P oco tempo fa il Tascabile ha pubblicato questo mio pezzo a sostegno di Alessandro Gori, querelato per diffamazione da Piera Maggio, per alcune frasi dell’autore comico su di lei e su sua figlia Denise Pipitone. Abbiamo scelto di scrivere di questa vicenda per sostenere uno scrittore comico che sa raccontare la società di massa e il mondo della comunicazione – e in questo caso la tv del dolore – con intelligenza, coraggio e follia. Sono stato sentito come teste nel processo, insieme ad altri sostenitori di Gori come Claudio Giunta, Christian Raimo, Sergio Spaccavento e Matteo Marchesini. Oggi pubblichiamo la memoria difensiva di Gianluigi Simonetti.
Francesco Pacifico
Il testo della querela:
imputato del reato di cui agli artt. 81 cpv 595, 3o comma codice penale, perché con più azioni esecutive di un disegno criminoso, in tempo diversi, pubblicando sul sito web – rete sociale FACEBOOK, quindi di fatto comunicando con più persone, offendeva la reputazione di MAGGIO Pietra e PIPITONE Denise, scrivendo ; “ Piera Maggio, madre di Denise Pipitone, nuovo volto degli spot lerdammer”, “Stasera al supermercato ho visto la signora Piera Maggio, mamma di Denise Pipitone, la bimba scomparsa qualche anno fa. Così sono andato a riempirmi il carrello con un sacco di roba e gliel’ho portato, dicendole : …. E non voglio più vedere quel faccino triste”, e ancora “e tu dove credi di andare? (Rocco Buttiglione a Denise Pipitone” “Quando conosci Azael, scopri come nei primi 5 minuti di conversazione ci tiene a dire che non c’entra niente con la sparizione di Denise Pipitone. Di solito lo ripete due volte e intanto suda”, “La sparizione di Denise Pipitone, in Polinesia è considerata un ballo popolare, una specie di calipso2” [errore di trascrizione NdR] in riferimento alle frasi infine scriveva: “non mi penso di niente di quello che ho fatto se tornassi indietro rifarei tutto errori compressi anzi soprattutto gli errori specie da quando lavoro per Mistake Replay e pagano da dio”. Pubblicizzando, altrsì [sic] su una locandina di un suo spettacolo “Curiosità pruriginose su Denise Pipitone con diapositiva e Simmenthal e Giovanni Falcone il Renato Rascel dell’antimafia”.
Non farò perdere tempo alla corte sottolineando quello che immagino sia già stato detto durante le udienze precedenti. Le frasi di Alessandro Gori, lette per intero e senza tagli capziosi, ascoltate con la ’voce’ (in senso stilistico) con cui sono state pronunciate, e ricondotte come deve essere alla maschera comica che le ha elaborate – che si chiama, non a caso, Sgargabonzi, e non Alessandro Gori – sono evidentemente umoristiche. Un umorismo provocatorio, di rottura, adeguato ai linguaggi, ai mezzi, alla realtà dei nostri tempi: ma certamente un umorismo, e non una diffamazione.
Nei giorni scorsi ho letto molte prese di posizione a favore di Gori, e molte giuste considerazioni sui meccanismi particolari e surreali della sua comicità; ma ho anche notato da parte di alcuni la tendenza a considerare in qualche modo legittima la reazione offesa di Piera Maggio, madre di Denise Pipitone. Vengo quindi all’aspetto che mi preme mettere a fuoco, a rischio di sembrare cinico, ma per amore di verità e giustizia. Dal mio punto di vista – che è quello di uno che per professione e ormai da vent’anni analizza testi creativi scritti – le frasi di Gori, se lette integralmente, sono umoristiche in modo talmente evidente che non solo la signora Maggio, ma chiunque al suo posto – dal momento che in questo ‘flusso’ umoristico tipico di Gori un nome noto vale quanto qualsiasi altro – non ha in effetti il diritto di sentirsi offeso, ma solo la libertà di farlo. Una libertà equiparabile a quella di trovare queste battute divertenti o non divertenti, profonde o superficiali, brillanti o fastidiose, eccetera.
Sentirsi offesi o feriti è insomma una possibilità come altre, una possibilità umanamente comprensibile – ma non certo un automatismo o un riflesso condizionato, come potrebbe esserlo legittimamente in reazione a un insulto esplicito, pronunciato o scritto al di fuori di un contesto umoristico. Perché nel caso che stiamo discutendo non c’è nessun insulto (nemmeno implicito), nessuna oggettiva intenzione diffamatoria e men che meno “un disegno criminoso”; c’è invece un testo e un contesto palesemente ironico, e altrettanto palesemente rivolto alla presa in giro non certo di Piera Maggio, ma delle storture del sistema massmediatico che cannibalizza i vari casi Pipitone. Come ha scritto giustamente Michele Serra, “Sgargabonzi indica la luna: la televisione del dolore, la speculazione retorica sulle disgrazie, la commercializzazione dei sentimenti, eccetera. Ma è stato querelato il suo dito”.
Il comico non è mai trasparente; e talvolta meno lo è, meglio funziona.
Piera Maggio è dunque soggettivamente libera di offendersi, se non decifra il vero obiettivo della satira e il registro oggettivamente ironico delle frasi che la coinvolgono. Libera di equivocare un discorso che – sarà bene sottolinearlo – inevitabilmente non è, e non può essere, di immediata e cristallina comprensione. Il comico non è mai trasparente; e talvolta meno lo è, meglio funziona. Non solo Gori è un comico particolarmente sofisticato, e particolarmente reticente a spiegarsi (come è chiaro a chi frequenta la scena della nuova letteratura comica italiana, in cui si è ritagliato un ruolo certo di nicchia, ma altrettanto certamente di rilievo). Il fatto è che il comico, come ogni discorso stilizzato, è per sua natura soggetto all’equivoco, cioè alla deviazione del significato, e per sua natura non può né deve delucidare tutto. Le barzellette non si dovrebbero spiegare, ma se talvolta vanno spiegate è proprio perché non sono mai al grado zero del discorso. E d’altra parte alcune battute che non fanno ridere (o che non fanno ridere tutti) sono spesso solo l’altra faccia di qualsiasi discorso artistico che non raggiunga lo scopo estetico che si era prefisso. Ma che non di rado, quando vale qualcosa, viene capito da pochi, o viene capito a distanza di tempo.
Insomma, come sanno i linguisti e i semiologi, ogni discorso artistico (e soprattutto il linguaggio umoristico, che è fatto di motti di spirito) è equivocabile, perché contiene sempre un certo grado di opacità semantica, cioè un certo tasso di figuralità, ovvero di ambiguità e indecifrabilità legata allo stile: è la sua eclatante differenza rispetto al discorso della comunicazione ordinaria, che infatti non ci emoziona, non ci commuove, né ci fa ridere. Ci emoziona, ci commuove o ci fa ridere un discorso che contenga una dose più o meno grande di figure retoriche, di complessità e di strati, di ambiguità e contraddizione. Se togliamo al comico l’ambiguità, e quindi la possibilità di vedere le cose che tutti crediamo di conoscere in un modo diverso, uccidiamo il comico (non solo la risata o il sorriso in quanto divertimento e evasione, ma anche in quanto riflessione e scoperta; che è poi è il motivo per cui le società totalitarie non sopportano la satira).
L’insulto, invece, non deve essere ambiguo: pena la sua incomprensibilità, la sua inefficacia in quanto insulto. Le frasi incriminate, a ben guardare, non sono idonee né efficaci, non funzionano in chiave diffamatoria di una singola persona. Perché quella di Gori è manifestamente una retorica umoristica, ambigua e per così dire ‘tra virgolette’, che chiede di non essere presa alla lettera. Non certo una sequela di insulti che devono andare dritti al bersaglio.
L’insulto, invece, non deve essere ambiguo: pena la sua inefficacia in quanto insulto. Le frasi incriminate non sono idonee né efficaci, non funzionano in chiave diffamatoria di una singola persona.
In conclusione, la signora Maggio, come chiunque, è certamente libera di non decifrare e fraintendere, o naturalmente decifrare e non apprezzare, trovare irritante o addirittura offensiva la figuralità comica di Gori; ma a mio modo di vedere non ha il diritto – come chiunque altro – di ignorarne la presenza e per questo offendersi, perché tale presenza figurale è tanto evidente quanto inscindibile dal registro comico in cui Gori ha collocato le sue frasi e il suo personaggio. Il privato cittadino Alessandro Gori è tenuto a non essere ambiguo o offensivo nella vita di tutti i giorni, e a limitare la sua libertà d’espressione secondo le norme della civile convivenza; il comico e l’artista Sgargabonzi deve essere libero di dire in sostanza quello che vuole nel suo perimetro d’azione. E questo è vero oggi più che mai, visto che da molto tempo, in democrazia, non eravamo così suscettibili (cioè così vulnerabili e perbenisti) come adesso – o forse addirittura non lo siamo mai stati così tanto.
Se è giusto tutelare la sensibilità di Piera Maggio nei casi comuni in cui è oggettivamente diffamata o ingiuriata, è altrettanto giusto garantire a tutti i cittadini il diritto di ascoltare gli artisti nello spazio di autonomia che è il loro. Mentre agli artisti stessi andrà lasciato il diritto alla libertà di espressione, alla possibilità di essere provocatori e ambigui, alla capacità di dare scandalo, se serve a farci riflettere: tre risorse estetiche ugualmente importanti, senza le quali la nostra società si condanna al conformismo, alla rabbia e alla tautologia.