamente aperta per gli standard d’oltrecortina: avvisaglia della Primavera che sarebbe sbocciata con le riforme liberali – fra cui l’allentamento dei lacci della censura sui media e sulla produzione culturale – introdotte da Alexander Dubček, nominato leader del Partito Comunista il 5 gennaio 1968.
L’arrivo di Allen Ginsberg nel marzo 1965 incrinò l’equilibrio: invitato dagli universitari praghesi a tenere conferenze e reading, il profeta della Beat Generation non mancò di attaccare il Presidente in carica, Antonín Novotny, e fu perciò espulso dal paese.
Era il “socialismo dal volto umano”: esperimento stroncato sul nascere dall’invasione delle truppe del Patto di Varsavia, che nella notte fra il 20 e il 21 agosto occuparono militarmente la Cecoslovacchia con 200mila uomini e duemila mezzi corazzati. Per reazione, il ventenne studente di filosofia Jan Palach s’immolò dandosi fuoco in piazza San Venceslao il 16 gennaio 1969, morendo tre giorni dopo per le ustioni, emulato immediatamente dal 26enne Josef Hlavaty e nelle settimane seguenti dal 19enne Jan Zajíc e dal 39enne Evžen Plocek. Il nuovo governo insediato dai sovietici e affidato a Gustáv Husák rimise le cose a posto anche per quanto riguardava la musica: era proibito suonarla in strada e comporla in lingua inglese, mentre veniva ripristinata la censura radiofonica. Il popolare cantautore Karel Kryl sfogò la frustrazione propria e altrui scrivendo un inno contro l’occupazione, Bratricku, Zavirej Vratka (“Chiudi la porta, fratellino”), prima di espatriare da esule in Germania Ovest.
Figura chiave nel sottobosco della capitale durante il processo di “normalizzazione” fu lo storico dell’arte, poeta e dissidente Ivan Martin Jirous, soprannominato “Magor”, il Matto, che in precedenza aveva divulgato la musica di Velvet Underground, Frank Zappa e Fugs, oltre a gestire una band chiamata Primitives Group. Egli teorizzava l’esistenza di un “mondo parallelo” detto Druhé Kultury, “Seconda Cultura”, il cui manifesto programmatico proclamava: “Uno degli scopi principali dell’arte è creare disordine. Qui in Boemia lo scopo dell’underground è la creazione di una Seconda Cultura, una cultura che non dipenderà dai canali della comunicazione ufficiale, dal riconoscimento ufficiale e dalla gerarchia di valori stabilita dal Sistema”.
Uno degli scopi principali dell’arte è creare disordine. Qui in Boemia lo scopo dell’underground è la creazione di una Seconda Cultura, una cultura che non dipenderà dai canali della comunicazione ufficiale, dal riconoscimento ufficiale e dalla gerarchia di valori stabilita dal Sistema.
Fu Jirous a indirizzare l’azione del bassista 17enne Milan “Mejla” Hlavsa, intorno al quale si aggregarono subito dopo l’invasione altri musicisti, in particolare il chitarrista Josef Janíček (ex Primitives Group) e il violista Jiří “Kába” Kabeš, poco più che ventenni. Se l’attitudine del progetto era debitrice dei Velvet Underground, con “Magor” deus ex machina alla maniera di Warhol, lo stile espressivo prendeva spunto dai Fugs e da Zappa, tant’è vero che la denominazione scelta alludeva a un brano di quest’ultimo, Plastic People, incluso in Absolutely Free dei Mothers of Invention. Nella dozzina di show tenuti nel corso del 1969 la formazione mise in scena un happening a base di sonorità stravaganti (in repertorio c’erano cover di Velvet, Fugs e Doors, accanto a un paio di originali su testi del poeta Jiří Kolář), aspetto pittoresco (toghe di raso bianco, i volti resi simili a maschere dal make-up), editti identitari (uno striscione con scritto “Jim Morrison è nostro padre”) e luci psichedeliche, cui si aggiungevano l’animazione sul palco di funamboli e giocolieri, richiamando l’archetipo “vellutato” dell’Exploding Plastic Inevitable. Un anticonformismo insopportabile per l’organo di regime “Rudé Právo”, dov’erano descritti così: “Capelloni drogati e nevrotici, casi psichiatrici che si dilettano nelle perversioni più grossolane e cantano canzoni deliberatamente sconce e antisociali”.
Siccome per disposizione di legge i gruppi musicali dovevano avere nome in ceco, cantare in madrelingua e sottoporre i testi al vaglio della censura, nel gennaio 1970 fu revocata loro la licenza professionale, cosa che impediva di utilizzare apparecchiature e sale prova di proprietà statale e di ricavare reddito dal proprio lavoro. Rievocava Janíček: “In quei giorni abbiamo dovuto sostenere un’audizione di fronte alla commissione responsabile della registrazione ufficiale delle band, che giudicò la nostra musica molesta per i giovani e ci sequestrò la strumentazione”. Necessariamente l’attività divenne dunque semiclandestina: le licenze temporanee concesse a Jirous per lezioni “dimostrative” su Andy Warhol e i Velvet Underground costituivano il paravento per dissimulare concerti fatti impiegando strumenti autocostruiti o acquistati al mercato nero. Frattanto “Magor” li aveva convinti ad affidare il ruolo di cantante al canadese Paul Wilson, arrivato in zona da Oxford nel 1967 e reclutato inizialmente come insegnante d’inglese, ma la vita del gruppo si faceva ogni giorno più accidentata, con apparizioni annunciate usando quali pretesti falsi matrimoni o feste scolastiche: eventi in genere interrotti dall’arrivo della polizia con successiva schedatura dei presenti. Dopo uno spettacolo cancellato a Praga nel giugno 1972, e i conseguenti tafferugli tra le forze dell’ordine e i fan, il divieto di esibirsi in pubblico diventò definitivo.
Al termine di quel periodo tormentato al posto di Wilson subentrò il sassofonista Vratislav Brabenec, allora 30enne: musicista più esperto che deviò il suono della band verso il jazz “progressivo” di Soft Machine e Henry Cow, da cui era stato influenzato durante un soggiorno londinese, e insistette affinché si eseguissero esclusivamente composizioni originali in lingua ceca, proponendo per i testi gli scritti del filosofo e poeta surrealista Zbyněk Fišer, in arte Egon Bondy. Sviluppando quel canovaccio prese forma il materiale registrato fra il 1974 e il 1975 presso l’antico castello gotico di Houska, condensato poi nell’album intitolato – parafrasando il classico dei Beatles Sgt. Pepper’s… – Egon Bondy’s Happy Hearts Club Banned: pressato in Irlanda, assemblato in Francia con copertina realizzata in Inghilterra e spedito per la distribuzione in Olanda nel 1978. Un bizzarro concentrato di poesia e cacofonica sperimentazione naïf: “Soprattutto nei primi anni, buona parte delle registrazioni non era fatta con la prospettiva di ricavarne dischi, ma solo per il piacere nostro e di alcuni amici, e questo ne spiega la scarsa qualità tecnica”, avrebbe confessato Hlavsa nel 1997. Frattanto il 30 marzo 1974 Jirous aveva organizzato un concerto clandestino a České Budějovice, in Boemia, dove la cricca si era trasferita allontanandosi dalla capitale per sottrarsi al controllo poliziesco. Un evento in stile rave antelitteram: preavviso di 24 ore attraverso il passaparola, appuntamento in una stazione ferroviaria di Praga, indicazione di un villaggio fuori città, accoglienza all’arrivo e indirizzamento alla meta finale. Accorsero circa 1.500 persone, ma trovarono ad aspettarle una schiera di gendarmi che malmenarono, schedarono e arrestarono decine di partecipanti. Jirous non si scoraggiò e a inizio settembre convocò a Postupice il Primo Festival della Seconda Cultura, nome in codice “Hannibal’s Wedding”, con i “plastici”, DG 307, The Old Teenagers e altri. Esperienza replicata il 21 febbraio 1976 a Bojanovice nel “Magor’s Wedding” affollato da qualche centinaio di máničky, “capelloni”, com’erano detti i frequentatori del sottobosco autonominatosi “ghetto felice”. Alla calma apparente di quella giornata seguì la tempesta: nella notte fra il 16 e il 17 marzo una retata portò al fermo di una trentina di artisti e numerosi affiliati. A settembre, nel relativo processo per “disturbo della quiete pubblica”, gli imputati furono accusati di propagandare “nichilismo, decadenza e clericalismo”, subendo condanne a pene variabili da otto mesi (Brabenec) a un anno e mezzo di detenzione (Jirous, che nel tempo avrebbe accumulato complessivamente quasi un decennio di reclusione), mentre Wilson – nonostante fosse ormai estraneo al gruppo – venne espulso dal paese.
L’effetto fu però opposto a quello auspicato dal regime: il processo divenne infatti catalizzatore di un allargamento dell’area del dissenso, espresso nel documento Charta 77, circolato clandestinamente come samizdat nel dicembre 1976, sottoscritto da 247 firmatari, fra cui alcuni intellettuali noti oltre confine, e reso pubblico il primo gennaio del nuovo anno. Principale promotore era stato Václav Havel, che per questa ragione venne arrestato. Egli stesso ne trasse ispirazione per il manifesto del 1978 Moc Bezmocných (“Il potere di chi non ha potere”), dove affermava: “La libertà di suonare musica rock era intesa come libertà umana e dunque essenzialmente analoga alla libertà di impegnarsi nella riflessione filosofica e politica, alla libertà di scrivere, di esprimere e difendere gli interessi sociali e politici”. I Plastic People of the Universe erano diventati insomma un casus belli, ben al di là delle proprie intenzioni: in circostanze diverse l’hanno confermato unanimemente gli interessati. Hlavsa nel 1997 allo studioso statunitense Richie Unterberger, che aveva inserito il gruppo fra “le leggende sconosciute del rock’n’roll”: “Ci piaceva suonare e volevamo diventare famosi (…) Anche se la band è stata fondata al tempo dell’invasione del Patto di Varsavia in Cecoslovacchia, ciò non ha influenzato la sua origine: non abbiamo riflettuto sulle cause o sugli effetti dell’invasione, ci siamo limitati a prenderla come dura realtà”. Opinione condivisa da Janíček: “Eravamo eroi riluttanti che volevano soltanto fare rock’n’roll”, dichiarò nel 2009 al New York Times. Lo stesso anno, interpellato dal Guardian, Brabenec disse: “Sono stati i politici a politicizzarci, offendendosi per quello che facevamo e per la musica che suonavamo, ci temevano perché non potevano gestirci”. Morale: “Siamo diventati dissidenti nostro malgrado”, le parole pronunciate nel 1988 da Hlavsa, che nell’occasione aggiunse: “Non avevamo alcuna ambizione politica e non intendevamo distruggere il comunismo con la nostra musica, ma se abbiamo contribuito a farlo non possiamo che esserne lieti”.
Nel relativo processo per ‘disturbo della quiete pubblica’, gli imputati furono accusati di propagandare ‘nichilismo, decadenza e clericalismo’.
A dispetto dell’eco suscitata da Charta 77, la repressione non diminuì affatto: “A volte ci sottoponevano a due o tre interrogatori al giorno, ciascuno dei quali durava dalle tre alle dieci ore, volevano sfinirci”, nel ricordo di Brabenec. Ciò nonostante continuarono a produrre musica che avrebbe trovato faticosamente sfogo su disco: Pašijové hry Velikonoční, opera rock affine alle imprese di Magma e Faust registrata nel 1978 dentro la dimora di campagna di Havel a Hrádeček, già sede nell’ottobre 1977 del Terzo Festival della Seconda Cultura, e diffusa nel 1980 oltre confine come Passion Play; Jak Bude Po Smrti, lavoro datato 1979 e ispirato al filosofo esistenzialista Ladislav Klíma, riesumato nel 1992 dal marchio praghese Globus, da allora responsabile di varie altre riedizioni; il relativamente più accessibile Co Znamená Vésti Koně, eseguito dal vivo in anteprima a Kerhatice nella casa di un amico, rasa poi al suolo da un incendio appiccato dalla polizia segreta, impresso su nastro nel 1981 e uscito con l’intestazione anglofona Leading Horses nel 1983. A pubblicarli per vie traverse era l’etichetta discografica Boží Mlýn Productions, fondata da Wilson in Canada, dove nel 1982 si rifugiò Brabenec sottraendosi alla persecuzione poliziesca. Seguirono ulteriori sedute di registrazione da cui scaturirono Hovězí Porážka (realizzato nel 1984 e stampato da Globus nel 1992) e Půlnoční Myš (creato nel 1986 avvalendosi della consulenza di Havel per i testi e reso disponibile l’anno dopo con il titolo Midnight Mouse dall’indipendente olandese Freedonia).
Niente concerti, invece: un paio fissati nel 1987 furono vietati dalla autorità e alla lunga l’azione di logoramento ebbe successo. Nel 1988, attraverso canali ufficiosi, il regime fece sapere loro che avrebbero potuto riottenere la licenza da musicisti a patto di cambiare nome: il gruppo si divise tra favorevoli e contrari e così Hlavsa, Janíček e Kabeš diedero vita ai Půlnoc (ossia Mezzanotte) e in quella veste poterono persino espatriare. Nell’aprile 1989 la nuova formazione andò in tournée negli Stati Uniti e il Los Angeles Times ne recensì uno show in città scrivendo: “I fan dei Plastic People e i neofiti curiosi sono stati travolti da una combinazione di heavy metal, art rock, melodie operistiche e propulsione degna di una locomotiva”. Tornarono oltreoceano nel 1990, facendo tappa il 30 ottobre al CBGB di New York (ce n’è testimonianza su YouTube), sulla scia del primo album edito in patria, cui se ne aggiunse un secondo pubblicato nel 1991 dalla major americana Arista, City of Hysteria, contenente una versione del classico targato Velvet All Tomorrow’s Parties e uno stile più convenzionalmente rock. Nel dicembre dell’anno seguente vi fu un’estemporanea rimpatriata dei Plastic People – documentata anche su disco – in occasione dell’uscita di Bez Ohňů je Underground, la storia della band narrata da Hlavsa.
Non sono meno dissidente adesso, nella società dello shopping a tutto spiano, di quanto fossi ai tempi del socialismo totalitario. È ancora tutta merda, solo di tipo diverso: dal Partito Comunista al Partito dei Cellulari Nokia, che cazzo di differenza c’è?
Era cambiato tutto, intanto. Prendendo slancio dai raduni sempre più affollati in piazza San Venceslao del novembre 1989, sull’onda generata dalla caduta del Muro di Berlino, aveva trionfato la Rivoluzione di velluto guidata da Havel, il quale nel documentario del 2001 di Jana Chytilova Plastic People of the Universe commentava: “Devo ammettere che la storia di Charta 77 mi pare ancora uno strano film dell’orrore con un finale da fiaba”. Fu il Presidente in persona a invitarli a tornare insieme nel gennaio 1997 per celebrarne il ventennale, esibendosi nella Sala Spagnola del Castello di Praga. Kabeš sintetizzava in questo modo la serata: “Non abbiamo suonato a lungo, appena cinque o sei canzoni, ma senz’altro è stato buffo vedere tutta quella gente in giacca e cravatta ballare e il ministro degli interni saltellare con un bicchiere di birra in mano”. L’anno seguente Hlavsa volò oltreoceano per suonare alla Casa Bianca accanto a Lou Reed in onore della visita ufficiale di Havel su invito di Bill Clinton (fu quando Hillary disse: “I Velvet Underground sono diventati la Rivoluzione di velluto”), riapprodando negli States all’inizio del 1999 per un tour dei Plastic People, prima di ammalarsi e morire prematuramente nel 2001. Al termine di un sofferto travaglio, gli altri decisero di proseguire, pubblicando pochi mesi dopo un disco in sua memoria: Líně s Tebou Spím. I “reati” compiuti negli anni Settanta furono poi definitivamente prescritti: “Non ho rilevato nei loro comportamenti elementi che possano essere considerati criminosi”, concluse il procuratore distrettuale Ondrej Smelhaus il 2 aprile 2003. L’epopea sgangherata dei Plastic People of the Universe costituì successivamente l’ossatura della pièce teatrale Rock’n’Roll, firmata nel 2006 da Tom Stoppard, commediografo di origine cecoslovacca, nato Tomáš Sträussler, fra le tante cose sceneggiatore di Brazil. Una drammaturgia che ha lasciato perplesso Brabenec: “Può essere interessante per chi sta fuori dalla Repubblica Ceca, mentre qui sembra un po’ patetica, perché fa passare per eroi persone come noi, che non lo sono affatto”. Lui stesso guida tuttora il gruppo insieme a Janíček, com’è accaduto nel 2018 per lo show del cinquantenario al Palác Akropolis della capitale e in altre occasioni, fino all’autunno del 2019, compatibilmente con l’età, benché lo spirito rimanga – è il caso di dire – bohémien. Brabenec continua d’altra parte a manifestare opinioni scomode, ad esempio in un passo dall’intervista citata: “Non sono meno dissidente adesso, nella società dello shopping a tutto spiano, di quanto fossi ai tempi del socialismo totalitario. È ancora tutta merda, solo di tipo diverso: dal Partito Comunista al Partito dei Cellulari Nokia, che cazzo di differenza c’è?”.