H ildegard Westerkamp mi parla di una sua composizione recente per pianoforte, voce parlata e traccia audio registrata. “È un brano narrativo, ispirato al paesaggio sonoro della mia infanzia, quando ho iniziato a studiare musica. Si chiama Klavierklang, ‘suono di pianoforte’. Nasce dalla collaborazione con la pianista canadese Rachel Kiyo Iwaasa, e dalle nostre conversazioni sulla fatica e lo scoraggiamento delle lezioni di piano. L’educazione musicale in ambito classico può distruggere completamente le orecchie e l’autostima.”
Nata nel 1946 ad Osnabrück, in Germania, Hildegard Westerkamp si definisce compositrice e sound ecologist. Ha iniziato come musicista, suonando il pianoforte e il flauto. “Ho capito solo negli ultimi dieci anni che il motivo per cui studiavo musica era, in primo luogo, perché volevo ascoltare, non esibirmi”, mi rivela. “All’epoca non ne ero cosciente, e in Germania ho affrontato esperienze di studio atroci.” La narrazione di Klavierklang riguarda un bambino che inizia a suonare il piano. Il brano termina con alcune registrazioni che Westerkamp ha realizzato su un vecchio pianoforte trovato in una casa abbandonata nella British Columbia. “Mi sono registrata mentre suonavo quell’oggetto totalmente stonato, rotto – una strana scultura sonora. Provavo un senso di libertà: ecco uno strumento con cui non potevo sbagliare, perché era già pieno di errori. Klavierklang ha a che fare con le problematiche culturali dell’educazione musicale: la libertà che ti può far provare, ma anche la paura assoluta e il senso di prigionia.”
[soundscape]
Quando Hildegard Westerkamp emigra in Canada nel 1968, decide di abbandonare l’esecuzione per concentrarsi sulla storia della musica, sulla teoria, sull’ascolto. Lo descrive come un periodo favoloso, una sorta di liberazione. Qualche anno dopo incontra Raymond Murray Schafer, il compositore, scrittore e ambientalista canadese che in quegli anni stava diffondendo globalmente il concetto di soundscape (tradotto in italiano come “paesaggio sonoro”), ovvero la relazione percettiva fra l’essere umano e la combinazione di suoni – naturali ed artificiali – dell’ambiente circostante. Dopo aver ascoltato una sua conferenza, lei decide di contattarlo. Lui la invita a far parte del World Soundscape Project, il progetto di ricerca che dirigeva presso la Simon Fraser University, e che avrebbe aperto la strada allo studio dell’ecologia acustica.
“Ero in paradiso”, mi racconta Westerkamp. “Facevo parte di un gruppo di ascoltatori appassionati che cercavano di capire il mondo tramite il suono. Studiavamo le problematiche dell’inquinamento acustico e registravamo sul campo i paesaggi sonori. Eravamo quasi tutti musicisti e compositori, e il nostro approccio appariva a molti non scientifico: consisteva nell’ottenere informazioni sull’ambiente sonoro principalmente attraverso la percezione uditiva. Solo oggi, più di quarant’anni dopo, alcuni scienziati hanno iniziato a combinare dati scientifici con indagini percettive realizzate da artisti e compositori. Con risultati sorprendenti.”
[a perceiving whole]
Westerkamp e gli altri componenti del World Soundscape Project erano i pionieri di una nuova disciplina, che nel 1977 Murray Schafer avrebbe teorizzato nel suo libro più famoso, The Tuning of the World (“Il paesaggio sonoro”). La domanda ricorrente all’interno del gruppo era: “Cosa possiamo apportare noi soundmakers a livello culturale, sociale, politico, ecologico e personale? È un approccio che mette in relazione l’udito con questioni profondamente rilevanti oggi”, continua Westerkamp, “come l’inquinamento acustico e la distrazione. Il rumore non è solo nell’ambiente esterno, ma anche all’interno, nelle nostre menti: è la frammentazione del pensiero, causata dal sovraccarico di informazione fornita dai media e da internet.”
Penso a un brano dalle Lezioni americane di Italo Calvino, scritte nel 1985: “Viviamo sotto una pioggia ininterrotta di immagini; i più potenti media non fanno che trasformare il mondo in immagini e moltiplicarlo attraverso una fantasmagoria di giochi di specchi […] Gran parte di questa nuvola di immagini si dissolve immediatamente come i sogni che non lasciano traccia nella memoria; ma non si dissolve una sensazione di estraneità e di disagio.” Lo leggo a Hildegard Westerkamp.
“Sì, è il dominio delle immagini”, mi risponde. “Siamo attratti dalla fruizione visiva e spesso trascuriamo l’udito come fonte di informazione. Invece, tutto il nostro essere è un’unità percettiva [a perceiving whole]. In un ambiente calmo c’è un equilibrio tra i sensi, non siamo forzati ad usarne uno al di sopra degli altri. In un ambiente rumoroso siamo costretti a orientarci principalmente con i nostri occhi. Ad esempio, di solito ignoriamo il rumore del traffico, lo rimuoviamo. La genialità del lavoro di Murray Schafer è che ci incoraggia ad ascoltare tutto, specialmente i luoghi rumorosi. Solo ascoltandoli con consapevolezza possiamo misurare l’impatto umano sul paesaggio sonoro. Quando riusciamo ad ascoltare dentro di noi, entriamo in contatto con i nostri pensieri, con il passare del tempo; siamo nel presente. Ma se l’ambiente è troppo rumoroso e dispersivo, i nostri occhi tendono a rivolgersi al mondo esterno, sfrecciano da una cosa all’altra. Le orecchie non possono concentrarsi e i pensieri perdono di coerenza.”
[writer of sound]
Nonostante la sua costante esplorazione del rapporto fra esseri umani e paesaggio sonoro, molti lavori di Hildegard Westerkamp includono anche poesie, racconti, linguaggio. Nella sua opera c’è una compresenza di narrazione e contemplazione. Once Upon a Time (2012), ad esempio, è una storia della buonanotte sul potere della voce e l’influenza nefasta della Muzak Corporation, narrata da due bambini. Nella composizione in otto canali Für Dich – For You (2005), il tema del linguaggio è indagato ancora più esplicitamente: intrecciando dei versi di Rilke con la loro traduzione inglese, Westerkamp mette in atto un corpo a corpo fra la sua lingua materna e quella adottiva.
“Sono cresciuta in Germania” racconta, “dove c’era una tradizione molto radicata di ‘Hörspiel’, un termine che si può tradurre letteralmente come ‘opera teatrale da ascoltare’. Da bambina sentivo radiodrammi in continuazione, e solo dopo anni ho capito l’enorme influenza che questo formato ha avuto sul mio lavoro. Le mie prime composizioni erano incentrate sul paesaggio sonoro, ma fin dall’inizio includevo anche frammenti di linguaggio, ad esempio alcune poesie del mio allora marito, Norbert Ruebsaat. Mi appassiona la connessione tra parole e suoni, e spesso mi definisco una ‘scrittrice di suono’ [writer of sound] piuttosto che una compositrice.”
Penso a Glenn Gould e alla trilogia di documentari radiofonici che il pianista canadese realizzò fra il 1967 e il 1977. Anche lui passò dall’esecuzione alla registrazione del suono, esplorando l’uso della voce. Gould smise di esibirsi dal vivo come pianista relativamente giovane, e decise di presentare le sue esecuzioni solo in formato registrato. Amava l’ascolto analitico che avviene in studio, e sperimentò varie tecniche di registrazione. Per la sua Solitude Trilogy, iniziata con The Idea of North, il suo radio-documentario più conosciuto, usava un metodo che chiamava “radio contrappuntistica”: due o più voci di persone sono riprodotte simultaneamente, intrecciandosi l’una con l’altra come linee musicali in una fuga di Bach.
Chiedo a Westerkamp se, al suo arrivo in Canada, Glenn Gould fosse per lei un riferimento. “Gould amava la radio, e ha sperimentato molto con il suo potenziale sonoro” mi risponde. “Per me era un’ispirazione importante, anche se i miei lavori radiofonici sono molto lontani dai suoi montaggi densi e stratificati.”
[soundwalking]
Nel 1978 Westerkamp riceve una sovvenzione per produrre Soundwalking, un programma radiofonico che concepisce per la Vancouver Co-operative Radio, una giovane stazione indipendente. “La mia era una posizione didattica e politica”, mi racconta. “Volevo che le persone prendessero coscienza del proprio ambiente attraverso l’udito. Sapevo che non sarebbe stato sufficiente registrare un ambiente sonoro e semplicemente trasmetterlo sulle onde radio, così decisi di registrare anche la mia voce, come una mediazione tra i suoni ambientali e l’ascoltatore. Descrivevo gli elementi dell’ambiente che la radio non poteva veicolare: l’ora, la posizione, il clima, la stagione. A volte evidenziavo anche le caratteristiche di un particolare suono. Parlavo però il meno possibile, quel tanto che bastava per mantenere attiva l’attenzione di chi era all’ascolto. Ogni episodio si svolgeva in un luogo diverso: un lungomare, un parco, una fabbrica, un mercato. Oppure sulle montagne, in centri commerciali, foreste o aree urbane abitate da alcolisti e tossicodipendenti. Non preparavo mai in anticipo il percorso del soundwalk; lo sceglievo intuitivamente, a seconda del clima, del mio umore e delle mie energie.”
Soundwalking è un esperimento sul potenziale del mezzo radiofonico. Il programma nasce come una continuazione di The Vancouver Soundscape, uno studio minuzioso sul paesaggio sonoro di Vancouver che i membri del World Soundscape Project presentano nel 1973.
[on solid ground]
“Avevo ventidue anni quando sono emigrata”, ricorda Westerkamp. “Ho subito amato Vancouver e gli spazi immensi del Canada. Avevo un desiderio inconscio di uscire dalla Germania e unirmi a questa società più aperta. L’incontro con Murray Schafer e il World Soundscape Project mi ha fatto scoprire chiaramente, visceralmente, l’ascolto. Finalmente avevo toccato terra [I was on solid ground]: mi sentivo perfettamente a casa lavorando con i miei nuovi colleghi. Ma ho iniziato a conoscere davvero Vancouver quando mi è stato chiesto di ascoltare la città. La pioggia, il suono naturale dominante della costa nord-ovest del Pacifico, ha un timbro totalmente diverso rispetto alla Germania settentrionale in cui sono cresciuta. Sul terreno muschioso e negli enormi boschi di conifere ha una sonorità più morbida che nelle foreste decidue. Quando ti connetti al suono di un nuovo ambiente in maniera così consapevole, inevitabilmente ti radichi, ti senti a casa.”
Molte composizioni di Hildegard Westerkamp partono da esplorazioni di luoghi. At the Edge of Wilderness (2000), un’installazione sonora sulle città fantasma della British Columbia, è uno studio sulla natura che riprende il possesso di strutture industriali abbandonate. Attending to Sacred Matters (2002), uno dei lavori che Westerkamp ha dedicato all’India, indaga le numerose pratiche religiose del paese, registrando le loro varie espressioni sonore in spazi pubblici o privati, urbani o naturali.
La relazione con il luogo assume un carattere diverso nel caso di Türen der Wahrnehmung, un brano concepito per essere riprodotto in diversi spazi pubblici della città di Linz, durante il festival Ars Electronica del 1989. Disseminata nel paesaggio urbano, la composizione interagisce con il soundscape della città, aprendo una serie di “porte” uditive verso un mondo sonoro parallelo. In linea con la sua vocazione a propagarsi in contesti diversi, il brano viene poi inserito da Gus Van Sant nella colonna sonora dei suoi film Elephant (2003) e Last Days (2005).
[our genuine voice]
Si può tracciare una linea di autrici fondamentali per la ricerca sul suono, come Daphne Oram, Delia Derbyshire ed Eliane Radigue. O come, dall’altra parte dell’oceano, Pauline Oliveros, Annea Lockwood e Hildegard Westerkamp, che però racconta di essere stata l’unica donna nel primo nucleo del World Soundscape Project.
“Mi resi conto che lavoravo sempre con uomini. Poi ho incontrato Pauline Oliveros, e la sua ricerca mi ha introdotto alla meditazione sonora e al Deep Listening. All’epoca lavoravo da una prospettiva attivista e ambientalista, e il suo lavoro proponeva strutture per l’ascolto e il soundmaking molto diverse dalle mie. Incontrarla è stato lo spunto per riflettere su una questione ecologica: qual è l’equilibrio tra input sonoro (quanto e quali tipi di suoni ricevono le nostre orecchie) e output sonoro (quanti e quali tipi di suoni produciamo)? Si è poi trasformato in un problema femminista: cosa accade alle voci di donne nella nostra società? In che misura siamo sovrastate da voci di uomini, famiglie, autorità? Quanto tempo e spazio abbiamo a disposizione per sviluppare realmente la nostra voce? Le donne sono spesso brave ascoltatrici, perché tradizionalmente siamo state addestrate a prenderci cura della famiglia, dei figli, degli uomini e di molto altro. Ma quali momenti ci restano per ascoltare in modi nuovi, per trovare una nuova voce? La mia non era una posizione attivista; non sono stata fra le femministe che hanno combattuto in prima linea per i diritti delle donne. Ero più interessata ad individuare e indagare la nostra voce autentica [our genuine voice]. Storicamente, le voci delle donne dovevano essere morbide, non troppo alte, piacevoli, magari seducenti. Quando la voce di una donna provava ad essere forte, o anche solo un po’ più alta del normale, veniva spesso giudicata come nervosa, o isterica. Ma se vogliamo essere efficaci e avere un impatto, la nostra voce dev’essere autentica. Quando la troviamo – e questo vale per tutte le persone, uomini e donne –, essa ha un potere espressivo unico. È nostro, è radicato nei nostri corpi e nei nostri cuori.”
La ricerca di una specificità vocale è già in Whisper Study (1975), la prima composizione di Westerkamp creata in studio, dove l’autrice registra la propria voce bisbigliata e ne esplora le qualità timbriche attraverso delay e feedback. Moltiplicata e sovrapposta su diverse tracce, la voce intesse una struttura polifonica, in cui la parola significante si trasforma in puro suono.
Una forma di vocalità ai limiti del linguaggio viene proposta anche in Breaking News, un brano composto all’indomani dell’11 settembre, in cui Westerkamp registra i primi suoni prodotti dal nipote Caleb, a partire dal battito embrionale fino all’emergere, improvviso, della voce.
[an inner consciousness of listening]
Chiedo a Hildegard Westerkamp cosa l’abbia spinta a praticare la meditazione, a rivolgere il suo orecchio verso l’interno. “Inizialmente ero molto interessata al messaggio educativo del paesaggio sonoro, alla sensibilizzazione sull’inquinamento acustico. Ora direi che il mio interesse principale è l’ascolto stesso. Come possiamo approfondire la nostra percezione uditiva per comprendere e descrivere il mondo in termini sonori? Ho cominciato a praticare la meditazione come un’altra forma di ascolto. Inizialmente ci si trova di fronte al brusio incessante del cervello, alla moltitudine di voci nella nostra testa. Poi si impara ad accettare quel rumore: esplorarlo, lasciarlo passare, magari anche calmarlo. Ho sperimentato una convergenza: da un lato c’era lo studio sul paesaggio sonoro e i miei interessi ambientali-educativi; dall’altro, la scoperta di una coscienza interiore di ascolto [an inner consciousness of listening]. Il mio orecchio attivista si è rivolto verso l’interno, rallentando e facendosi più contemplativo. Forse è un segno dell’invecchiamento, quando possiamo permetterci di abbassare il ritmo e non tener dietro alla frenesia sociale quotidiana. Oggi penso che una delle cose più rivoluzionarie che possiamo fare – e includo anche le generazioni più giovani – è rallentare, prendere coscienza dei modi in cui inseguiamo la vita. Solo così possiamo tenere traccia dei nostri pensieri. Rallentare ci permette di ascoltare e prenderci cura delle persone e del mondo attorno a noi. È un’ispirazione, uno stimolo.”