Insieme a un fiume d’amore per Dylan, con il Nobel alla Letteratura sono arrivate anche molte critiche. La migliore, in Italia, è stata quella di Tiziano Scarpa, su Primo amore, in grado di esprimere in modo chiaro e quasi attraverso un ragionamento maieutico, un certo senso di insoddisfazione: quelle di Dylan sono “poesie destinate esclusivamente a un apparato amplificatore e riproduttore elettrico (dal vivo o registrato), poesie legate esclusivamente alla forza motrice musicale; poesie legate esclusivamente alla voce di Dylan”.
Per me, il discorso centrale resta, soprattutto, uno: non esiste un modo per incontrare, conoscere e dunque amare Bob Dylan che non sia entrare nelle sue parole, dimenticare per un po’ i suoi dischi e le sue voci: queste ultime così diverse col passare del tempo, spesso anche tra un disco e l’altro, da creare uno straniamento che solo la continuità della sua poesia è sempre riuscita ad alleviare. Per nessun musicista come per Bob Dylan la musica potrebbe essere lasciata – anche solo per poco – da parte, per nessuno di loro come per lui vale questa eccezione quasi assurda alla regola. Qui ricordiamo un po’ delle sue parole, in primis per il loro contenuto altamente letterario.
Sulla carta. Le origini.
How many roads must a man walk down
Before you call him a man? (…)
Yes, ‘n’ how many ears must one man have
Before he can hear people cry?
“Blowin’ in the wind” è la canzone dei canzonieri, la base in lingua straniera di ogni prontuario di accordi per chitarra italiano, si incide negli annali come canto pacifista, inno generazionale su chitarra esile che esegue una melodia ricamata, come ammesso dall’autore alla fine del 1978, sulla struttura melodica spiritual di “No More Auction Block”, straziante canto degli ex-schiavi afroamericani liberati dopo l’abolizione della schiavitù in Gran Bretagna nel 1833: un brano che Dylan ci ripresenta poi nel primo mastodontico volume delle Bootleg Series.
Ad accogliere il primo vero pezzo di Dylan non fu un disco ma una rivista e questa oggi appare già come una luccicanza della più profonda vocazione dylaniana. La rivista in questione era Broadside, ciclostilata grazie a una macchina dell’American Labour Party, dava spazio alla nuova musica folk americana come una rivista musicale ante litteram e pubblicò il brano nel sesto numero, uscito nel maggio 1962. Il testo, che circolava in una registrazione amatoriale tra gli appassionati, si diffuse dunque, in prima battuta, su carta, accompagnato, come da prassi della rivista, dal suo spartito.
In questo senso, questa canzone vive la sua natura, ancora oggi, circolarmente, passata dalle sue origini, su un antico tipo di canzoniere a puntate, alla sua presenza quotidiana, negli occhi e nelle chitarre dei ragazzini, che arriva nel nostro tempo attraverso i moderni canzonieri da spiaggia. È un brano sconvolgente, linguisticamente tanto semplice, misurato e trasparente da raccontare non un fatto ma una forma di ragionamento insieme emotivo e filosofico, sopra i fatti della contemporaneità dell’epoca.
“Love Minus Zero/No Limit”
Decretata da Mojo e Uncut tra i migliori 25 pezzi di Dylan, “Love Minus Zero/No Limit” resta oggi in un’ideale top 3 dei suoi testi esemplari per alcune ragioni diverse. Da un lato la composizione che si presenta, agli occhi di chi la legge, come un poemetto in ottave, qualcosa che richiama alla vista il prologo dell’Orlando Furioso. In qualche modo, la canzone si configura come la sintesi perfetta dell’incontro della poetica dylaniana delle origini e la poesia alta. Convivono al suo interno immagini – e interi versi – che fanno riferimento a situazioni quotidiane, come ad esempio succede in questo passaggio:
In the dime stores and bus stations,
People talk of situations,
Read books, repeat quotations,
Draw conclusions on the wall
E, insieme, espressioni alte, spesso sfuggenti, che la critica ha di volta in volta analizzato alla ricerca di un significato primo per poi affibbiarne l’ispirazione a William Blake, Edgar Allan Poe e altri poeti classici:
The cloak and dagger dangles,
Madams light their candles.
In ceremonies of the horsemen,
Even the pawn must hold a grudge
Tracciando poi la storia dell’ispirazione di versi come:
Statues made of match sticks,
Crumble into one another
che in molti ritengono essere nati da una profezia biblica contenuta nel Libro di Daniele. Dylan unisce nel testo una serie di registri e contesti in grado di conferire all’amore, una volta uniti nello stesso brano, piani di valori e appartenenze capaci di toccare l’intero universale espressivo.
La canzone, allora, proprio grazie a questo testo, riesce a esprimere l’amore con figure immediate e complesse, terrene e celesti, fisiche e spirituali, dimostrando in qualche modo l’operazione del titolo, che leggiamo Love Minus Zero over No Limit, amore meno zero fratto nessun limite, una frazione che dà come risultato l’infinito amore, l’illimitata espressione amorosa e, dunque, l’amore a ogni livello, smisurato.
“Sad Eyed Lady of the Lowlands” e le canzoni-viaggio
Dedicata alla moglie Sara Lowndes – il cui cognome sembra essere citato, stravolto, nel titolo del brano – è la chiusura di Blonde on Blonde, al lato 4, per la precisione, che contiene unicamente quest’ultimo pezzo di oltre 11 minuti, magicamente registrato con un buona la prima in cui i musicisti stessi non sapevano quando la canzone, di cui Dylan aveva terminato da pochi minuti la stesura, sarebbe finita. Incantesimo assoluto, ovviamente a partire dal testo, per Sara, si diceva, come in un naturale proseguo del pezzo di cui abbiamo parlato poco su, “Love Minus Zero”, accreditato cronologicamente agli inizi della love story.
“Sad Eyed Lady of the Lowlands” ha la struttura tipica delle canzoni-viaggio di Dylan, brani lunghissimi dove si svolge una storia o, al contrario, appaiono, come in questo caso, continue immagini diverse, descrittive, metaforiche in un senso completamente diverso da come accade, di solito, nelle canzoni.
A partire da quel primo verso, “With your mercury mouth in the missionary times”, fino a “my warehouse eyes”, e ancora “With your sheets like metal and your belt like lace”, dove le due figure centrali del verso si scambiano il naturale oggetto di paragone. Se “Desolation Row” e “Like a Rolling Stone”, entrambi nel precedente Highway 61 Revisited, sono viaggi compiuti, storie da leggere, qui la storia viene sacrificata in favore di una forma di lirismo puro, a un mix di immagini che potrebbero rappresentare un modo di raccontare la donna articolato intorno a uno stilnovismo contemporaneo.
“Tangled up in blue”
In questo pezzo, che apre Blood on the Tracks, vale a dire l’album per eccellenza dedicato al sangue dell’amor perduto, si realizza la multiformità della canzone-viaggio attraverso il racconto che appare lineare nel procedere ma mescola i piani, i tempi della storia e da un lato delinea una narrazione lucida e piena, dall’altro sembra lasciar agire ingovernato il tempo. Secondo alcuni il pezzo fu l’effetto più diretto di una sorta di sperimentazione cubista sulla scrittura delle canzoni, che Dylan intraprese in quel periodo. Resta tuttavia l’incipit tanto semplice, il miglior passaggio della canzone:
Early one mornin’ the sun was shinin’,
I was layin’ in bed
Wond’rin’ if she’d changed at all
If her hair was still red.
Un uomo è a letto in un mattino di sole, non si alza, e oziosamente si domanda se lei in questi anni sia cambiata. No, più precisamente si domanda se abbia ancora i capelli rossi. Non serve la voce per convincerci che sia poesia.