S e pensiamo a quanto negli ultimi anni si è parlato di gender è incredibile come sia scomparsa dal discorso la figura di Mario Mieli. Se in America il suo testo cardine Elementi di critica omosessuale, dopo qualche edizione carbonara, sta per essere pubblicato ufficialmente con il titolo Towards a Gay Communism, in Italia ci limitiamo a una petizione che invita Feltrinelli (che pubblicò ormai quindici anni fa una seconda edizione, dopo la prima di Einaudi nel 1977) a ristamparlo. Nonostante in Italia abbiamo avuto un assoluto precursore, già negli anni Settanta, delle teorie più rivoluzionarie sul tema, un vero apripista degli studi queer, chi oggi entrasse in una libreria troverebbe il vuoto assoluto. Più facile la ricerca su Internet, dove tra eBay e meritorie opere di divulgazione si riesce a ricostruire per intero il non ampio corpus lasciato dall’autore, morto suicida nel 1983.
Va riconosciuta anche l’opera svolta da un piccolo libro di recente pubblicazione, Mario Mieli – E adesso, a cura di Silvia De Laude per Clichy. Contiene una biografia e una bibliografia, un saggio della curatrice, e molti brani e testi presi dalle sue opere o da altre fonti (lettere, discorsi, interviste). È quella che si può definire un’ottima introduzione, ben curata, essenziale e fatta con amore, nonché l’unica cosa di immediata reperibilità che si possa trovare al momento. Del resto Mieli desta ancora scalpore, come possiamo vedere cercando il suo nome su YouTube e trovando, ancora oggi, decine di persone che si sono prese la briga di cercare i suoi video per commentarli con insulti di ogni tipo. C’è qualcosa in lui di provocatorio e di sparato in faccia al conformismo già a partire dal suo aspetto fisico, dal filo di perle e il rossetto, dai vestiti da signora di buona famiglia, dalla fisionomia simile a quella del Battiato accomodato sul divano Busnelli da Gianni Sassi.
Io sono contento di essere una checca evidente, “femminile”: la sofferenza che ciò, in questa società, comporta è al tempo stesso la misura o, se si vuole, lo specchio della dura e insieme fragile e preziosa bellezza della mia vita. È un grande destino possedere e cercare di vivere con chiara coscienza un’esistenza che la massa regolare, nel suo idiota accecamento, disprezza e tenta di soffocare
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C’è in lui un senso di sfida perenne, continuo, indomito e non soffocato neanche dalla morte. Una sfida a ogni valore tradizionale, a ogni ordine costituito. Ma andiamo con ordine.
Mario Mieli nasce a Milano nel 1952 da una famiglia ebraica estremamente borghese e benestante. Lo scontro con la sua famiglia caratterizzerà tutta la sua vita, Mieli arriverà addirittura – così racconta ne Il risveglio dei faraoni – a cercare di uccidere il padre, avvelenandolo, più volte. Sin da giovane, carismatico studente al liceo Parini, manifesta desideri polisessuali e sappiamo che a diciotto anni frequenta la nota Fossa dei Leoni, luogo deputato al cruising e alla prostituzione maschile milanese, sotto il ponte delle Ferrovie Nord, adiacente al Parco Sempione.
Ma è a Londra, dove è andato come da tradizione familiare per studiare la lingua, che tra feste, happening, sesso e droghe, incontra il Gay Liberation Front, e tornato a Milano a diciannove anni è tra i fondatori del Fuori!, prima associazione del movimento omosessuale italiano (Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano).
Il Fuori! pubblica anche un’omonima rivista, della quale Mieli è uno dei principali autori, e già a partire dal secondo numero la casa dove vive con i suoi genitori in via Marco de Marchi è indicata come indirizzo milanese per chi volesse entrare in contatto con l’associazione. Mieli comincia a teorizzare il ruolo rivoluzionario degli omosessuali nella costruzione di un mondo liberato e comunista, che per concretizzarsi deve affiancare alla critica al capitale anche quella al fallocentrismo.
È evidente che solo il corpo può essere la soluzione dei nostri problemi e anche la possibilità di inserimento nella rivoluzione. Solamente noi gay possiamo capire che in quanto è taciuto della nostra storia, nei terribili e sublimi segreti dei gabinetti pubblici, sotto il peso delle nostre catene con cui la società eterosessuale maschilista ci ha sottomessi, si nasconde l’unicità (il corpo) del nostro contributo alla rivoluzione e alla creazione del comunismo. Ma attenzione: il corpo deve diventare luogo e mezzo di conoscenza e di evoluzione personale e di gruppo. L’essere umano è potenzialmente libero, ma poi l’educazione, la famiglia, l’ambiente lo condizionano e solo attraverso il corpo, “nostra vera e unica proprietà” in senso stirneriano possiamo riconquistare la nostra libertà e dunque lottare anche per la libertà altrui, anche perché un gay è ben conscio delle non libertà e dunque sa da dove partire.
Durante il soggiorno londinese cominciano anche a manifestarsi alcuni segni di squilibrio, come l’approdo alla coprofagia (legata a letture psicanalitiche). L’abuso di droghe porta a un arresto e a un successivo ricovero quando viene trovato nudo e in condizioni evidentemente alterate a vagare per l’aeroporto di Heathrow cercando di sedurre un poliziotto.
Nel 1974 guida una scissione dal Fuori! perché questo si era ormai ufficialmente affiliato al Partito Radicale, concessione borghese inaccettabile per la radicalità di Mieli che come abbiamo già visto legava indissolubilmente la questione omosessuale alla lotta per il comunismo (“gaio comunismo”, come ebbe a definirlo). Ai “riformisti” che guardano a una via “parlamentare” della lotta, Mieli contrappone una via transessuale e schizofrenica alla rivoluzione, rivendicando la sua esperienza psichiatrica e teorizzando nessi tra la condizione di omosessuale e quella di malato psichico.
So che tendo a generalizzare una mia esperienza che, in seguito a varie peripezie, mi portò a cliniche per “malattie mentali” […]. Certo, generalizzare è sbagliato: eppure io sento di aver vissuto situazioni la cui verità, pur nel particolare, reca in sé qualcosa di universale. E quanto so, ormai, esorbita da ciò che viene “normalmente” considerato normale.
Nel 1977 Einaudi pubblica, con alcune modifiche e ampliamenti, la sua tesi di laurea in filosofia morale. Alla base di quel testo, Elementi di critica omosessuale, c’è il concetto di ermafroditismo originario di ogni individuo, da lui chiamato transessualità, che viene limitato sin dall’infanzia, indirizzandolo verso l’eterosessualità, attraverso quella che Mieli chiama educastrazione: “in questo libro, io chiamerò transessualità la disposizione erotica polimorfa e ‘indifferenziata’ infantile, che la società reprime e che, nella vita adulta, ogni essere umano reca in sé allo stato di latenza oppure confinata negli abissi dell’inconscio sotto il giogo della rimozione. Il termine ‘transessualità’ mi sembra il più adatto a esprimere, a un tempo, la pluralità delle tendenze dell’Eros e l’ermafroditismo originario e profondo di ogni individuo”.
Al fianco di queste teorie, più “poetiche” e psicanalitiche (è fondamentalmente Freud la grande auctoritas chiamata in causa) che scientifiche, c’è anche una forte dimensione politica: Mieli sostiene che la rivoluzione sia possibile solo a partire anche da una rivoluzione dei costumi e dei ruoli nella società, che il comunismo deve essere anche e innanzitutto all’insegna di un eros libero, molteplice e polimorfo.
Diventa una figura di primo piano nel dibattito pubblico sulle tematiche dell’omosessualità: viene invitato in televisione, parla di lui il settimanale Panorama, partecipa a un programma RAI con un segmento in cui, in tuta da operaio ma con i tacchi a spillo e truccato di tutto punto, intervista gli operai fuori dai cancelli dell’Alfa Romeo sulle tematiche della repressione sessuale. Da una conferenza a Brescia, 1982: “il trionfo dell’amore mobile, nobile, frizzante, effervescente, fluido, si può avere solo se il piacere carnale non viene più giudicato sporco perverso e peccaminoso: altrimenti la diffidenza, la paura, la nevrosi continueranno a inficiare i rapporti umani e la logica autolesiva dell’egoismo alienato ci porterà alla catastrofe irreparabile”.
Tra il 1976 e il 1977 avvengono anche due degli episodi più celebri nella sua rottura con il movimento. Alla fine di una manifestazione bolognese contro la repressione, sale sul palco sottraendo il microfono a Dario Fo e invitando i compagni a non stare lì ad ascoltare il solito monologo dell’attore, ma ad andare a contestare il vescovo in piazza Maggiore. Sommerso dai fischi di cinquantamila persone e vestito “come una contadinella inerme”, pensa bene di concludere allora il suo intervento girandosi di spalle, alzando la gonna e mostrando il sedere alla folla.
All’ultimo “festival del proletariato giovanile” organizzato dalla rivista Re Nudo al parco Lambro, in un clima crescente di tensione e violenza, i gruppi omosessuali e quelli femministi vengono presi particolarmente di mira. Ivan Cattaneo osa sfidare i duecentomila presenti dichiarando sul palco il suo amore per un uomo a cui era dedicata una sua canzone (“Darling”, con testo proprio di Mieli).
Il “popolo” non si fa molti scrupoli a fischiarlo e a urlargli insulti di ogni tipo. Mentre i giovani comunisti affermano che non ci doveva essere spazio sotto il sol dell’avvenire per questi degenerati, Mieli sale sul palco, dichiara “non ce ne andremo. Vuol dire che da oggi non batteremo soltanto, ma combatteremo” e incomincia a scandire slogan come “Froce, sì/ma contro la DC”, “Lotta dura contro natura” o “Amor ch’a nullo amato amar perdona/io sono una grande culattona”, trasformando il tutto in una gaia farsa delle sue, mentre Cattaneo cerca di sfuggire al linciaggio.
Il maschilismo dimostra di essere il più grave impedimento alla realizzazione della rivoluzione comunista: esso divide il proletariato e – quasi sempre – fa dei proletari eterosessuali i tutori della Norma sessuale repressiva di cui il capitale necessita per perpetuare il proprio dominio sulla specie. Gli eterosessuali maschi proletari sono corrotti: essi accettano di farsi pagare la misera moneta fallofora del sistema per tenere a freno, in cambio delle gratificazioni meschine che ne traggono, la potenzialità rivoluzionaria transessuale delle donne, dei bambini e degli omosessuali.
Mieli è un pensatore estremo e fortemente provocatorio, nonché uso a esperienze psichedeliche con l’lsd e qualsiasi tipo di sostanza, e le sue istanze di liberazione sessuale sono a 360 gradi: teorizza che gli uomini gay dovrebbero fare l’amore con le donne e gli eterosessuali con gli uomini, in un processo di liberazione che porti a relazioni davvero senza limiti, multiple e egualitarie, nel “gioco fantastico della distruzione dei ruoli. […] La liberazione dell’Eros e l’emancipazione del genere umano passano necessariamente – e questa è gaia necessità – attraverso la liberazione dell’omoerotismo, che comprende il concludersi della persecuzione degli omosessuali manifesti e l’espressione concreta della componente omoerotica da parte di tutti gli esseri umani. Baisé soit qui mal y pense”.
Arriva anche a sostenere filosoficamente le pratiche di necrofilia, coprofagia e pedofilia, e questo probabilmente gli impedirà per sempre di essere accettato dal mainstream e letto con la giusta attenzione. Tutt’oggi alcuni suoi passaggi rimangono irricevibili, destinati a fare scandalo e a vincolare la figura di Mieli a quella di un outsider, apertamente odiato dalle maggioranze e guardato con una certa diffidenza anche da molte persone altrimenti vicine alle sue istanze su altre tematiche, come un parente scomodo al quale è meglio non dare voce.
E a proposito di parenti scomodi, in seguito alla morte avvenuta nel 1983 infilando la testa nel forno, la sua famiglia ha fatto di tutto per condannarlo all’oblio. In primis bloccando l’uscita del suo secondo libro, Il risveglio dei faraoni, già pronto per essere stampato ancora una volta da Einaudi. (È anche vero però che la sorella Paola ha curato la ristampa del 2002 di Elementi insieme a Gianni Rossi Barilli). Pare che sia stato l’intervento diretto del padre di Mario a bloccare tutto, e il libro non è mai stato stampato fino al 1994, quando una piccola cooperativa messa insieme da alcuni suoi amici ha deciso di farlo uscire a proprie spese, per poi vederselo ritirare dal mercato poco dopo. Il libro, che non è difficilissimo reperire nei canali dell’usato, è una formidabile autobiografia tra alchimia e Egitto, in cui la famiglia Mieli è descritta in termini non esattamente lusinghieri, tentativi di parricidio inclusi. Ma è anche un testo divertente e stimolante dal punto di vista letterario, ecco un passaggio della lettera a Umberto Pasti: “rispetto alle mie implorazioni, e alle bizze, alle menate che ti ‘impongo’, vorrei ricordarti, se dubiti che t’amo, quanto scrisse Stendhal: che ‘l’amore si nasconde dietro il proprio eccesso’. Tu sei bello come la luna, bambino dell’anima; e interiormente sei un guerriero: baciami, perché sono stanco di ‘combattere contro di te’. Dammi il coraggio d’adorarti in santa pace”.
Il valore letterario di Mieli è forte anche in Elementi, con la sua prima persona, anomala per una tesi di laurea, e in generale nella sua produzione è presente spesso una grande fantasia, una grande libertà, immagini velocissime, aneddoti e battute e uno stile grandioso, spesso espresso attraverso enumerazioni coeve di quelle del Tondelli di Altri Libertini (autore che però vivrà sempre la sua omosessualità come una croce, a differenza di un Mieli che, almeno programmaticamente, tutto farà per cancellarla quella colpa, e sputarci sopra in ogni modo).
È tempo ormai di estirpare il senso di colpa, funzionale soltanto al perpetuarsi del dominio mortifero del Capitale, e di opporci tutti insieme a questo dominio e alla Norma eterosessuale che contribuisce a sostenerlo, garantendo fra l’altro l’assoggettamento dell’Eros al lavoro alienato e la separazione tra uomini, tra donne e tra uomini e donne
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È in circolazione anche un ultimo libro che contiene scritti di Mieli, pubblicato nel 2002 e poi ristampato dieci anni dopo sempre dalle Edizioni Croce, dal titolo Oro Eros e Armonia: L’ultimo Mario Mieli. È una breve raccolta di saggi, interviste, discorsi e racconti a cura di Giampaolo Silvestri (e con una introduzione di Ivan Cattaneo), relativi all’ultima fase della vita dello scrittore, quella della cosiddetta fase alchemica, già ampiamente toccata nel Risveglio dei faraoni.
È in questa fase che Mieli perde fiducia nella politica e si avvicina sempre di più a dimensioni altre, che flirtano con lo smarrimento e la perdita di coscienza. L’alterazione ricercata attraverso le sostanze serve a superare quello stato di normalità nel quale si è intrappolati. Quindi nevrosi, follia e schizofrenia assumono valori positivi, come condizioni da ricercare all’interno di sé per farle uscire (un po’ come l’inclinazione “transessuale”) di modo da poter accedere a stati superiori di coscienza e conoscenza. In quest’ottica, in cui anche la lotta per il cambiamento della società è ormai completamente interiorizzata e personale, le forme tradizionali di scontro politico sono ormai un ricordo lontano.
Un altro testo importante a firma di Mario Mieli è la sceneggiatura del film per la televisione Una favola spinta, di Guido Tosi, mai pubblicato autonomamente. Il film è stato realizzato (dopo la morte di Mieli) ma purtroppo è pressoché introvabile. Ambientato in una Milano onirica, nebbiosa e notturna, ci mostra un giovane artista, molto somigliante a Mieli, che gira di notte vestito da donna e incontra angeli, vampiri, e altri strani personaggi. Controllato segretamente da una famiglia oppressiva, verrà fatto rapire al parco Sempione (dai giovanissimi Paolo Rossi e Claudio Bisio, all’epoca del Teatro dell’Elfo) per essere poi legato a un letto e messo al centro di una strana cerimonia rituale, alla quale i genitori assisteranno mascherati. Nel finale, forse “guarito”, prenderà un aereo per atterrare non si sa dove.
Courtesy: Archivio Garghetti, Milano