Il postumanesimo di Stelarc
Una conversazione sul “libro-organismo” dedicato e ispirato all’artista “body-artifact”.
Una conversazione sul “libro-organismo” dedicato e ispirato all’artista “body-artifact”.
M entre oggi, in Italia, basta uno spot per rendere popolare addirittura una pesca, quando si tratta di arte le lacune sono tremende: gente che dovrebbe essere osannata è completamente assente dai radar. È il caso di Stelarc, “artista che per primo ha indagato cosa vuol dire sentire in un’epoca tecnologicamente avanzata”, e lo fa dagli anni Settanta: la citazione proviene da un libro appena uscito per la casa editrice Kappabit, Zombie e Cyborg, il postumanesimo di Stelarc che è il primo volume in italiano dedicato all’artista, e questo è francamente incredibile. E attenzione, non è un libro come tutti gli altri: ne parliamo con due degli artefici della pubblicazione, ovvero il curatore Valentino Catricalà e l’editore Marco Contini, che hanno le idee chiare su quello che significa superare i limiti tra arte ed editoria, che in nome di questo possono essere una cosa sola e guardare al futuro senza paura. (L’ altra figura importantissima per la realizzazione di questo libro, la curatrice Maria Campitelli, non era in grado di essere presente all’ intervista: pochi giorni dopo la consegna della suddetta a Il Tascabile, la nostra eroina verrà a mancare dopo una lunga malattia che non le aveva impedito di portare avanti importanti progetti, quale questo libro. A lei è dedicato lo scritto che segue).
Demented Burrocacao: Stelarc è un’artista di body art degli anni Settanta che ha aperto nuove strade. È uno dei pionieri del genere: adesso tutti si appendono con i ganci e roba similare, ma quando lo faceva lui era fantascienza. Ecco, voi invece di aver fatto un libro biografico scritto avete scelto di lavorare con le immagini: perché il testo in percentuale non è tanto centrale, giusto?
Marco Contini: Bè, il testo non è neanche pochissimo, perché ci sono due scritti proprio di Stelarc, il testo di Maria Campitelli, che è l’altra curatrice in campo, e l’intervista che è lunga. C’è un po’ di roba scritta, ma certo, essendoci queste immagini grandi, dominano lo sguardo.
DB: Appunto, visto che poi fondamentalmente è un lavoro che va visto…
Valentino Catricalà: L’idea era quella di partire dall’Esoscheletro di Stelarc, dopo una mostra che abbiamo fatto con Maria a Trieste su questa struttura robotica che lui ha creato anni fa per le sue performance sul rapporto uomo-macchina: però il libro va oltre, perché dall’Esoscheletro ripercorre tutta l’arte di Stelarc. E dunque per questo abbiamo deciso di pubblicare dei suoi testi, scritti proprio da Stelarc, che sono la voce dell’artista, e che appunto spiegano il suo punto di vista. Testi che sono stati ripubblicati in italiano.
DB: A che periodo risalgono gli scritti?
VC: Tra 2007 e 2012. Poi Maria ha scritto un testo introduttivo, io ho deciso invece di fare una chiacchierata con lui. Cioè, mi mancava la parte dialogica, no? Perché avevi la sua voce, poi avevi un saggio introduttivo teorico e mancava la voce dell’artista.
MC: È importante dire che lui anche sul piano teorico è un riferimento, non soltanto sul piano performativo.
VC: Tu hai introdotto dicendo che è un artista di body art: Stelarc in realtà è quello che porta la body art alle estreme conseguenze fino a superarla. Negli anni Sessanta la body art usava il corpo come tavola di sperimentazione, dalle cose più estreme come Rudolf Schwarzkogler, che si è ammazzato, o Chris Burden che si sparava: Stelarc si ispira a questi lavorando invece sul corpo, portando alle estreme conseguenze la sperimentazione, ma poi inizia a introdurre degli elementi tecnologici, perché è affascinato dall’idea di spingere il proprio corpo non solo nel sentire oltre, ma di spingere oltre le possibilità del corpo stesso.
DB: Si in effetti è più che altro possiamo considerarla “body art tecnologica”.
VC: Esatto: introduce proprio questa nuova tendenza. Quindi se la body art voleva fare in modo di conoscere il corpo, lui vuole creare un nuovo senso estetico.
MC: Forse qualcuno l’ha detta questa cosa, ma più che body art la sua è “body artifact”.
VC: Sì, interessante questo tuo appunto. E in effetti la cosa che mi ha impressionato di lui, che sapevo ma non mi ero mai veramente soffermato ad analizzare, sono le date. Cioè, lui inizia a fare queste cose nel 1979! Per cui siamo negli anni Settanta, quando c’era ancora l’arte povera, che per carità, tutte cose straordinarie, ma quando vedevi le sue azioni negli anni Settanta come facevi? Non potevi capirle.
Negli anni Settanta c’era ancora l’arte povera: ma quando vedevi le sue azioni non potevi capirle.
DB: E non a caso lui ha fatto un bel po’ di chiacchierate con William Gibson, con il quale si capiva eccome.
VC: Certo, perché alla fine a capirlo potevano essere solo personaggi come Gibson.
MC: Gibson poi ci ha visto lontanissimo, quando scriveva le sue cose sembrava fantascienza invece ora praticamente non lo è più … Pensa a Neuromancer. E Stelarc, diciamo, ha in effetti applicato alla realtà le visioni di questi scrittori, perché la fantascienza in fondo era tale solo per mere questioni temporali.
VC: Esatto, quindi era l’unico a fare determinate cose in quegli anni, e se ci pensi è impressionante. Non è stato mai capito: adesso cominciano a rivalorizzarlo, ma lui ora ha ottant’anni suonati.
DB: Bè, c’è da dire che adesso, dopo di lui, ci sono molti a fare cose simili. Marco Donnarumma, per dire, è bravo. Ma Stelarc ha molti seguaci, a volte capaci ma il più delle volte anche scrausi, della serie “Che facciamo? Attacchiamo gli elettrodi al corpo, appendiamoci coi ganci, usiamo la tecnologia per far suonare il buco del culo”: insomma, in un certo senso ora la cosa è tanto sdoganata da risultare “volgarizzata”, ecco.
MC: Sì, poi diventa manieristica, la cosa. Ma c’è da dire che “l’arte non va capita, va franitesa”, come dice Lamberto Pignotti del Gruppo 70. L’arte non è rassicurante, deve mettere in crisi e Stelarc ha messo in crisi con quello che ha fatto. Perché erano e sono cose scioccanti.
L’arte non è rassicurante, deve mettere in crisi e Stelarc ha messo in crisi con quello che ha fatto. Perché erano e sono cose scioccanti.
VC: Parlavo con Achille Bonito Oliva e gli ho detto: vedi Achille noi ci siamo tutti formati con te, e lui mi ha risposto “Io spero di avervi deformato!”.
DB: E a questo punto mi viene in mente proprio Bonito Oliva nudo su Frigidaire e la domanda viene spontanea: Il “pisellino” di Bonito Oliva lo possiamo paragonare all’orecchio di Stelarc? Che anche lì è un pioniere della biotecnologia.
VC: (Ride) Sì, esatto. Quello è un altro fattore interessante, perché Stelarc comincia a voler studiare il proprio corpo non tanto per studiare un nuovo senso… C’è anche un fraintendimento molto classico sui concetti, no? Cioè negli anni Cinquanta e Sessanta comincia a emergere il concetto di “transumanesimo”.
DB: Concetto sul quale ancora la maggior parte degli “intellettuali” si adagia… E anche due palle, no?
VC: Proprio così: non a caso ho usato questo termine. E c’era la diatriba transumano/postumano: e Stelarc è spesso stato frainteso come un transumanista. Invece è completamente errato: il transumanesimo era quella disciplina che riteneva che il corpo umano fosse oramai vecchio, inutile e la tecnologia potesse aiutarlo. Quindi corpo umano = schifezza; tecnologia = perfezione: che è una visione quasi nazista, tremenda. Invece Stelarc non voleva potenziare il corpo, non era interessato a questo: voleva sperimentare il corpo con la tecnologia per un nuovo senso estetico. Il discorso era l’estetica, in chiave postumana. Le prime cose che ha fatto sono state quelle di infilarsi delle sonde nella zona laringofaringea, nel 1980-81 circa. Poi ha cercato di capire come poteva cambiare la sensibilità applicandoti un altro braccio robotico, fino a pensare di impiantarsi un orecchio sul braccio sinistro. Che poi è stato un esperimento fallito: o meglio, è ancora in progress perché lui sta provando da anni a farlo funzionare. Il corpo l’ha rigettato, però lui sta continuando, parla con i chirurghi… Lui ha questo rapporto con la scienza molto diretto.
MC: Lui vuole un orecchio che funzioni veramente, e la questione è: come trasmettere gli impulsi?
VC: Inizialmente voleva solo quest’immagine simbolica, e poi l’idea successiva era creare questa cosa in più, ma non c’è mai riuscito. Nonostante ciò non si è mai arreso, e cerca ancora oggi, costantemente, una soluzione.
DB: Per esempio, questa performance, Ear on Arm Suspension, vede protagonista una riproduzione gigante del suo braccio.
Stelarc è spesso stato frainteso come un transumanista. Invece è completamente errato.
VC: Sì, queste sono le prime performance che ha fatto, molto vicine alla body art, in cui lui viene appeso con dei ganci nella carne viva. Un’azione simbolica perché, come hai detto, c’è la riproduzione del suo braccio con l’orecchio e lui che viene sospeso sopra. E questa è l’esempio lampante che lui è un artista, che non è uno che sta solo là ad appendersi, ma crea anche delle condizioni simboliche all’interno di uno spazio mettendo più elementi. Questa è la rappresentazione di lui che sta sulla sua mano, si apre a una serie di interpretazioni al di là dell’“oooh si è messo dei ganci dentro la schiena, che figo!”. Oppure vedi anche Chris Burden… “Aò, ma quello s’è fatto sparà!”. Io mi ricordo che quando studiavo c’era, che ne so, il performer che faceva “Aaah aaah” e tra gli studenti “Aò ma quello sta a scopà!” (ride). Queste sono le reazioni medie: e quindi qui lui va oltre all’effetto “Wow sta facendo il matto”, perché è un’azione ben precisa.
DB: E come è stato parlare con lui?
VC: Guarda, è come parlare con uno zio. È proprio un signore molto carino. E quindi che è successo, che quando abbiamo fatto questo catalogo, abbiamo fatto questa mostra, era finito il budget, no? E io non volevo fare un libro per i soliti editori. E allora ho pensato: c’è un piccolo editore romano, che però sta facendo delle cose di altissimo livello. E comunque fa dei progetti particolari, e non è solamente fare il libro, buttarlo lì, come fanno i grossi editori, ma è ragionare sul libro, con lui. E infatti abbiamo iniziato una serie di dialoghi con Maria, che è l’altra curatrice, perché marca tutta una filosofia del libro anche di un certo tipo. E quindi abbiamo iniziato a ragionare e a fare un libro che è abbastanza simile a un organismo, anche non convenzionale.
Lui vuole un orecchio che funzioni veramente, e la questione è: come trasmettere gli impulsi?
DB: Parlami di com’è stato confezionato il libro.
MC: L’abbiamo chiuso in poco tempo: quando Valentino mi ha fatto questa proposta l’ho accolta subito, felicemente, perché comunque era una bella occasione, oltre al fatto che si sta parlando di un’artista importante che qui in Italia ancora non è molto conosciuto, ma che a livello internazionale è un nome già affermato. Tanto che, oltre al fatto che si tratta comunque della prima pubblicazione in lingua italiana di questo artista (il che è assurdo ed è già una condizione per accettare la proposta), mi sembrava coerente pubblicare un lavoro di Stelarc, perché ci ho visto dei punti di contatto con quello che stiamo cercando di fare come attività editoriale. Perché, in un certo senso, come lui ha sollecitato i limiti estremi del suo corpo per estenderlo, espanderlo e andare oltre, nel nostro piccolo quello che stiamo cercando di fare con questo format di libro (che in realtà noi non chiamiamo più libro, ma chiamiamo QR book) è quello di mantenere il libro di carta, con le sue caratteristiche fisiche, superandole. Tra l’altro è un marchio che abbiamo depositato, e mi sono sorpreso che nessuno l’avesse fatto prima. Praticamente è il superamento dell’ebook, del libro elettronico, che si è visto che poi alla fine non ha sostanzialmente cambiato molto la situazione perché io, questa cosa dell’ebook, la seguo dal 1989.
DB: Adesso un po’ si è diffuso per forza di cose, perché almeno ci sono i dispositivi…
MC: Sì, però quando hanno proposto l’ebook non c’è stato un salto: da un lato non c’erano le condizioni di contesto, perché comunque non c’erano dispositivi adeguati e diffusi, era una cosa per pochi, costavano troppo, non c’era una struttura di rete. Anche scaricarmi un ebook non era una cosa banale, perché in quel tempo si scaricava al massimo un file di testo, già per scaricarti un brano in MP3 ci mettevi tre giorni con Napster. E soprattutto non ha funzionato perché hanno cercato di prendere il libro così come lo conosciamo e trasporlo in un formato elettronico: quindi hanno levato tutta la gratificazione che ti viene dal rapporto con l’oggetto cartaceo, ma non ti hanno dato in cambio le potenzialità dell’oggetto virtuale.
Mi sembrava coerente pubblicare un lavoro di Stelarc, perché ci ho visto dei punti di contatto con quello che stiamo cercando di fare come attività editoriale.
DB: Invece queste edizioni sono tutta un’altra cosa.
MC: Noi come Kappabit partiamo, giusto per darti anche un contesto soggettivo, nell’ambito tecnologico: nasce come azienda ICT. Sin dall’inizio abbiamo messo come oggetto sociale che si sarebbe occupata anche di editoria. A un certo punto abbiamo iniziato a esercitare questo punto dell’oggetto sociale, e sarebbe stato quasi scontato per un’azienda come la nostra pubblicare ebook, quindi già noi lo facevamo come consulenza per case editrici che all’epoca non sapevano manco cosa fossero gli ebook. Invece non abbiamo pubblicato ebook, se non uno solo, ma abbiamo deciso di puntare sin dall’inizio sul cartaceo.
DB: Ma perché una casa editrice tecnologica si dovrebbe occupare ancora del cartaceo?
MC: Perché ci interessa mantenere il rapporto con l’oggetto, per diversi motivi. Intanto perché l’oggetto ci dà una esperienza multisensoriale: non è soltanto la vista che deve essere eccitata, perché un oggetto ha un peso, una consistenza, usi il tatto, usi l’olfatto quando lo sfogli, l’odore delle pagine, la carta, l’inchiostro, usi tutti i sensi, quando le sfogli è coinvolto anche l’udito, e questa cosa ti rimane: a parte che è molto poetica di per sé, ma risulta anche molto più efficace nella memorizzazione. È dimostrato che, comunque, studiare sul libro di carta non ha gli stessi risultati che farlo su un ebook, o anche semplicemente leggere. Ma grazie al QR code qui ci sono diverse performance di Stelarc che vengono citate e le puoi vedere. Se un artista è performativo, tu devi vedere la performance in azione, altrimenti non ti fai un’idea, e qui puoi farlo.
DB: Avete trovato delle difficoltà di realizzazione?
?: In questo caso la questione è meno problematica rispetto ad altri casi, perché sono video suoi e lui ci ha autorizzato, li ha messi già in rete per conto suo, e ci ha autorizzato a richiamarli, ma possono esserci problemi di diritti. E quindi ho detto, come faccio a risolvere questa cosa? Metto il QR code, perché mi rimanda a un contenuto che ha messo il titolare dei diritti. Ma lì si era posto un altro problema: se un giorno poi per caso non funziona più perché poi quasi tutti i link dopo due anni sono scaduti? La soluzione al problema la puoi vedere: per esempio, quando ci sono i QR code, è richiamato un URL.
DB: E come è composto questo URL?
MC: Bè, sono tutti kappabit, kappabit.it, slash e un codice alfanumerico. Noi avremmo potuto mettere direttamente l’URL del video, che ci manda su YouTube: però, in questo modo, da un lato abbiamo un indirizzo più corto, che se uno se lo vuole anche digitare dal computer c’è meno possibilità di sbagliarlo. Dall’altro lato abbiamo la possibilità di intervenire anche dopo che il libro è stato stampato, perché questo URL non è un altro che un reindirizzamento che punta a un database nostro che gestiamo noi, che può essere aggiornato. Come dice Marco, sia per la manutenzione, ma anche per questo libro specifico, perché ti da l’informazione in più che è quella performativa. Cioè, Stelarc vive nelle azioni, e come tale l’azione va vista, quindi vedi delle immagini, delle foto, però in più puoi andare a vedere tutta le sue operazioni chirurgiche, con quelli che gli aprono il braccio, gli interventi.
DB: È in linea col discorso della robotica, no?
MC: Si tratta di superare i limiti. In certi casi ci sono degli ulteriori testi collegati, magari un intero paper, c’è tanto audiovisivo, c’è la musica…
DB: Stelarc ha fatto un grosso lavoro sui movimenti involontari, giusto? Come ritorna questo suo lavoro nel libro?
VC: Lui all’inizio dice una cosa molto interessante. Dice “io mi iniziavo a chiedere anche come si potesse sentire un animale”, no? Quindi non il corpo, ma qualcosa di esterno all’uomo e un sentire che non esiste nell’uomo, e lui, nel momento in cui spinge oltre questo sentire fino a uscire e a creare un nuovo tipologia di sentire, lo può fare solo grazie alla tecnologia. Se io voglio creare un nuovo senso, la tecnologia oggi mi permette di farlo. Ovviamente la tecnologia è qualcosa che tu non controlli, che crea a sua volta. Per esempio, Stelarc, nel terzo braccio, non controlla tutti i movimenti della macchina. E non sa che tipo di movimenti ha attorno. Cioè, in base ai movimenti della macchina, lui struttura, questa relazione. Non ha un controllo totale.
Nel momento in cui spinge oltre questo sentire fino a uscire e a creare un nuovo tipologia di sentire, lo può fare solo grazie alla tecnologia.
MC: Ed è una cosa che ha voluto cercare, però.
VC: Sì, come un artista che, ad esempio, fa una fotografia: tu inquadri, ma poi il processo meccanico della fotografia tu non lo controlli. Non lo puoi controllare: tutti i grandi fotografi o cineasti ti direbbero che è una relazione con un occhio meccanico al di fuori di loro.
MC: Sì, chiaramente puoi provare a prevedere.
VC: Sì, ma è una cosa unica nella storia dell’arte. Certo, Puoi dire che prima c’era la chimica dei materiali, del colore nella pittura, però questi elementi meccanici, che hanno una volontà e un meccanismo al di fuori delle nostre azioni, nascono dalla fotografia in poi.
DB: E quindi è questo rapporto che lui struttura con la macchina?
MC: Per quello che immagino io c’è anche il fatto che, essendo noi costituiti in questo modo qua, abbiamo una muscolatura volontaria e una muscolatura involontaria: c’è quell’aspetto incontrollabile anche nella natura, e lui l’ha pensato per essere coerente fino in fondo.
VC: C’è un suo passo che mi piace molto: “Sono sempre stato interessato all’orecchio, perché penso sia l’oggetto strutturato architettonicamente più interessante (…). È una struttura molto bella, esternamente, molto complessa internamente. L’orecchio non è solo un dispositivo per l’udito, ma anche per mantenere l’equilibrio, allo stesso tempo ho sempre avuto il desiderio di creare una protesi morbida: e che dire di una terza mano, un braccio esteso, una testa protesica un robot che cammina a sei zampe e un’orecchia in più? Questi non sono sintomi di una mancanza, ma piuttosto sono sintomi di eccesso. Viviamo in un’epoca di eccesso, ci esibiamo oltre la nostra biologia, oltre i confini della nostra pelle e oltre lo spazio locale che viviamo. Ora la tecnologia microminiaturizzata, la tecnologia biocompatibile in scala e in sostanza può essere aggiunta al corpo umano. Penso che l’evento più significativo del ventesimo secolo non sia stato lo sbarco della tecnologia su altri pianeti ma piuttosto lo sbarco della tecnologia sul nostro corpo umano, questo è stato l’evento più significativo del ventesimo secolo”.
Questi elementi meccanici, che hanno una volontà e un meccanismo al di fuori delle nostre azioni, nascono dalla fotografia in poi.
DB: Ho notato una cosa che mi interessa parecchio, e sono le immagini grafiche presenti, che in realtà è una sola che si ripete per tutto il libro, ma piazzata in modo strategico…
VC: Sì, belle, quelle. Quelle sono di Stelarc, ce le ha mandate lui.
DB: Ho notato questo collegamento con i primi esperimenti di computer grafica, che mi riportano addirittura ai Kraftwerk del 1986. Immagino che siano state fatte proprio all’epoca, no?
VC: Parliamo forse di un periodo antecedente, comunque mantengono lo stesso tipo d’estetica, è vero.
DB: Che sembra ancora attuale.
VC: E infatti queste qua non sono più solo delle documentazioni, sono delle opere in sé, che lui espone anche.
DB: Arrivati a questo punto, secondo voi questo prodotto sarà, come dire… La partenza di nuove cose, cioè è un lavoro pioneristico?
MC: Sì, anche perché, in realtà, come tutti i QR book, non è soltanto un prodotto. Cioè, c’è un aspetto teorico nell’esperimento che stiamo facendo, perché avendo bisogno di manutenzione il libro diventa in realtà un ibrido prodotto/servizio. Noi, l’abbiamo fatto all’inizio con un intento dichiarato di ricerca e sviluppo. Per vedere se funzionava l’abbiamo fatto con i nostri libri, perché era il modo più diretto per capirlo. Dato che è stato apprezzato, lo proponiamo adesso anche come strumento per altre case editrici, che non hanno una vocazione tecnologica, e che non potrebbero istituire un dipartimento dedicato, e ci stanno arrivando richieste per implementare con la nostra tecnologia, e lo vendiamo come servizio. In prospettiva, ovviamente, speriamo che si diffonda: in teoria ha buone possibilità di fondo, perché risponde a un’esigenza reale, quella di preservare la cosa più rara e più preziosa che ci sia, che è l’attenzione. È un esperimento in progress: siamo interessati al processo più che al prodotto.
DB: Dopo tutte queste riflessioni, per tornare al postumanesimo di Stelarc, noi in quanto umanità siamo più zombie o più cyborg?
VC: Secondo me più zombie.
MC: Secondo me siamo più cyber, ma di solito non ce ne accorgiamo, e questo non accorgercene ci rende… zombie (ride).
DB: E secondo Stelarc?
VC: Secondo Stelarc, siamo tutti rincoglioniti (ride).