L a maggior parte delle nostre azioni è oggi mediata da software cui è sempre più difficile rinunciare. Di conseguenza, ogni atto analogico crea un senso di incertezza, ma anche di libertà: un’informazione scritta su un pezzo di carta, un appuntamento concordato a voce, un aneddoto alterato dal passaparola. Onorare la cultura della disconnessione, affidandoci a processi non verificabili e muovendoci nel mondo senza lasciare tracce digitali, ci concedeva una leggerezza alla quale ci siamo velocemente disabituati, e che è diventata un privilegio. Cosa succederebbe se essere opach3 e non tracciabili non fosse più un piccolo lusso da conquistare, e diventasse semplicemente impossibile, per chiunque? Se anche la più inafferrabile e immateriale forma di comunicazione diventasse sorvegliabile, se anche una parola sussurrata all’orecchio non fosse più soltanto nostra, che relazione avremmo con la nostra stessa voce?
L’opera Life Chronicles of Dorothea Ïesj S.P.U. è la produzione finora più ambiziosa e articolata di ALMARE, collettivo artistico e curatoriale che indaga le implicazioni sociopolitiche delle tecnologie sonore. Fondato nel 2017 da Amos Cappuccio, Gabbi Cattani, Giulia Mengozzi e Luca Morino, ALMARE analizza le pratiche contemporanee che utilizzano il suono come mezzo espressivo – come la registrazione, la riproduzione, l’ascolto e l’archiviazione – dedicando particolare attenzione alla performatività dei suoni registrati e manipolati. Scritto e diretto da ALMARE e curato da Radio Papesse, radio e archivio online dedicato alla dimensione sonora dell’arte contemporanea, il progetto si sviluppa sotto forma di un film e audioracconto sci-fi suddiviso in in tre capitoli. Ambientato in un’immaginaria società del futuro, Life Chronicles of Dorothea Ïesj S.P.U. ripercorre le avventure dell’omonima ricercatrice nel suo tentativo di estrarre e contrabbandare suoni del passato. Borsista finanziata dall’industria bellica e dall’associazione universitaria Societas Paleoacusticæ Universalis per analizzare reperti sonori legati ad azioni militari, Dorothea utilizza la tecnologia ECHO per estrarre i suoni, detti affettuosamente “pargoli”, e poi rivenderli sul mercato nero. I suoi studi sono al servizio di una forma aggiornata di capitalismo della sorveglianza, che fa della raccolta dei dati la fonte della generazione di valore. ECHO analizza le onde sonore incise nei secoli su ogni possibile superficie, restituendo le tracce audio impresse nella materia, e rendendo attuabile il recupero di qualsiasi suono mai prodotto. La presenza di testimoni uditivi e strumenti di registrazione è ormai obsoleta.
Il progetto, basato su alcune controverse teorie archeoacustiche del Diciannovesimo secolo, esplora quindi il tema del controllo sociale mediante il tracciamento vocale e l’utilizzo di manufatti archeologici come strumenti di potere. Oggi, l’archeoacustica è una branca dell’archeologia che analizza gli ambienti archeologici e storici, nel tentativo di ricostruire come il suono abbia influenzato la vita e la cultura delle civiltà del passato, e come gli spazi architettonici – dalle grotte alle chiese – siano stati utilizzati o progettati per manipolare l’acustica al loro interno. Le metodologie usate dall3 studios3 di questa disciplina spaziano dal tradizionale field recording alle più sperimentali simulazioni virtuali e modellazioni digitali, con lo scopo di restaurare, conservare e comprendere l’esperienza uditiva e il ruolo dell’acustica nel passato.
Il Diciannovesimo secolo era caratterizzato da una crescente consapevolezza dell’esistenza di energie e forze invisibili, come l’elettricità e il magnetismo. Occultismo e innovazione tecnologica erano strettamente legate.
Sul finire dell’800, il termine archeoacustica rimandava ad un ambito d’indagine che oggi definiremmo pseudoscientifica, teorizzando la possibilità di recuperare i suoni del passato accidentalmente inscritti nella materia, in particolare nell’argilla e nelle ceramiche, e che trova trova conferma nel futuro immaginato da ALMARE. Nell’Ottocento infatti
In Life Chronicles of Dorothea Ïesj S.P.U. il recupero di voci di car3 defunt3 rappresenta una porzione relativamente piccola del mercato di contrabbando. La maggior parte dell3 client3, soprannominat3 Schliemann in onore dell’archeologo dilettante noto per il ritrovamento dell’antica città di Troia, sono infatti tendenzialmente interessat3 all’acquisto di registrazioni ben più compromettenti:
Base d’asta 40 mila per testimonianze proceßuali, ovviamente inedite; dai 20 ai 30 mila per la voce di papi e prelati e principi della chiesa; mai meno di 50mila per un qualche poeta o militante rinchiuso in carcere, roba che si sentono i conati di vomito e le torture che fan disgusto; e poi ci son gli orgasmi, et ogni sorta di barbarìa acustica: copulationi di animali preistorici, antichi fottitori medievali, e da frammenti di moquettes escon fuori presidenti e persone aßai note che vengono su adolescenti ricoperte di paillettes.
Il risvolto più succulento della tecnologia ECHO non risiede tanto nella possibilità di neutralizzare la barriera che separa dal mondo dell3 mort3, ma di poter capitalizzare ulteriormente su quello dell3 viv3. Un nuovo e illimitato bacino di estrazione di valore, una fonte rinnovabile di guadagno. E in un mondo dove ogni luogo diventa confessionale, ci sarà sempre qualcunə dispostə a pagare cifre inimmaginabili per riprendere il controllo sulla propria privacy. A chi importa esplorare il mondo soprannaturale, se è possibile spremere a oltranza quello terreno? Chi può permettersi di ascoltare le voci dell’aldilà, quando è troppo occupatə a tutelare la propria nel qui e ora? In questo futuro anti-utopico non solo qualsiasi registrazione sonora può essere impiegata contro di noi, sfumando ulteriormente il confine tra pubblico e privato, ma le applicazioni del suono sono infinite, rendendo possibile la realizzazione del biopotere foucaultiano attraverso le funzioni belliche. L’universo immaginato da ALMARE è popolato da dispositivi a lungo raggio per simulare imboscate, cannoni ad alta frequenza usati per paralizzare le persone, audio-granate che raggiungono 185 decibel. Il suono si fa oggetto di ricatto e strumento di tortura. Dalle torture di Guantanamo Bay, dove la CIA ha usato alcune delle canzoni americane più iconiche come strumento di tortura no-touch, alla storica trasmissione radiofonica War of the Worlds di Orson Welles, anche al di fuori del cosmo di Dorotea Ïesj S.P.U. ci sono innumerevoli situazioni, reali o di finzione, in cui il suono è stato utilizzato in maniera violenta o manipolatoria. “Il suono non uccide, ma se ne ha paura, per questo, de facto, è un’arma.”
Un lungometraggio vococentrico, che mette in crisi le gerarchie percettive e che attraverso la creazione fantascientifica eleva il sottotitolaggio a linguaggio poetico.
Tra i riferimenti dichiarati di Life Chronicles of Dorothea Ïesj S.P.U. spicca The Electronic Revolution di William Burroughs, che esplora il potere delle nuove tecnologie e dei media anticipando di decenni molti dei temi che sarebbero diventati centrali nel dibattito sul ruolo della tecnologia nella società contemporanea. Il saggio dedica particolare attenzione alla registrazione audio e a quella magnetica, discutendo il loro impatto sulla comunicazione e sulla percezione umana e speculando sul potenziale di queste tecniche come strumenti di controllo sociale e politico. In questo testo Burroughs avanza anche l’ipotesi che il linguaggio stesso possa essere manipolato e controllato mediante tecnologie avanzate, entrando così a far parte delle fonti di riferimento durante la stesura dello script. Le avventure dell’accademica contrabbandiera prendono infatti la struttura di un audiolibro con sottotitoli criptati, un’opera ibrida e liberamente ispirata alle sperimentazioni cinematografiche di fine Novecento – una su tutte Blue di Derek Jarman, nota per l’uso radicale di uno schermo monocromatico, che per tutta la durata del film sposta l’attenzione esclusivamente sull’audio. Lo schermo di ALMARE invece è nero, animato da sottotitoli bilingue. Un lungometraggio vococentrico, che mette in crisi le gerarchie percettive; un linguaggio definito dall3 autor3 “ipercontemporaneo ma vetusto”, che attraverso la creazione fantascientifica eleva il sottotitolaggio a linguaggio poetico. La narrazione segue la voce, in un susseguirsi di immagini futuristiche descritte con termini obsoleti e toni estemporanei. Come spiegato da ALMARE:
Nella versione italiana, molte parole sono scritte come in latino (putrefazione → putrefatione)
e le doppie “ss” sono sostituite dal simbolo tedesco
“ß” (prossimo → proßimo) molto usato nella lingua italiana del XVI e XVII secolo. Nella versione inglese […] abbiamo adottato l’ortografia antica
(hast invece di has, dost invece di do)
e la forma contratta del participio passato
(passed → pass’d, struggled → struggl’d).
Abbiamo anche usato (e deliberatamente abusato)
il segno medio inglese Thorn “þ”, sostituendo
la fricativa dentale senza voce[θ]
(the → Þe, with → wiÞ).
Questa reinterpretazione disorientante della parola scritta canalizza un altro degli elementi chiave dell’universo di Dorotea: l’unico strumento in grado di tutelare la tracciabilità orale dei suoi abitanti. Creato artigianalmente da Hinch, personaggio ricorrente ed enigmatico della narrazione, questo accessorio emette un impercettibile sibilo nell’orecchio e un conseguente ritardo nel timpano di chi lo indossi; la reazione è una momentanea difficoltà nell’articolare le parole che fa sembrare l’utilizzatorə affettə da un disturbo del linguaggio. Questa parlata epilettica lascia dietro di sé tracce frammentarie, impossibili da recuperare dal sistema ECHO, garantendo il diritto all’opacità e agli affari illeciti. “Così Hinch trasforma l’oralità in disleßia di lußo.”
A questo punto della storia, Life Chronicles inserisce all’interno del suo universo immaginifico diversi elementi cyborg. Se il suono è un veicolo per esplorare le relazioni tra tecnologia, identità e controllo, la macchina balbettogena lo accelera, estendendo queste speculazioni alla trascendenza tecnologica tipica del postumanesimo. Per analizzare questo risvolto filosofico vale la pena tornare alle influenze cinematografiche del progetto, ripassando per Burroughs: non tanto per il suo cameo in Decoder – cult della controcultura cyberpunk ispirato ai suoi scritti sulla sorveglianza governativa e sull’uso della musica come strumento di controllo mentale – quanto per il suo farsi ponte verso il cinema di David Cronenberg. Noto per il suo utilizzo del corpo come terreno di sperimentazione e ibridazione, Cronenberg tratta le malattie – e possibili cure – come un dispositivo narrativo. Espone la malattia come una metafora della perdita d’identità e della conseguente alienazione, e ne fa un’opportunità per riflettere sulle sue connessioni con tecnologia e mass media, ponendo ulteriori sfide ai limiti della morale sociale, dell’etica e dell’umanità stessa. Dal tumore simbolo della disumanizzazione e delle deviazioni massmediatiche di Videodrome, al breakfaster che assiste le sessioni di alimentazione in Crimes of the Future, le distopie biopunk sono, nella filmografia del regista canadese, causa e cura di tutti i mali.
ALMARE dipinge il futuro che speravamo di non vedere: quello in cui ogni innovazione sembra destinata a renderci su3 schiav3, convincendoci che ciò che promette sia più di ciò che pretende.
Life Chronicles of Dorothea Ïesj S.P.U. si chiude con una suggestione analoga, lasciando intravedere ulteriori, visionarie applicazioni di ECHO. Se il sistema può estrarre il suono dalla materia, sarà allora anche in grado di rimuoverlo fino ad annullarla? Farsi sonda, smaterializzando masse maligne tramite onde sonore? ALMARE ricalca Cronenberg, interrogandosi su come tecnologie e corpi postumani si influenzino vicendevolmente, impattando la condizione umana a livello sia biologico che esistenziale. Dipinge il futuro che speravamo di non vedere: quello in cui ogni innovazione sembra destinata a renderci su3 schiav3, convincendoci che ciò che promette sia più di ciò che pretende. La possibilità che una tecnologia, seppur degenerata in sistema di sorveglianza ineludibile, allunghi la nostra aspettativa di vita, appare di colpo un compromesso tutto sommato accettabile. Siamo dispost3 a far capitalizzare ogni nostra secrezione, pur di renderla immortale. Ancora una volta, è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo.