S iamo oramai abituati a tutto quando apriamo i social: una notizia diventa virale senza che ce ne accorgiamo ed ecco che in massa vediamo post ad anello sui Ferragnez, Sanremo e via dicendo; una roba da lobotomia frontale, ma volendo prevedibile se si parla di mainstream. Quello che invece è curioso è che un fatto in teoria appannaggio del giro “alternativo” faccia la stessa fine di un dibattito su “Tuta gold“ di Mahmood. Stiamo parlando della reunion dei CCCP Fedeli alla Linea.
Dopo ben 34 anni dal loro scioglimento, i nostri quattro paladini del punk emiliano filosovietico evidentemente fanno ancora discutere come ai tempi in cui li intervistavano addirittura su Topolino, spaccano il pubblico come quando i punk duri e puri gli davano dei venduti (il famoso adagio a loro rivolto “fedeli alla lira” riusciranno a usarlo a vantaggio del repertorio, trasformandolo in canzone), rompono le palle come quando si presentarono con la pièce Allerghìa ad Arezzo, opera incentrata solo su Fatur e Annarella che fece imbestialire il pubblico pagante il quale pensava di ritrovarsi davanti un live “standard”.
I CCCP fanno davvero discutere ancora o il loro è semplice approccio scandalistico da era Instagram? E a che pro?
Oggi per fare un bordello simile gli è bastato chiamare l’insopportabile Andrea Scanzi, cavia più o meno consapevole, a fare un monologo introduttivo ai concerti di Berlino, riuscendo a farsi una pubblicità tale che è difficile non pensare ad una mossa calcolata. Apparentemente questo dovrebbe andare a favore della tesi che i nostri siano ancora provocatori, e invece la domanda che ci sale alla mente è: fanno davvero discutere ancora o il loro è semplice approccio scandalistico/superficiale da era Instagram? E a che pro? Cosa hanno ancora da dirci? Dal momento in cui – vabbè – ci negano l’idea di nuovo autocitandosi con una frase proprio del brano simbolo della band, ovvero “CCCP”, noi ce l’aspettavamo (Altroché il nuovo nuovo è il titolo dell’album live da poco uscito, registrazione del loro primo live in assoluto): quindi perché negarci pure qualcosa di diverso?
La risposta è probabilmente che siamo in preda a una regressione speculare tra artista e pubblico, una sorta di ideale ritorno nell’utero di una madre che più che ideologia si chiama nostalgia conservatrice. La mia generazione ha avuto la fortuna di viversi in pieno il canto del cigno dei CCCP, avvenuto nel momento più alto della loro storia: quello di Epica etica etnica pathos, disco che acquistai nel 1990 in doppia cassetta. Un disco fondamentale per molti di noi, nel quale si descriveva il caos di quegli anni e della nostra classe (anagrafica più che sociale), in preda a crisi di valori (la caduta delle ideologie che poi descriveranno perfettamente anche i loro rivali/accoliti Disciplinatha col brano omonimo), tentativi falliti di misticismo, il consumismo che consuma se stesso, la mafia che penetra in ogni tessuto sociale, la droga che obnubila e imprigiona invece di liberare. Anni in cui Ferretti cantava “Maledirai la Fininvest”, e poi l’abbiamo maledetta sul serio perché alla fine lui stesso è diventato un perfetto prodotto da dare in pasto agli alleati di berlusconi.
Un ideale ritorno nell’utero di una madre che più che ideologia si chiama ‘nostalgia conservatrice’.
I CCCP da filosovietici per spirito di contraddizione sono diventati roba da museo delle cere. La loro pantomima nasceva dal rifiutare il moderno, dal trasformare in mito il discorso filosovietico fino a trasformarlo in fiaba, completamente – e fortunatamente – scollegato dal reale occidentale. I CCCP erano una sintesi di contraddizioni in cui già l’adattamento maccheronico dell’idioma russo (SSSR pronunciato alla cappelletti in brodo) indicava un grosso equivoco di fondo, quello dei comunisti emiliani che erano convinti di un socialismo reale buono, che non esisteva, del quale ignoravano o volevano ignorare la brutalità (Socialismo e barbarie fu un campanello di allarme in questo senso), così come volevano negare il loro riformismo spostato verso lidi di sudditanza capitalista.
In questo ambito si muovevano Fatur, praticamente un futurista Dannunziano, Annarella, una new ager, Zamboni, intellettuale della sinistra nerd, e un Ferretti calato nel ruolo di profeta palesemente cattocomunista che in qualche modo faceva collante tra dubbi a 360 gradi e capovolgimenti di campo continui rispetto alla fede da seguire (Allah o la Madonna? Gheddafi o Paolo VI? I love you SSSR o la condanna della strage di Tienanmen?).
Insomma era roba densa di sottotracce, la forza del progetto stava proprio negli innumerevoli cassetti da aprire nell’angusto spazio della loro performance. Ma ancor di più era nell’evoluzione, nella resa all’evidenza che la band meglio sposò le proprie intuizioni da “geniali dilettanti”. I CCCP non volevano diventare cocciuti personaggi da teca, volevano invece essere claudicanti interpreti della vita, sondarne i cambiamenti e cambiare a loro volta perché è necessità della terra girare. Ecco perche i CSI, la loro successiva ragione sociale, furono la svolta più normale e più efficace. Stop alle provocazioni tanto al chilo, largo all’intimismo e a una visione politica che sa di disillusione come di analisi antropologico-critica soprattutto con T.R.E. – Tabula Rasa Elettrificata – che potrebbe essere considerato un ipotetico album partorito da “nuovi CCCP”. L’evoluzione poi andrà fin troppo lontano, bruciandosi come Icaro e spegnendosi tipo cero votivo con i PGR, la versione ” bigotta”, per grazia ricevuta, tanto che il loro miglior disco in quella guisa è ConFusione; ovvero una raccolta di brani riarrangiati da un Battiato che voleva farne finalmente giustizia.
Allah o la Madonna? Gheddafi o Paolo VI? I love you SSSR o la condanna della strage di Tienanmen?
Quando ascoltavamo i CCCP eravamo consapevoli di trovarci di fronte a dei classici, fedeli a un tempo cristallizzato in un’era specifica e irripetibile del blocco sovietico: ma i temi trattati erano – al contrario – universali, andavano oltre il tempo e lo spazio e al di là di tutto questo puro pretesto (la follia, l’incoerenza, la necessità di infinito, l’insensibilità alienata, la passione per una rivoluzione permanente quanto ridicolmente fragile, le insegne luminose che attirano gli allocchi, il bisogno di rifugiarsi in una mitologia più grande dell’ umanità in quanto proprio parto di quest’ultima), facevano parte dei grandi topos della tragedia e per questo vennero poi riciclati live anche dai CSI. Perché appunto i CCCP non avevano più senso, non sarebbero più risorti dalle ceneri della caduta del muro di Berlino.
È tornata la guerra fredda, si combattono conflitti come nel Novecento nonostante la vera guerra si combatta sul web, tornano anche i CCCP.
Il testimone a livello politico concettuale sarà preso dai Post Contemporary Corporation del compianto Dario Parisini dei Disciplinatha, trovando un perfetto centro di gravità permanente che ai CCCP è sempre mancato. Per questo, forse, dovremmo preoccuparci: stiamo tornando indietro? Probabilmente si: è tornata la guerra fredda, si combattono conflitti come se si fosse nel Novecento nonostante si sappia che poi la vera guerra si combatte sul web, tornano anche i CCCP con una leggerezza inquietante. C’è qualcosa di perniciosamente deja vu, eppure i CCCP potrebbero darci dentro sul serio vista la situazione.
A parte qualche accenno live in cui Ferretti sembrerebbe proporre degli “innesti” di testi inediti, non abbiamo quello che ci aspettavamo, ovvero un album di brani nuovi di zecca: una visione dell’oggi partorita da un gruppo che è invecchiato – come è giusto che sia – ma che in virtù di questo potrebbe dare degli spunti di smottamento pertinenti al qui e ora, che è forse un qui e ora tra i più criticabili della storia. Anche un mea culpa sarebbe stato ottimo, perché Ferretti – e come lui tutti gli altri – interpreta un personaggio: ma noi non dimentichiamo chi ha votato e a chi ha fatto endorsement fino a ieri, cioè alla destra di Meloni/Salvini. Non dimentichiamo le sue continue affabulazioni per girarsi la frittata. Non dimentichiamo neanche che pure Zamboni e Fatur campano di CCCP da sempre, uno a rifarne i successi con la Baraldi alla voce (con tanto di cover di Kebabtraume che guarda un po’, ripropongono proprio nella reunion), l’altro a fare se stesso con gruppi cover dei CCCP rischiando il cringe fisso. Come si fa a tornare indietro a quando Fatur era un performer criminale che rischiava con i suoi macchinari autocostruiti di decapitare il pubblico, tutto muscoli definiti e Lindo un “fascio” di nervi dall’ occhio pazzo e anfetaminico che sembrava uscito da una comunità di recupero? Impossibile.
La band si diverte, ma non si sa se con la consapevolezza di dare mangime a uno zombie che cerca sepoltura e non gli è concessa.
Ci rimane l’archeologia di un live con tre falsi inediti d’epoca ( alla fine tutti bene o male già rintracciati nella rete), come se i fan non volessero nessuna evoluzione critica ma solo la certezza che i loro eroi tali erano e tali devono rimanere. Intanto però vengono buggerati da un Ferretti che dice “non ci sarà una reunion” e poi invece c’è eccome, e pure a larga scala: oppure il grande evento berlinese che sembrava esclusivo, salvo poi scoprire che suoneranno anche in Italia (e il tour parte proprio il 21 maggio da Bologna a Piazza Maggiore, data che ha fatto subito discutere per il costo dei biglietti).
Di sicuro la band si diverte: ci può stare, forse per la prima volta hanno fatto pace con la loro storia, ma non si sa se con la consapevolezza di dare mangime a uno zombie che cerca sepoltura e non gli è concessa. Per fare un esempio pratico, non vedo grande differenza con una reunion paesana degli Equipe 84 o dei Dik Dik, bolliti al sugo e privi di idee che si propongono a un pubblico incartapecorito fermo all’“Isola di Wight”.
I nuovi vecchi CCCP vorrebbero salire sul carro del motto che fu dei PIL, “This what you want”, magari mischiandolo col Filthy Lucre dei Sex Pistols, ma il risultato è che non abbiamo neanche i veri CCCP. Ad esempio manca il bassista e programmatore di drum machine Umberto Negri, il quale pare sia stato il primo a chiedere una reunion quando pubblicò il suo libro Io e i CCCP, una storia fotografica e orale ma la proposta fu spedita al mittente; manca Ignazio Orlando, altro fondamentale factotum, e soprattutto manca la vera formazione degli ultimi CCCP, cioè quella con il grande Gianni Maroccolo al basso, Giorgio Canali alla chitarra e il mitico Francesco Magnelli alle tastiere. Tutta gente senza la quale avremmo solo sentito Zamboni grattugiare il formaggio con la chitarra e Ferretti salmodiare lagne come un pretazzo cacciato dal coro della parrocchietta.
Non vedo grande differenza con una reunion paesana degli Equipe 84 o dei Dik Dik, bolliti al sugo e privi di idee.
Perché se è li che ci siamo fermati, è giusto ripartire da lì e non da prima, ripartire dalle macerie di un impero e non dal suo rievocarlo astoricamente, perché il filo di Arianna si ingarbuglia così tanto che ora a fare da “backing band” ci sono praticamente gli Üstmamò, altra grande formazione oggi semidimenticata che probabilmente stava più avanti ancora dei CCCP. Ferretti sorride sul palco, i fans vedono la cosa come strabiliante, ma a noi fa invece piangere. In un botta e risposta con un fan del gruppo facebook “CCCP in DDDR” (dal quale sono stato bannato ovviamente senza neanche una minima ammonizione) la risposta al mio commento sopra citato era “che pesantezza! ma che ci importa… moriremo tutti, Meloni, Scanzi, loro e noi, godiamoci il presente e il presepe”.
Ecco, onestamente di vivere un presente ( “il presente è un mercato”, recitavano i CCCP dei tempi d’oro) che è in realtà roba stile rotten.com che fu, fatto di cadaveri imbalsamati per la gioia dei turisti e di un presepe in cui non c’è bambinello ma solo il vecchio testamento dei Mosè centenari, ne facciamo volentieri a meno (arrivare alla morte presuppone pensare avanti e non indietro). L’unica cosa che ha senso sono le parole di Ferretti quando, in apertura del live Maciste contro tutti del 1993, nel quale si battezzano i neonati CSI: “Come sapete CCCP non esiste più”.
Noi lo sappiamo, ma a quanto pare a molti non entra in zucca: almeno ci cantassero “Palestina”, tanto per farci capire che un minimo sono ancora tra noi e non poltergeist di se stessi. Chissà: speriamo comunque in qualche colpo di scena da questi vecchi volponi “trapassati dal futuro” che una volta recitavano “siamo arrivati tardi / o forse troppo presto / comunque il nostro tempo non assomiglia a voi”. Beh cari CCCP, nel 2024 il vostro tempo oramai non assomiglia neanche a voi: abbassate (o rialzate) la cresta…