L a notizia è di pochi giorni fa. Roberto Gualtieri, sindaco di Roma, ha annunciato con un video su Instagram la riqualificazione del Lungotevere San Paolo, che consentirà un’operazione di pulizia con smaltimento di 450 tonnellate di rifiuti. L’idea è quella di realizzare un parco di affaccio sul Tevere. Il terzo, quello di San Paolo, al quale si aggiungerà il parco Tiberis, la spiaggia — già pronta — della banchina sotto ponte Marconi, più altri quattro a nord di Roma e un ultimo a Ostia Antica. È un progetto da concretizzare in previsione del Giubileo del 2025, che dovrebbe infine realizzare il più grande parco lineare d’affaccio fluviale d’Europa. Dalle parole del sindaco: “È un lavoro importantissimo perché Roma è nata, e si è sviluppata, intorno al Tevere. Poi questo fiume è stato nascosto, ha perso centralità nella vita della città”. Almeno su questa cosa, è impossibile contraddire Gualtieri. L’importanza del Tevere per Roma è fondamentale, basti pensare che secondo la leggenda, Romolo e Remo, i leggendari fondatori di Roma, furono trovati proprio sulle sponde di questo fiume lungo circa 405 km. A pensarla allo stesso modo deve essere certamente Pupi Avati, regista, autore di più di quaranta film, alcuni girati in parte a Roma: tra gli altri, Magnificat, Il figlio più piccolo, Il cuore grande delle ragazze, Una sconfinata giovinezza. Una sua opera del 1995, che non ha diretto, ma soltanto scritto, è quasi interamente girata a Roma, e vede la città come uno dei protagonisti. Stiamo parlando della miniserie TV, Voci notturne, un unicum nella storia della TV italiana, che purtroppo non ha avuto seguito e che soprattutto non è stata valorizzata come avrebbe meritato.
Avati collaborò alla sceneggiatura di Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini, e da lì si spinse fino alla creazione de La casa dalle finestre che ridono, un giallo misterico che si avvale dell’aiuto alla sceneggiatura di Maurizio Costanzo, e che inaugura il filone tutto avatiano del gotico padano.
La serie ha molte caratteristiche delle pellicole di Avati, specie le prime, che avevano il sapore felliniano della provincia. Un gusto tutto grottesco, che pian piano diviene meno forzatamente cinico per farsi più atmosferico. Le sue prime due opere ufficiali, Balsamus, l’uomo di Satana e Thomas e gli indemoniati risentono fortemente di quel clima sessantottino volutamente ed esasperatamente dissacrante, lo stesso Avati le definirà con un po’ di imbarazzo come “estremamente sperimentali”, basate su “proposte che si giustificavano solo nella provocazione”. Avati collaborò alla sceneggiatura di Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini, e da lì si spinse fino alla creazione de La casa dalle finestre che ridono, un giallo misterico che si avvale dell’aiuto alla sceneggiatura di Maurizio Costanzo, e che inaugura il filone tutto avatiano del gotico padano. Fiore all’occhiello di questo genere è Zeder, del 1983, un horror fantascientifico scritto da Pupi col fratello Antonio, insieme, ancora una volta, a Maurizio Costanzo. Zeder è migliore di La casa dalle finestre che ridono. Il tono è più serio, l’ambientazione meno folk, in favore di una Bologna calibrata, con tratti di design contemporaneo; i personaggi sono molto credibili, spicca un grande Gabriele Lavia e il poco sfruttato talento attoriale di Cesare Barbetti (più famoso come doppiatore che come attore), che poi ritroveremo anche in Voci notturne. È il film che consente definitivamente a Pupi Avati di smarcarsi dalla fastidiosa definizione di “Polanski della Pianura Padana”, dopo il successo di La casa dalle finestre che ridono. A questo film seguirono infatti Tutti defunti… tranne i morti, opera in bilico tra grottesco, spaghetti thriller e gotico; il fiabesco Le strelle nel fosso e una provinciale quanto intima e raffinata commedia sul mito della cultura americana durante la seconda guerra mondiale intitolata Aiutami a sognare, girata anche in una versione televisiva di 185 minuti: un film che parla di guerra, nostalgia, campagna, pieno di scene musicali, che contiene quindi al suo interno quasi tutti gli elementi di quello che diventerà uno dei film più rappresentativi di Avati: Una gita scolastica. Ma non siamo qui per una disamina su tutto il cinema di Avati. Tutto ciò che accadrà da Zeder a Voci notturne nel cinema di Avati è per noi poco rilevante, dal momento che Zeder è il film più simile a Voci notturne. Cos’è Voci notturne? Per quale motivo, dal momento della sua messa in onda avvenuta dal 24 settembre 1995 al 15 ottobre 1995 su RAI 1, si è creato un vero e proprio culto, popolato da adoratori, non necessariamente fan incalliti del cinema di Avati? Ma soprattutto, perché questo prodotto televisivo è ammantato da una coltre fittissima di mistero, paragonabile a quella che caratterizza la sua trama fitta e impegnativa? I motivi sono diversi. Forse per entrarci basta leggere il brano che apre ognuna delle 5 puntate da un’ottantina di minuti l’una per capire il tono della miniserie
Nella Roma Imperiale sussistevano i resti di uno strano ponte di legno. Era composto da travi sublique ed oblique, senza chiodi e affidato a persone sacre, una sorta di fratellanza o setta, che rispondeva, con la vita dei suoi membri, della sua conservazione. A costoro derivò il titolo celeberrimo di pontefici o facitori del ponte. Su questo ponte si compivano in epoca arcaica misteriosi e segreti sacrifici.
Si tratta del pons Sublicius, un ponte ormai scomparso, il più antico ponte di Roma, che collegava la città con la riva destra del Tiberis (il Tevere) e la via del sale, una strada che precede la nascita di Roma usata per trasportare il sale dal Tirreno all’Adriatico. Questo ponte, interamente in legno e costruito senza l’uso di chiodi, era, secondo la leggenda, sede di sacrifici e di riti (Lemuria), dal quale venivano gettate all’interno del fiume statuette impagliate rappresentanti figure mitiche della storia originaria romana, gli Argei. Voci notturne inizia proprio così, con il ritrovamento del cadavere di Giacomo Fiorenza, un ragazzo che assieme a Stefano Baldi era studioso di questo aspetto dell’archeologia romana. Questo avvenimento avvierà a un’indagine che vedrà intrecciare crimine, archeologia, nazismo e teosofia. Il cadavere di questo ragazzo è oggetto di autopsia presso l’obitorio, eppure nella notte i suoi genitori ricevono misteriose chiamate con la sua voce riverberata, a metà tra una richiesta d’aiuto e un modo per rassicurare i suoi cari del fatto che è ancora inspiegabilmente vivo — sebbene il suo corpo si trovi senza vita presso l’obitorio. Giacomo Fiorenza e Stefano Baldi, amici e compagni di studi presso la facoltà di architettura, che si erano addentrati nello studio del ponte Sublicius perché avevano trovato, all’università, un baule contenente studi legati ai riti che si consumavano presso il ponte. Documenti appartenenti al misteriosissimo professor Norberto Sinisgalli, studioso classicista, esperto di arti esoteriche, di cui si erano perse le tracce verso il finire della seconda guerra mondiale, e che si scoprirà poi che proprio in quel periodo aveva accumulato un’enorme fortuna, perché essendo di origini ebraiche, era riuscito ad ottenere la fiducia degli ebrei facoltosi, facendosi intestare immobili con la promessa di restituirli con l’avvento della pace. Anziché mantenere la parola, si impegnò invece a denunciare gli ebrei presso i nazisti, che puntualmente li deportarono nei lager.
Un personaggio misterioso che conduceva le sue ricerche agli inizi del XX secolo, il quale aveva elaborato una tesi secondo cui presso alcuni luoghi con delle particolari caratteristiche chimiche, chiamati “terreni k”, si assisteva alla fusione tra mondo reale e aldilà, permettendo ai morti di tornare in vita.
La figura di Sinisgalli è dichiaratamente ispirata a quella di Fulcanelli, lo pseudonimo di un autore di libri incentrati sull’alchimia e il simbolismo ermetico del XX secolo, la cui vera identità è ancora oggi oggetto di studio. A lui sono attribuite due opere fondamentali, Il mistero delle cattedrali e Le dimore filosofali. Autore di culto è dire poco — citato da Umberto Eco e Julio Cortazar nei loro romanzi più famosi, Frank Zappa gli dedicò un brano, e ovviamente Fulcanelli è anche amatissimo da Pupi Avati. Ne aleggia lo spirito in molti film, specie in L’arcano incantatore, mentre in Zeder è esplicitamente citato. D’altronde Zeder è una sorta di Voci notturne ante-litteram o, specularmente, Voci notturne è una sorta di Zeder amplificato. Paolo Zeder era infatti il Norberto Sinisgalli di turno. Un personaggio misterioso che conduceva le sue ricerche agli inizi del XX secolo, il quale aveva elaborato una tesi secondo cui presso alcuni luoghi con delle particolari caratteristiche chimiche, chiamati “terreni k”, si assisteva alla fusione tra mondo reale e aldilà, permettendo ai morti di tornare in vita. Il Fulcanelli di Zeder e quello di Voci notturne sono personaggi mitici, soltanto evocati. Appaiono mediante l’immaginazione, in una realtà molto dubbia o sfocata, o attraverso foto, scritti e racconti. D’altronde, parte del fascino delle due pellicole deriva proprio dal modo in cui l’invisibile, il mistero, ciò che è occulto per l’umano, viene reso fruibile. Tracce di altre dimensioni o di altre epoche che restano sospese nella realtà di chi si mette a indagare. Nel caso di Zeder una macchina da scrivere usata contenente ancora un vecchio nastro dalla cui bobina sarà possibile leggere i contenuti che svelano le misteriose ricerche “sui terreni k” — nel caso di La casa dalle finestre che ridono il medium tecnologico era un registratore a filo d’acciaio. Nel caso di Voci notturne queste telefonate da parte di una persona morta, piene di eco e sporche di rumore, che consentiranno agli inquirenti di indagare non solo a Roma, ma anche negli Stati Uniti, luogo dal quale sembra provenire la chiamata. Ma oltre a questo, tutta la ricerca sul pons Sublicius portata avanti da Stefano e Giacomo era custodita unicamente in un computer con doppia password (metà conosciuta solo da Stefano, l’altra metà solo da Giacomo), quindi inaccessibile dopo la morte di Giacomo. In sostanza, l’apoteosi della hauntology. Eppure, non sono soltanto elementi inerenti all’opera di per sé ad aver reso Voci notturne un oggetto così misterioso. Infatti tutta la gestione attraverso la quale fu gestito il progetto è oltremodo particolare. Tanto per cominciare, la programmazione della messa in onda ebbe un andamento piuttosto tormentato. Dalla pagina Wikipedia:
La prima puntata risale a domenica 24 settembre 1995, alle 20.40. La seconda fu regolarmente trasmessa la domenica dopo, il primo ottobre, ma già dalla puntata seguente iniziarono i problemi. Infatti, l’8 ottobre, la terza puntata venne posticipata alle 22.30 per dare spazio alla partita di calcio Croazia-Italia. Agli ascolti (già non brillantissimi per uno sceneggiato considerato “troppo avanti”) fu infine dato il colpo di grazia: il 15 ottobre, in occasione della quarta puntata, a seguire e quindi in seconda serata, fu trasmessa anche la quinta e ultima. Così facendo, molti telespettatori, che a fronte del non agevole orario di messa in onda avevano programmato la videoregistrazione per una sola puntata, non riuscirono a vederne la conclusione. La serie fu replicata solo dieci anni dopo, nel dicembre 2009, quando tornò in onda all’interno del contenitore Rai Notte su Rai2.
Fu poi trasmessa più volte (2013, 2015, 2016, 2019), ma c’è da aggiungere che, nonostante le richieste dei numerosi fan, non ha mai trovato un supporto home video di nessun tipo. Secondo la leggenda, la copia digitale era andata distrutta o inavvertitamente cancellata, ma Ugo Laurenti, il compositore della bellissima colonna sonora, nonché fratello di Fabrizio Laurenti, regista della serie, affermò che un dipendente Rai fan di Voci notturne smentì la cosa, aggiungendo che si era impegnato nel convincere i vertici a ritrasmetterla. Il problema reale è quasi sicuramente attribuibile al fatto che i diritti, anziché appartenere alla Duea Films di Pupi e Antonio Avati, appartengono a Rai Teche, la quale non sembrerebbe intenzionata a operazioni del genere. Per questo motivo si è vociferato per anni di un remake, sempre televisivo per via dell’intricata trama non riassumibile a un’ora e mezza/due, nonostante il prodotto non abbia mai avuto nessun passaggio su grande schermo. La sceneggiatura fu finalmente rivenduta agli Avati dopo i passaggi televisivi su Rai Premium. Il remake fu proposto addirittura alla concorrenza Mediaset, la quale si mostrò molto interessata; purtroppo fu un controllo diretto sugli ascolti reali della prima messa in onda a far declinare i dirigenti della rete televisiva fondata da Silvio Berlusconi. La prima puntata andò bene, poi la seconda meno, fino a scendere, soprattutto per la programmazione non lineare a cui fu sottoposta la serie. Si parla comunque di 5/6 milioni di spettatori. Pochi per un periodo in cui se ne facevano spesso molti di più. Grande rammarico insomma da parte di chi prese parte alla realizzazione dell’opera e da parte dei fan per il fatto che la Rai non seppe valorizzare un’opera tanto ben fatta e coraggiosa. Eppure, artisticamente parlando, Voci notturne proseguiva sul solco di una tradizione televisiva davvero raffinata e piena di estimatori. Gli anni Settanta italiani misero sul campo una serie di sceneggiati a sfondo misterico o, più nello specifico, esoterico che fecero scuola. Il segno del comando fece naturalmente da apripista, ma poi ci furono, L’Amaro caso della Baronessa di Carini, ESP, Extra (questi tutti di Daniele D’Anza), Ritratto di donna velata, Il fauno di marmo, La dama dei veleni, Gamma, A come Andromeda (che è però un remake dell’inglese originale) e altri.
La Rai fu quindi pioniera in questo genere, ma non credette in questo progetto? In realtà, non andò esattamente così. La Rai accettò la proposta senza avere neanche la sceneggiatura, basandosi unicamente sul soggetto. Avati scrisse la sceneggiatura in corso d’opera, mentre si stava già girando. La regia fu affidata a Fabrizio Laurenti, un regista che aveva già collaborato con gli Avati per il thriller La stanza accanto. C’era un assistente che conduceva ricerche in biblioteche e fotocopiava documenti da Roma per poi portarli a Pupi Avati che si trovava invece nella sua casa a Todi, dove restò per tutte le riprese, senza mai recarsi sul set, diversamente da Antonio Avati, il quale non mancò neanche a una ripresa, intervenendo anche ad alcune modifiche di sceneggiatura e regia, in accordo con suo fratello e Laurenti. Sicuramente quindi, la Rai non fece partire il progetto senza entusiasmo, ma c’è da ammettere che tutta la troupe restò delusa dal trattamento finale ricevuto, con quella programmazione così fantasiosa. Avati ammise di non aver mai pensato a “nessuna forma complottistica nei riguardi di Voci notturne”, ma confermò “il fatto che in Rai non si riconoscesse il merito”, dal momento che si decise di proporre due episodi di seguito, uno dopo l’altro, senza avvisi, per una partita di calcio. Secondo il regista Fabrizio Laurenti, nell’attuale Rai “si riproduce fino allo spossamento quello che è andato bene in passato”. La sua voce sembra attendibile, dal momento che lavorò per molti anni con la Rai, essendo anche autore di due documentari molto interessanti, uno dei quali trasmesso proprio da quello che resta ancora oggi il primo polo televisivo italiano. Laurenti è un regista di genere, un artigiano vecchia scuola della messa in scena, che ha fatto film come La casa 4 e ha collaborato con Aristide Massaccesi. I suoi due documentari hanno per tema la figura di Benito Mussolini, ma da un’angolazione insolita, con un taglio tutto storico, privo di retorica. Il più recente è tratto dal libro di Sergio Luzzato intitolato Il corpo del duce, ed è incentrato sulle vicende, alcune delle quali fitte di misteri ancora irrisolti, che hanno per protagonista il corpo da vivo e poi il cadavere di Mussolini. L’altro documentario si chiama invece Il segreto di Mussolini e si sofferma sulle storie poco conosciute del figlio del duce, morto in manicomio, e di sua madre, anch’essa travolta da una vicenda spiacevole. Nell’intervista che GianLorenzo Franzì ha fatto a Laurenti, presente nell’unico libro, sintetico ma completo, esistente dedicato a Voci notturne, il regista rivela che questo documentario fu visto anche da Marco Bellocchio, e che anzi proprio da questo prese spunto per l’elaborazione del suo film di grande successo incentrato sulla stessa vicenda, Vincere: “Bellocchio fece il film con Rai Cinema che non si informò da Rai Tre di chi aveva il film: io venni a sapere del film di Bellocchio quasi per caso… insomma, c’era un documentario da cui veniva tratto un film, e si potevano moltiplicare gli sforzi per massimizzare il risultato mediatico.”
Secondo la Società Teosofica italiana del tempo, Voci notturne associava l’organizzazione a operazioni delinquenziali, mettendoli in una cattiva luce, permettendo all’esterno di attribuirgli la nomea di setta malefica.
Ma aldilà della situazione Rai, che come per ogni azienda si divide tra persone appassionate e altre con meno motivazioni, c’è di più. Non c’era del semplice disinteresse legato a contingenze esterne (gli Europei di calcio del 1995) nei confronti di questo prodotto innovativo — che avrebbe nel suo piccolo potuto riportare in auge quella golden age dello sceneggiato Settanta italiano, che si muoveva su coordinate certamente più sperimentali di quelle di altri prodotti contemporanei, come ad esempio Don Matteo o Il commissario Montalbano. La motivazione reale è da rintracciare nella trama di Voci notturne, articolata sul coinvolgimento della Società Teosofica per il Ritorno dello Spirito Originario, la celebre organizzazione votata alla teosofia, fondata da Helena Petrovna Blavatsky e Henry Steel Olcott. Secondo la Società Teosofica italiana del tempo, Voci notturne associava l’organizzazione a operazioni delinquenziali, mettendoli in una cattiva luce, permettendo all’esterno di attribuirgli la nomea di setta malefica. Dalle parole di Antonio Avati: “Questa cosa fece sì che l’ufficio legale della Rai ebbe una sorta di intimazione da parte della Società di togliere queste battute: e si preoccupò talmente tanto che il programma”, che, come già detto, fece ascolti modesti, “fu tenuto in naftalina per tantissimo tempo, per non dare grane”. La sfortunata edizione che andò primariamente in onda su Rai Uno nel 1995 è quella integrale, con le battute in cui si nomina esplicitamente la Società Teosofica, e in cui appare anche il manifesto dell’organizzazione posto fuori dall’edificio americano. Le altre versioni passate in tv, compresa quella presente oggi su Rai Play, sono quelle censurate di questi scambi in cui si fa menzione dell’organizzazione, ma anche dei titoli di coda della quarta puntata della prima messa in onda integrale del 1995 — il famoso episodio trasmesso senza preavviso e accorpato al quinto, per via della partita Croazia-Italia. Comunque, tutto sommato, c’è da ammettere che non si tratta di tagli sostanziosi, almeno dal punto di vista cinematografico. Tra l’altro possono essere recuperati qui, grazie alla pazienza di un cultore della serie. Se mi è concesso un piccolo giudizio a posteriori, godendo della bellezza di Voci notturne, e approfondendo le vicende sfortunate che hanno accompagnato il prodotto, mi sembra sia possibile riscontrare una certa… “italianità” (tanto per citare un’altra serie inizialmente sfortunata diventata poi di culto e quindi successo nazionale: Boris). Forse si è un po’ peccato di approssimazione, non tanto dal punto di vista della realizzazione — che comunque poteva essere più allusiva nei riguardi dell’organizzazione, proiettando il mistero verso i lidi più nebbiosi, eppure affascinanti, del passato, come spesso Pupi Avati è stato capace di fare — , quanto piuttosto nei termini della ricezione e della gestione, di certo spinosa, della vicenda.
Voci notturne fu accettata dalla Rai soprattutto in seguito al successo grandioso che ebbe Twin Peaks, la serie capolavoro di David Lynch. Mi spiego meglio. Voci notturne fu accettata dalla Rai soprattutto in seguito al successo grandioso che ebbe Twin Peaks, la serie capolavoro di David Lynch. Fu presentato il soggetto, che partiva da un cadavere trovato sulle sponde del Tevere (similmente a quello di Laura Palmer) per aprire a un’indagine intricata e misteriosa, per un thriller paranormale che doveva essere girato principalmente tra Roma e gli Stati Uniti, e che aveva tra i suoi punti di riferimento proprio la serie americana. D’altronde i punti di contatto tra le due serie sono moltissimi. Tanto per cominciare, anche David Lynch improvvisò molto durante le riprese. Il personaggio di BOB, per quanto centrale nella narrazione, non era inizialmente voluto, ma si decise di inserirlo dopo che per errore l’immagine di un operatore restò sullo specchio di una scena. Quell’operatore divenne BOB. Stessa cosa per l’attrice che interpreta Laura Palmer, Sheryl Lee, che inizialmente avrebbe dovuto “interpretare” solo Laura, ma in seguito alle sue prove attoriali che convinsero sempre più Lynch si decise di creare il personaggio di Maddy Ferguson. Stessa cosa per l’assistente svampito di Truman, Harry Goaz; per la Signora del Ceppo, che era la segretaria di produzione; per Eric Da Re, il cattivissimo Leo Johnson. Oltre a questo, le affinità e il mood delle due serie, spesso sono molto simili. La parte americana di Voci notturne ricorda molto il tono di Twin Peaks. A partire dalle musiche, con un sax che vola alto e una batteria che swinga in maniera anarchica, simile alle scene presenti nella Segheria Packard. Il personaggio di Greta Folger Bloom (interpretato da Mary Sellers, compagna di vita del regista Fabrizio Laurenti), la ragazza per cui perderà la testa il detective inviato negli USA Mario Rodrigo, facendolo finire nei guai, fa molto pensare a Audrey Horne, anche nell’aspetto. Inoltre, Massimo Bonetti magari non sarà Kyle MacLachlan, ma resta un attore dalle grandi qualità, e il suo poliziotto Carlo Morlisi è simpatico come Dale Cooper.
Approfondire Frost fa capire molto di più anche Twin Peaks, con quel mix tra horror e soap opera, sovrannaturale e focus nel campy più coraggioso.
Ma a parte questo, il legame forte tra queste due serie è proprio la teosofia. È un legame non apertamente dichiarato. Tutti sanno che David Lynch è un grande appassionato di meditazione trascendentale, che pratica dal 1973, nonché un cultore del pensiero di Maharishi Mahesh Yogi e dei testi sacri dell’induismo. Tutte cose abbastanza evidenti nei suoi film, pur se trasfigurate negli incubi più contemporanei e urbani dell’Occidente. Non tutti sanno però che Mark Frost, l’altro ideatore di Twin Peaks assieme a Lynch, è un appassionato di teosofia. La sua carriera da scrittore, sceneggiatore e regista si snoda amabilmente tra poliziesco, occulto e storia del golf (è sua la sceneggiatura de Il più bel gioco della mia vita, diretto da Bill Paxton). Collabora con Lynch dal lontano 1986, anche se trova il successo solo con la serie incentrata su Laura Palmer. Autore di diversi romanzi, nel 1993 pubblica The List of Seven, una storia che ha per protagonista nientemeno che Sir Arthur Conan Doyle, il famoso autore di Sherlock Holmes. La trama è un bell’intruglio di fantastoria, teorie cospirazioniste e naturalmente teosofia. Infatti Conan Doyle interagirà con alcuni altri personaggi immaginari e realmente esistiti, come Dracula e Bram Stoker. È interessante perché fa ragionare su come questi simpatici e ormai secolarizzati attori della nostra cultura pop siano in realtà molto più sinistri di quanto si possa pensare. Per questo approfondire Frost fa capire molto di più anche Twin Peaks, con quel mix tra horror e soap opera, sovrannaturale e focus nel campy più coraggioso. Non è solo Lynch l’autore di quella serie, occorre ricordarlo.
In The List of Seven Conan Doyle avrà a che fare proprio con Madame Blavatsky, la fondatrice della teosofia. Un personaggio davvero singolare, sulla quale, al pari di Fulcanelli, aleggia un manto di mistero. Parliamo di una persona che, dopo essersi sposata giovanissima, fugge, conservando la verginità per tutta la sua vita, girerà il mondo, ritrovandosi ad essere, secondo alcuni, anche “garibaldina a Mentana”. Scriverà diversi libri, tra i più famosi, Iside svelata e La dottrina segreta. Quest’ultimo conteneva al proprio interno il commentario a un presunto testo antichissimo appartenente all’esoterismo tibetano, Le stanza di Dzyan. Con tutta probabilità questo testo non è mai esistito, si tratta di uno pseudobiblion, al pari del Necronomicon lovecraftiano, eppure, il fascino delle ricerche e suggestioni in esso contenute colpirono personalità come Albert Einstein e David Herbert Lawrence. Moltissime sono le influenze di questi testi riscontrabili in Twin Peaks, primo tra tutti la Loggia nera, ma mai Blavatsky viene menzionata direttamente. C’è un rispetto profondo nei confronti di quei testi e di quei pensatori, che comunque — bisogna ammetterlo — si prestano benissimo a certe atmosfere e ambientazioni cupe. Basta pensare a tutto il movimento musicale industrial che si muoveva intorno a Throbbing Gristle, Coil, Current 93, ma anche al fatto che questi testi sono infusi non solo di spiritualità e occulto, ma anche di filosofia e scienza, nel senso nobile dei termini. Parliamo quindi di un vero e proprio culto, non di una setta di scapestrati. Anche Twin Peaks non venne coccolato dalla produzione. L’ABC aveva lasciato grande libertà ai creatori, ma a un certo punto decise che doveva essere rivelato il colpevole dell’assassinio di Laura Palmer, con grande amarezza da parte di Lynch e Frost, i quali capirono sin da subito che rivelando l’assassino si sarebbe perso tutto il fascino dell’indagine, rendendo le tante misteriose sottotrame prive di interesse da parte degli spettatori. E infatti così andò. Anche qui ci fu una programmazione fantasiosa, in cui si spostò la serie al sabato sera, ci fu un’interruzione natalizia e la Guerra del Golfo che intanto impazzava divenne un argomento molto caldo. Si continuò in maniera poco entusiasta, fino alla cancellazione definitiva della serie, per i quali gli ideatori optarono per un finale vago e ambiguo, sempre adatto a una continuazione futura — cosa che infatti si realizzò dopo tanti anni con la terza stagione di Twin Peaks.
Anche questo un punto in comune con Voci Notturne. Forse Pupi Avati non è il “Polanski della Pianura Padana”… ma il “David Lynch dell’isola Tiberina”? No, è semplicemente un grande regista, amante del mistero, capace di coinvolgere lo spettatore con storie piene di grigi che restano sospesi per tutta la durata dei suoi gotici di qualunque regione italiana siano. Avati fu indelicato con la Società Teosofica? Basta guardare Voci notturne e trarre le proprie personali conclusioni. Per concludere, un ultimo retroscena è stato svelato qualche tempo fa dal grande Davide Pulici, co-fondatore della rivista di genere Nocturno. Egli si prese la briga di scrivere una mail nientemeno che alla Società Teosofica Italiana: “Vi disturbo per avere delucidazioni su qualcosa che probabilmente vi riguarda. Esiste un vecchio sceneggiato Rai degli anni Novanta, dal titolo Voci notturne, che, recentemente ritrasmesso da Rai Premium, mostra diverse evidenti censure relative al nome di una fantomatica Società Teosofica per il Ritorno dello Spirito Originario. È possibile sapere se questo sia dipeso da una vostra richiesta effettuata alla Rai in tal senso? […]”. Ecco la risposta di Antonio Girardi, segretario generale della Società Teosofica Italiana:
[…] Non ero a conoscenza della riproposizione dello sceneggiato Voci notturne scritto da Pupi Avati. Le modifiche (che non sono censure!) sono state chieste, ancora negli anni Novanta, proprio dal nostro Ente Morale il cui nome – seppur con diversa articolazione – era associato, del tutto inopportunamente, a quello di una setta delinquenziale. Non fu difficile dialogare in proposito, né con la Rai né con Pupi Avati. La Società Teosofica ha avuto ed ha, specie negli USA e in India, dialoghi molto positivi con il mondo del cinema! […].
Il mistero si infittisce.
Dove finisce la ragione comincia un territorio che non ci appartiene, nel quale siamo intrusi: una terra che ha regole che non conosciamo, dove si parla una lingua misteriosa e dove le nostre logiche non sono utilizzabili in alcun modo. Noi in questo territorio possiamo solo subire un mistero, che, anziché disvelarsi, si fa sempre più impenetrabile. Io non so dire se questa è una pena o un premio. Io non so dire nulla, ma so che questo luogo dove sono non deve essere in alcun modo cercato né in alcun modo trovato. Malgrado le più approfondite ricerche, di Norberto Sinisgalli non si è trovata fino ad oggi traccia alcuna. Sappiamo che può celarsi ovunque”