A l centro del mio comporre c’è l’idea di considerare il suono come una materia in cui sprofondare per forgiarne le caratteristiche fisiche e percettive: grana, spessore, porosità, luminosità, densità, elasticità. Quindi scultura del suono, sintesi strumentale, anamorfosi, trasformazione della morfologia spettrale, deriva costante verso densità insostenibili, distorsione, interferenze (…) E sempre maggiore importanza data alle sonorità di derivazione non accademica, al suono sporco e violento”.
Queste parole racchiudono l’idea di musica di Fausto Romitelli, compositore nato nel 1963 e morto a soli 41 anni, il 27 giugno 2004, dopo una lotta decennale con la leucemia. Dopo il diploma in composizione al Conservatorio di Milano e il perfezionamento a Siena e ancora a Milano (questa volta alle Civiche), Romitelli va a Parigi a studiare musica elettronica come compositeur en recherche al rinomato istituto IRCAM. A influenzarlo sono Giacinto Scelsi e György Ligeti ma anche Salvatore Sciarrino e in generale tutta l’avanguardia europea del dopoguerra. A lasciargli un segno in quegli anni è soprattutto la corrente dello spettralismo (in primis nelle declinazioni di Hugues Dufourt e Gérard Grisey, al quale dedicherà il secondo brano del ciclo Domeniche alla periferia dell’Impero), studio scientifico dello spettro sonoro ed esperimento continuo sulla sua trasformazione, attuato in seguito attraverso l’elettronica, l’informatica, perfino attraverso tecniche strumentali mutuate da generi come il noise o la techno.
Romitelli rifiuta però il formalismo e la sua adesione allo spettralismo, non-genere diventato presto scuola, è tema di discussione. “Le generazioni che ci hanno preceduto sono state assillate dal ‘desiderio esasperato di riorganizzazione totale, su nuove basi, del linguaggio musicale’ (Gentilucci). La nostra generazione, invece, non ha inventato nuovi sistemi linguistici ma ha cercato di ritrovare un’efficacia percettiva ed un nuovo, forte impatto comunicativo”.
Dello spettralismo cerca di incarnare soltanto le istanze più audaci e rivoluzionarie, quelle che intervenivano sulla materia sonora per farla diventare qualcosa d’altro, qualcosa alle volte difficile da definire:
Le nuove tecnologie hanno sconvolto le basi del pensiero musicale: sono il punto di arrivo di un lungo processo verso il controllo assoluto del suono e l’emancipazione del rumore. Se la fabbricazione e la pratica degli strumenti dell’orchestra si sono sviluppate nella necessità di rendere il suono il più armonico possibile e di ridurre al minimo le componenti di rumore, le nuove tecnologie musicali hanno aperto, invece, le porte della percezione all’universo inarmonico e ci hanno fornito gli strumenti per esplorare questo mondo inaudito. Le tecnologie non hanno generato un nuovo linguaggio, ma hanno suggerito ai compositori nuove interpretazioni di uno stesso principio: comporre il suono anziché con il suono.
Se Romitelli è oggi un compositore piuttosto conosciuto, le sue opere rimangono – nella definizione che ne dà Vincenzo Santarcangelo nel libro Have Your Trip – “oggetti sonori non identificati”, che mescolano alto e basso, acustico e elettronico, partiture e improvvisazione, classica e krautrock. Non è un caso che il compositore friulano si dichiari ammiratore di un autoproclamato non-musicista come Brian Eno: anche lui autore di musica sublime e importantissima, ma sempre distante dalle accademie e dai circuiti della musica colta.
“Se vogliamo evitare le secche dell’accademia e l’inaridimento dobbiamo riflettere a trecentosessanta gradi sull’universo sonoro che ci circonda”. E ancora: “Credo che il talento di un compositore si misuri, oggi, dalla sua capacità di integrare nella scrittura materiali differenti, spesso eterogenei, senza rinunciare al rigore concettuale e alla definizione di uno ‘stile’ capace di ‘metabolizzare’ le differenti influenze e generare delle nuove immagini sonore”.
Romitelli incorpora nelle sue opere l’ossessività della techno e le atmosfere di trance della psichedelia più visionaria da una prospettiva in realtà “studiata”, scritta, sicuramente colta e accademica ma animata da una fede nello straniamento, nella distorsione, nella saturazione e nella liquefazione dei suoni, materia grezza da modellare: sculture del suono, appunto.
Tra le sue composizioni più importanti c’è EnTrance (1995-1996), che parte da un mantra del Libro tibetano dei morti per cercare attraverso l’elettronica nuove dimensioni e possibilità di fruizione dalla ripetizione di puro suono.
Professor Bad Trip, trilogia composta tra il 1998 e il 2000, è una delle sue opere più memorabili. In un totale di circa 40 minuti si succedono stimoli dalla musica extra-colta, in particolare dal rock, come dall’elettroacustica e dal rumorismo, dalle avanguardie francesi e italiane e dal lavoro su nastri e effetti fino a passaggi quasi dark ambient. Ma c’è spazio anche per momenti più placidi e rarefatti: un viaggio sonoro attraverso influenze e idee, un’esperienza lisergica che omaggia nel titolo l’artista visivo Gianluca Lerici e si ispira all’opera poetica di Henri Michaux, in particolare a quella composta sotto l’effetto di mescalina.
Romitelli incorpora nelle sue opere l’ossessività della techno e le atmosfere di trance della psichedelia più visionaria da una prospettiva studiata, scritta.
A Francis Bacon e alla violenza del suo gesto pittorico si ispira invece Blood on the floor, Painting 1986 (2000) composizione di otto minuti per flauto, clarinetto, chitarra elettrica, sintetizzatore e quartetto d’archi, con momenti di intensità quasi insostenibile. Trash TV Trance (2002) consiste in 12 minuti di sola chitarra elettrica distorta, effettata e maltrattata in modi – corde percosse, jack dell’amplificazione staccato e messo in contatto con parti della chitarra – che non sfigurerebbero nei cataloghi di innovatori e esploratori di nuove modalità nell’uso dello strumento come Glenn Branca o Rhys Chatham. Maarten Beirens del De Standaard definirà la musica di Romitelli “come Bach suonato dai Sonic Youth”.
Nel 2003 è il turno di Dead City Radio. Audiodrome, ispirata a Marshall McLuhan e verosimilmente anche al Videodrome di Cronenberg: “la percezione del mondo è creata dai canali di trasmissione: ciò che vediamo e ascoltiamo non è semplicemente riprodotto, ma elaborato e ricreato da un medium elettronico che si sovrappone e sostituisce l’esperienza reale”.
Il capolavoro di Romitelli è probabilmente An Index of Metals del 2003 (nel titolo è palese la citazione di un altro capolavoro: il lato b del secondo album di Brian Eno e Robert Fripp): una video-opera di cinquanta minuti per soprano, ensemble, strumenti elettronici e videoproiezione, ideata insieme a Paolo Pachini che è anche autore della parte visuale insieme a Leonardo Romoli. Index si apre con un campionamento da Shine On You Crazy Diamond dei Pink Floyd ripetuto ossessivamente e man mano modificato e sfigurato, sporcato da interventi esterni, finché non trovano spazio altri campionamenti (stavolta dei Pan Sonic), bordoni di basso e una voce che a tratti ricorda quella di Diamanda Galás.
È narrazione astratta, con la “volontà di creare un’esperienza percettiva totale, unendo all’aspetto musicale un suo duale visivo per immergere lo spettatore in una materia incandescente, avviluppante. Una celebrazione iniziatica della metamorfosi e fusione della materia, un light show, in cui viene provocata una estensione della percezione del sé al di là dei limiti fisici del corpo e per mezzo di tecniche di transfert, di fusione in una materia aliena. Un percorso verso la saturazione percettiva e l’ipnosi, di totale alterazione dei parametri sensoriali abituali”. Un’opera che si rivolge al sublime e che va accolta completamente, come arriva, per quanto si riesce, in uno stato di abbandono e dimentichi dei vecchi canoni. Lo stesso Romitelli cita il fenomeno dei rave party, richiamando un’esperienza di fruizione che più che estetica e mediata diventa sensoriale e immediata.
An Index of Metals è un lavoro composto con tenacia, fino agli ultimi giorni, incurante della fine che si avvicinava. Scrive Michele Coralli sul numero 193 della rivista Amadeus che “può essere considerata la summa di un approccio sperimentale votato alla manipolazione della materia, in quanto dimensione entro cui cogliere uno struggimento quasi onirico e ultra-sensoriale”. In effetti, quando Romitelli dormiva e sognava diceva di stare lavorando.
“Da quando sono nato, sono sempre stato immerso in immagini digitalizzate, suoni sintetici, artefatti. Artificiale, distorta, filtrata – questa è la natura dell’uomo oggi.” Romitelli cerca di riflettere questa esperienza umana nell’arte con ogni mezzo, strumentazione inclusa: quella classica, sì, ma accanto a questa kazoo, armoniche a bocca, tastiere; perfino megafoni, spugnette e rasoi, con cui costruire architetture tutt’altro che di fortuna, talmente imponenti da darci i brividi.
Fausto Romitelli non cerca mai la fusion fine a se stessa, non è mai musica furba ma totale, assimilata, compresa: un abbraccio che rompe gli steccati e i formulari, per quanto di avanguardia essi siano.
I compositori devono uscire dalle loro supposte torri d’avorio (ghetti, in realtà) e confrontarsi con il panorama mediatico e con le sue tecniche di comunicazione basate sui principi di persuasione, controllo e dolce ma inflessibile repressione. (…) Le nostre menti sono inondate da un flusso inarrestabile di informazioni tendente a sovrapporsi e sostituirsi alla realtà e alla vita stessa: il fine è quello dell’omologazione globale, poiché i consumi, come le inondazioni, si espandono facilmente su di un territorio piatto, uniformato e mondato di ogni differenza.Molto più di scrittori, cineasti e artisti, i compositori oggi sono costretti a tacere: perché l’industria culturale impedisce alle persone di ascoltare e la normalizzazione delle menti sopporta solo il carico di prodotti preconfezionati di facilissima digestione. (…) Io mi sento talora come un virus troppo isolato per attaccare un corpo così forte e ben nutrito: cosicché il virus se ne sta quieto e sognante nel corpo che vorrebbe distruggere, aspettando tempi migliori.
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Citazioni, informazioni, spunti e suggestioni per la stesura di questo testo provengono dal libro Have Your Trip – La musica di Fausto Romitelli a cura di Vincenzo Santarcangelo, ed. Auditorium, 2014; e dal testo Il compositore come virus dello stesso Romitelli, tratto da Milano Musica. Percorsi di musica d’oggi – Il pensiero e l’espressione. Aspetti del secondo Novecento musicale in Italia, Milano, 2001, pp.148-149.
Una versione di questo articolo è stata originalmente pubblicata sul sito Pixarthinking; l’autore desidera ringraziarne l’editor Mattia Coletti.