Disclaimer: in questo articolo vengono utilizzati caoticamente maschili e femminili plurali sovraestesi.
N on pensate al sesso”. Se si inizia un pezzo sul sesso in un altro modo si va fuori strada, lontani da quella foresta dove ci si perde e l’elettricità percorre i palmi delle mani. Se ci pensiamo solo un secondo, il segreto evapora. Non pensate al sesso.
Sesso come nascita e morte, piacere dolore, sesso segreto esposto venerato. Liberazione sessuale, liberazione dal sesso, stupro, stuprum, stupor, sesso e potere. Dea del sesso, vergine ninfomaniaca, frigida, sterile, pudica, fertile, casta, bomba del sesso, pura. Ciò che meno ci interessa del sesso è l’atto sessuale. Allontaniamoci da casa e non cerchiamo significati.
Al Sicilia Queer Film Festival, la scorsa primavera, proiettano Un été comme ça di Denis Coté, presentato a febbraio alla Berlinale. Léonie, Eugénie e Geisha decidono di dedicare ventisei giorni per un “viaggio” di osservazione della propria ipersessualità. “Iper”, sopra il sesso: loro lo sorvolano o forse sono più sessuali, non si sa rispetto a cosa dato che la psicologa che le osserva si mostra (iper)sessuata, forse iper-romantica, quanto loro, la quantità di sesso che fa e che reclama si estende quanto quello degli altri personaggi.
All’inizio del film, le regole del gioco vengono dettate da una psicologa incinta: “Siete qui per la vostra spontanea volontà. Come abbiamo detto, non vi è proibito alcun pensiero o comportamento sessuale. Non siete malate. Vivetela come una vacanza. Questo è un viaggio, non un trattamento.” La donna incinta esce dalla stanza e la vedremo in seguito come allucinazione o voce telefonica: il sesso a solo scopo riproduttivo abbandona la realtà, come se non potesse più descrivere il caleidoscopio dei corpi del presente, ma sfugge soltanto, non svanisce mai: resta come panopticon che tutto norma e tutto guarda, legge di coercizione originale. La maternità è un fantasma, restano tre corpi vibranti, nuove carni, direbbe Cronenberg, che ci mostrano come si possa vivere il sesso. L’esperienza – e il film – è un esperimento. Guardare senza toccare, nessun giudizio, nessuna cura per un disturbo né etica. La psicologa Octavia osserva e annota.
Essere Geisha
Geisha vorrebbe che chi la osserva capisse che, in fondo, tolte tutte le strutture, godere è l’origine e la fine: “a me piace solo scopare”. Non le crediamo ma ha un valore trasformativo ciò che dice. Il suo soprannome richiama un Oriente immaginato, un modo altro di sentire il corpo; nella cultura drag, “geish” è una selezione di outfit, uniche identità della performer: Geisha può forse essere tante cose quanti gli occhi che la guardano? Geisha è il corpo sessuale, il segreto, il sacro che non si cristallizza in religione.
Percepire un’idea come naturale o progressista non le conferisce alcuna naturalità o primato assoluto. Credere che il sesso possa essere solo un luogo di lotta consapevole e verbalizzata non è necessariamente il modo giusto, l’unico, per esperire sia il sesso che la lotta. Infatti, una sensibilità immanente e trascendentale del sesso (che non si incancrenisce mai in concetto, quindi) può esistere e intessere relazioni altre. La troviamo infatti, per esempio, nei Paesi arabo-islamici. Scrive l’antropologo e filosofo Malek Chebel:
Tutto funziona nell’islam come un inno alla carne, un richiamo al piacere, una valorizzazione costante della gioia al servizio di Dio. In quest’ottica di antropologia sessuale si impara che il punto di comprensione coranica è situato preferibilmente sul versante del sesso, prima che il sesso diventi una sessualità.
Come fossimo nelle strutture postumane di Cyclonopedia, in cui la filosofia s’innesta sulla religione e la fantascienza, il discorso islamico sul sesso si liquefa attraversando la poesia e il sacro, il razionale non è più in grado di detenere il potere, le sue crepe inondano il reale di indefinibile.
Tra le tinte oniriche del suo film, Denis Coté insegue la dissoluzione della norma sotto varie prospettive: persino il fallo – o la sua assenza – non rappresenta più il sole attorno a cui orbita il sistema sessuale. Non ci sono coming out: quasi, anzi, ci fosse una problematizzazione del rendere pubblico il proprio orientamento. Nel corso delle mie ricerche sul drag e, in senso lato, sul queer, mi è stato chiesto spasmodicamente se fossi lesbica. Nel contemporaneo, se non dichiaro pubblicamente ciò che desidero, se mi eccita la dimensione segreta delle mie pratiche, se decido di selezionare un pubblico privato per le mie confessioni (e grazie al cristianesimo continuiamo a sentirle “confessioni”), sono una cattiva attivista; cattiva lesbica gay pansessuale bisessuale. Il segreto è sempre sbagliato, è percepito come un tornare indietro rispetto ai “progressi” sociali, un mancato adeguamento allo stato giusto-naturale delle cose. Inesistente.
Le dinamiche sessuali stanno divenendo sempre più simulacri di ideologie; dovrei rinunciare al desiderio penetrativo per le ingiustizie sociali che si innervano a partire dal fallo?
In Un été comme ça, l’unica persona di cui ci viene raccontato l’orientamento sessuale è Octavia, colei che guarda le ipersessuali e cerca un senso a ciò che sta avvenendo. Octavia ha una relazione lesbica – di nuovo con un personaggio che è solo una voce – e si masturba pensando alla collega-madre che le ha passato il testimone dell’esperimento nella villa; mentre si tocca, immagina anche un enorme ragno sopra la testa, come l’impellenza di dover capire cosa si sta facendo e perché e se è giusto. È l’anello di congiunzione tra l’eteronormatività, custodita dalla figura della madre (futura) apparsa-scomparsa a inizio film, e la sua esplosione, rappresentata da Léonie, Eugénie e Geisha: dalla sua posizione, Octavia soffia sulla trama delle istanze omonormative. Ricordando Monique Wittig, sempre più realizziamo quanto la normativa omosessuale non sia altro che il paradigma eterosessuale svalutato. Come nella relazione tra camorra e Stato il codice etico camorrista si costruisce a partire dalle mancanze delle leggi statali e la loro esistenza si giustifica in modo mutuale, anche qui norma e contronorma sono parte di un unico impianto legislativo, un solo dispositivo di potere.
Essere Eugénie
Non pensare al sesso. Non giudicare il sesso. Tanto, non possiamo che fallire. Un été comme ça fallisce con noi. Coté prova a non giudicare e a non farci giudicare, tant’è che la fine dell’esperimento non arriva ad alcun risultato. Tuttavia, delle vocine, dei messaggi nella sottotrama ci suggeriscono l’analisi, l’interpretazione, la traduzione ragionevole ed etica. La cautionary tale. Le tre protagoniste appaiono ansiose, depresse, spaventate: Eugénie, durante il giorno di uscita libera, implora un camionista di non lasciarla da sola e di farla dormire con lui, giudica le proprie fantasie come malate; gli imponenti desideri di Geisha vengono costantemente minimizzati da Sami, l’assistente di Octavia; Léonie viene innanzitutto etichettata con i suoi disturbi mentali dalla psicologa. Come se dovesse andare tutto male per forza, come una sottile punizione.
L’esperimento di Coté, insomma, non produce gli effetti desiderati di liberazione. Ci sono diversi motivi. Grete Hermann, fisica e filosofa a tratti neokantiana, parla di splitting of truth: non esiste una verità assoluta, ma frammenti che scaturiscono dalle relazioni tra enti e sistemi. Non solo ogni volta che entriamo in contatto con un sistema lo modifichiamo, ma l’unico brandello di verità che riusciremmo a vedere scaturisce proprio dalla relazione con il fenomeno. Guardando, noi modifichiamo e frantumiamo l’oggetto e, al contempo, i nostri occhi vengono dipinti di ciò che stiamo guardando. La neutralità di eventi e sguardi è un mito che ci siamo raccontati per non perderci nella relatività e nel molteplice. Ed è una storia a cui ha creduto tanto il regista di Un été comme ça quanto il personaggio della psicologa; lo sguardo della psicologa è modellato dagli studi che ha sostenuto e dalla sua relazione tormentata, lo sguardo del regista da una società che patologizza un sesso non normativo, il nostro sguardo da tutto questo e dalla nostra storia.
Siamo fermi davanti all’esperimento che non conduce a una risposta. Accanto a Geisha, solo corpo, c’è Eugénie, solo norma. Per i teorici del sesso, quindi chi sta leggendo, il suo nome risuonerà: Eugénie è colei che violenta e uccide la propria madre nella Filosofia nel boudoir di De Sade. Il marchese inizia il proprio pamphlet invitando ogni madre a far leggere l’opuscolo alle proprie figlie; costellato da interventi politici (come nel capitolo “Francesi, ancora uno sforzo se volete essere repubblicani”), il testo fornisce gli ossimori dentro i quali viviamo il sesso da occidentali: autodeterminazione tassonomica, libertà ultranormata, rivoluzione ordinata.
Fanciulle rimaste troppo a lungo legate ad assurdi e pericolosi vincoli d’una virtù fantasiosa e di una religione disgustante, imitate l’appassionata Eugénie! Distruggete, calpestate, e con la sua stessa rapidità, tutti i ridicoli precetti che vi hanno inculcato genitori imbecilli.
Ma nel calpestare i dogmi, Eugénie è alla ricerca di uno scopo “vero” e “ultimo”, così finisce per non smantellare il paradigma ma crearne uno nuovo. Si definisce come il nuovo discorso sul sesso, ma si tratta pur sempre di una definizione. Siamo figlie sue e della rivoluzione sessuale che ha messo al centro la teoria, più la cultura del comportamento (come spiega Jeffrey Escoffier nel documentario Sex Revolution e come percepiamo ogni giorno negli slogan attivistici). Nella “liberazione” ci siamo a tal punto rinchiusi in fortezze di pensiero che abbiamo dimenticato il piacere, il gioco. Le dinamiche sessuali stanno divenendo sempre più simulacri di ideologie; dovrei rinunciare al desiderio penetrativo per le ingiustizie sociali che si innervano a partire dal fallo? La mancata sperimentazione di un kinky pleasure mi rende ancella del patriarcato? E contaminare il sesso di romanticismo? La deriva estrema di questa significazione e moralizzazione sessuale è stata rendere il sesso un partito: il BDSM ci appare marxista, la missionaria è di destra, l’orgia è socialista. Solo non si vede l’anarchia. Siamo quindi in perenne sospensione tra ciò che vorremmo e ciò che vorremmo volere quando leggiamo “non pensate al sesso”; quando ci viene detto di guardare, fare e basta, quando dovremmo stare nella carne più che nella parola.
Essere Léonie
Uscita dalla sala, vedo varie persone che sorridono amaramente, come se avessero fatto venti chilometri per comprare un gelato che si è sciolto prima di entrar loro in bocca. Smettere di burocratizzare il sesso non solo ci risulta difficile a livello storico-culturale, ma è strutturalmente impossibile: è già politica prima ancora di renderlo discorso politico. Non lo possiamo ammettere perché è quel tipo di atto trasformativo che non ci dona prestigio nella società; è la politica del gioco, dei liquidi e del sudore.
Smettere di dire che il sesso è politica è un atto politico?
In Un été comme ça, l’eccitazione del personaggio Léonie si pone in dialogo con l’esperienza islamica del sesso. Léonie diventa sua adepta radicale occidentale: si rende conto di non poter evitare di creare discorsi su sesso e traumi e potere, ma il suo atto trasformativo risiede nel rendere anche i discorsi atto sessuale. Racconta a Octavia le violenze sessuali subite dal padre, mostra la propria vulnerabilità immediatamente in un movimento non redentivo o curativo, ma solo erotico. La narrazione della violenza sessuale la eccita.
Léonie, come l’amico di Dorothy che cercava il coraggio pur possedendolo, sperimenta una sensibilità sessuale complessa senza saperlo: insemina i discorsi di corporeità, erotizza la morale, piange mentre racconta un episodio orgiastico che la eccita. Eros e politica convivono e si seducono in una persona che ha accettato di vivere nelle fessure tra ferita e desiderio, discorso e corpo, eccitazione e colpa. Divenire Léonie vuol dire permettersi desideri di stupro in seguito a uno stupro. Ma non possiamo guardarla direttamente come modello; le posizioni sul sesso si sono tanto sclerotizzate che dobbiamo vivere da Geisha per divenire Léonie. Radiamo al suolo ogni sessualità per raggiungere l’orgasmo – la politica è già connaturata all’atto e s’infiltrerà come discorso in ogni caso, che vogliamo o meno.
Léonie, Eugénie e Geisha, nella scena finale, si buttano nel lago e non le vediamo più risalire. Spariti loro, oggetti sessuali lo diventiamo noi, il pubblico. Non sono morte, sono solo sospese tra l’affogare e il respirare, tra la politica prestigiosa della lingua e quella della clitoride, l’una viziata dall’altra, ciascuna con la capacità di infiltrarsi negli spazi dell’altra. Si allontanano da tutto: dall’emarginazione di chi non comprende le implicazioni di potere della sessualità ma anche dalla leggenda per cui il kinky sia sesso liberato dai discorsi e dal potere stesso. Nude, nel lago, restituiscono il fascino di un’estetica ontologica: che bisogno c’è di dare un fondamento “serio” a ciò che ci fa stare bene? Perché soddisfare il desiderio deve ricollegarci a istanze politiche della liberazione e non alla pura esperienza corporea del piacere – in qualche misura politica anche lei ma non nel modo in cui crediamo?
Provo a immergermi nel lago. Posso non mascherare la superficialità di parole pesanti, distruggo il discorso della politica “seria”, tanto si è già ramificata nelle esperienze e non riesco, concettualizzo il sesso mentre tento di non farlo, mi butto con loro tre e penso al sesso, anzi alla sessualità, mentre mi chiedo: smettere di dire che il sesso è politica è un atto politico?