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C om’è possibile arrivare a temere il cielo? Non nel senso religioso, ma proprio arrivare a considerare minaccioso qualcosa di morbido e cangiante come le nuvole? Come è possibile che il cielo si abbassi e spazzi via tutto quello che si è costruito in tutta una vita? E quelle nuvole di fumo e fuoco che salgono verso l’alto? Dopo la terza alluvione in sedici mesi in Emilia Romagna e l’uragano Milton in Florida, e l’invasione di Gaza, mi sono detta che forse il cielo può decidere di vendicarsi, ribellarsi alla guerra, rispondere altrove con forti venti, incendi, piogge e cicloni altrettanto distruttivi. Ovviamente è solo un pensiero, magico se vogliamo, dovuto alla sovrapposizione delle immagini del geno-eco-urbi-cidio inflitto dallo Stato d’Israele sui territori occupati e limitrofi della Palestina e del Libano, con il supporto di Europa e Stati Uniti, con quelle dei sempre più frequenti disastri climatici. Nonostante io ammetta di aver speso molte ore della mia esistenza a osservare il cielo e le sue sfumature, l’ammirazione ultimamente si è caricata di timore prima di ogni temporale, di una triste malinconia a ciel sereno, e angoscia per ogni colonna di fumo che s’innalza durante l’estate rovente.
La nuvola rimane comunque l’oggetto di contemplazione per antonomasia, ossessione dei pittori romantici, riempimento del cielo e superficie riflettente che colora i raggi ultravioletti del sole; sono le nuvole a stabilire la tonalità del cielo, il colore del mare e la velocità del vento. L’interesse della compagnia teatrale Office for a Human Theatre e di Filippo Andreatta per le nuvole parte dalla loro vaghezza, dal rendere visibile quello che non c’è. Come le nuvole, il nuovo progetto nuvolario è evanescente, cambia forma mantenendo il suo nome: è un’installazione per il palcoscenico che usa a regola d’arte il dispositivo teatrale, con una scena vuota e un affaccio sul cielo, e un teatro musicale, una scenografia per la dinamica ritmica di Music for 18 Musicians (Mf18M) di Steve Reich, interpretata dall’ensemble Sentieri selvaggi di Carlo Boccadoro, Filippo Del Corno, Angelo Miotto, con il progetto video di Lorem (Francesco D’Abbraccio).
La nuvola rimane l’oggetto di contemplazione per antonomasia, ossessione dei pittori romantici, riempimento del cielo e superficie riflettente che colora i raggi ultravioletti del sole; sono le nuvole a stabilire la tonalità del cielo, il colore del mare e la velocità del vento.
Nella sua intenzione nuvolario è una tassonomia di appunti sulle forme del cielo e della loro rappresentazione, che letteralmente si materializza con degli artifici, registrazioni o espedienti formali per riportare il cielo su un palcoscenico e restituirlo a un pubblico.
Come un fenomeno atmosferico, quasi esattamente un mese dopo, nuvolario si è materializzato a Romaeuropa Festival al Teatro Argentina, con appunto una scenografia, un concerto, una proiezione di immagini fotografiche e testi altrui relativi all’oggetto-nuvola; una ricerca biblio-iconografica che tiene le fila di alcuni dei tentativi di rappresentazione, meteorologia e database, digressioni letterarie, esperimenti scientifici e appropriazioni indebite a scopo militare. Fatti sulle nuvole – che suona come un ossimoro, il voler afferrare l’inafferrabile, una divinazione dell’oracolo, due piedi ben fissi a terra mentre il vortice sonoro dietro le informazioni prova a tirarci su come il tornado fa con la casa di Dorothy. Tanto che quando finisce il carrello di informazioni tiro un respiro di sollievo, perché finalmente posso seguire il vento, lasciare che sia l’ambiente a trasportarmi – di nuovo non saprei scegliere tra le immagini, la luce e il suono, come quando arriva un temporale, anche se nella mia poltroncina sento la pesantezza del corpo, la scomodità, il tempo fuori dal teatro che scorre, nell’anima succede tutt’altro, come se si potesse credere ancora al dualismo, in nome della sacra spiritualità della nuvola, come quando arriva un temporale e lo osservo e sento la solidità delle pareti attorno a me. Il Teatro Argentina anche s’alleggerisce, paradossalmente diventa meno barocco, mentre l’orchestra fluttua sulle nuvole che fluttuano davanti ai nostri occhi, talvolta sopra le nostre teste.
Suona come un ossimoro il voler afferrare l’inafferrabile, una divinazione dell’oracolo, due piedi ben fissi a terra mentre il vortice sonoro dietro le informazioni prova a tirarci su come il tornado fa con la casa di Dorothy.
Quanti colori ci sono in un’alba? Mi vien da pensare che forse il cielo si dipinge da solo, come atto d’amore per chi si alza presto abbastanza per farne esperienza. Mentre prosegue Mf18M, e accelera, cambia il cielo davanti ai nostri occhi inarrestabile, e noi seguiamo fisicamente con gli occhi i movimenti dell’orchestra amplificati dal gioco di luci che ne valorizza la presenza, proiettandoli sul retro del tulle ingranditi. A quanto pare, la combinazione con Mf18M nasce (proprio come una storia d’amore) da una passione longeva di Office for a Human Theatre per la musica di Steve Reich, e dal suo incontro fortuito con l’ensemble Sentieri selvaggi, primo ensemble italiano a interpretare live Mf18M in Italia, e agisce sul ritmo del respiro, che diventa la misura delle pulsazioni del brano, una composizione collettiva contro la direzione musicale, scritta proprio per ensemble, vale a dire che tutti i componenti devono guardarsi e sentirsi, e non c’è mai una fine esatta dell’esecuzione. Dalle nuvole ai respiri, nuvolario si manifesta dichiaratamente nell’aere, nella variazione dell’intensità.
La combinazione con Music for 18 Musicians agisce sul ritmo del respiro, che diventa la misura delle pulsazioni del brano, una composizione collettiva contro la direzione musicale, scritta proprio per ensemble.