

È dato pensare che la pornografia muoia nel momento esatto in cui viene meno la sua legatura con l’osceno. Nelle forme etimologiche della parola ‒ in entrambe le vulgate: sia quella popolare, e probabilmente impropria, che la vorrebbe derivata da ob skenè, fuori dalla scena; sia quella più accreditata ob caenum, derivante dal fango, dallo sporco – la pornografia, per lo più legata all’immagine, avrebbe ragion d’essere finché resta clandestina, fugace, fuori portata, finché è rigettata dalla società. L’ostacolo, il proibito, così come il tabù, sono componenti necessarie alla libido. Secondo quest’interpretazione (sicuramente novecentesca, plausibilmente freudiana) una pornografia di massa, mainstream, sempre più dominante tra i consumi, sdoganata nell’uso da parte di ogni genere e orientamento sessuale, è semplicemente impossibile. Come impossibile è il mantenimento del suo carattere osceno, conditio sine qua non della sua stessa sussistenza.
La dicotomia “oscenità e porno” sta ad esempio al centro del saggio di David Herbert Lawrence Pornography and Obscenity, del 1929, che l’autore inglese scrive all’indomani dello scandalo e delle polemiche suscitate da una mostra di pittura dello stesso autore alle Warren Galleries di Londra. Il saggio di Lawrence – che abbonda di considerazioni talvolta apodittiche, eccessivamente lapidarie, che ci dice che Boccaccio è meno pornografico di Pamela o di Clarissa Harlowe o di Jane Eyre, forse per giustificare il suo odio per il Diciannovesimo secolo, a suo dire il “secolo della menzogna” – sembra concludere che il problema fosse il carattere osceno che la società dava alla sessualità. È possibile che Lawrence ancora non avesse digerito la messa al bando del suo romanzo più celebre in mezza Europa, dopo che il giudice Lawrence Byrne, su suggestione del pubblico ministero Griffith-Jones, sottopose al giudizio della moglie il tasso di oscenità de L’amante di lady Chatterley. Per Lawrence la pornografia era infatti la “volontà di insozzare il sesso”. Il problema era legato alla grande civiltà dei “grigi”, che rendevano il sesso brutto e abietto. Nel momento in cui il sesso avesse smesso di essere brutto e abietto, e avesse cominciato a essere vissuto con naturalezza, allo scoperto, allora sarebbe scomparsa pure la “pornografia”, intesa nel suo carattere illecito, clandestino, sovente perverso.
C’è da dire che Lawrence intendeva due pornografie: una, quella dei romanzetti che titillavano il “piccolo e sporco segreto” dei puritani, dei bestseller borghesi e del cinema languido, che spiattellava senza filtri il sentimento, senza crescita e senza approfondimento; un’altra, invece, clandestina, che nel 1929 si riduceva a cartoline e romanzi venduti sottobanco, anch’essa, per altre ragioni, didascalica e piatta. Lawrence le odiava entrambe poiché portavano nel profondo il “grigio morbo dell’odio sessuale”. Ora, il saggio breve di Lawrence non è di certo “attuale” ed è certamente più identificabile come un documento storico sullo stato del puritanesimo inglese negli anni Venti del Ventesimo secolo, che come una reale disamina generale del rapporto con la sessualità degli esseri umani. È per lo più un pamphlet liberatorio e corrosivo. Emerge già da questo saggio un carattere che ho definito, in apertura, novecentesco del porno, condiviso sia da chi lo opera, sia da chi lo consuma, sia da chi lo ripudia: l’appoggiarsi sull’oscenità come elemento necessario alla sua costituzione. È una pornografia che si definisce – lo leggiamo tra le righe – come assenza di mediazione tra l’atto sessuale, che sia esso mostrato esplicitamente o meno, e lo spettatore. Nel momento in cui una mediazione interviene, che sia una finalità artistica o sublimazione, un simbolismo o uno storytelling, si parla allora di erotismo.
Nadia Fusini, in un suo intervento critico su L’Amante di Lady Chatterley al XVIII Convegno della Scuola lacaniana di psicoanalisi del campo freudiano Il reale del sesso (2021), dice:
Lawrence predicava ai suoi lettori: solo una trasformazione della coscienza vi porterà a intendere che il mio romanzo rivela il bene della tenerezza, non il male dell’oscenità. La tenerezza ci vuole, la tenerezza… Ci vogliono la tenerezza, la fiducia nel corpo, nella sua libertà e bellezza, per stare bene. Alla salute si giungerà grazie alla liberazione dai tabù che circondano il corpo. […] Si dovrà riconoscere che per molti versi l’utopia di Lawrence è fallita. Sì, la censura del suo libro in Inghilterra è stata revocata, nel 1960, in molte parti del mondo la repressione sessuale s’è di fatto alleggerita, la bellezza del corpo nudo è riconosciuta, ma la liberazione non si è affatto volta alla sacralità del sesso, piuttosto alla sua definitiva reificazione.
Cosa succede se la pornografia diventa “di massa” ma si ‘reifica’, diviene merce immessa in un sistema di produzione? La reificazione del corpo nudo è probabilmente il fulcro della pornografia contemporanea.
Chissà cosa avrebbe detto oggi Schicchi, e ancor più cosa avrebbe detto Lawrence, in un periodo storico in cui le piattaforme di fruizione pornografica sono completamente in mano a imprese colossali, con fatturati che superano il miliardo di dollari, che hanno letteralmente portato tutte le sfumature della pornografia nella sua forma più estremamente reificata, e più estremamente commerciale, nell’immaginario collettivo. Permane una critica che per brevità potremmo definire “marxista” alla pornografia americana. La stessa di cui parla Franco Fortini nel saggio Erotismo e letteratura, del 1961, in Verifica dei poteri (1965):
Per aversi una “ragionevolezza” dell’eros che non fosse cinismo sarebbe necessario che la morale erotica apparisse alla luce del giorno e si integrasse, o cominciasse ad integrarsi, al mondo del nonerotismo, cioè della produzione e del lavoro. Invece avviene soltanto il contrario: che la “ragionevolezza” produttiva determina (e sempre più deforma) l’erotica. […] Negli uffici e nelle fabbriche, almeno da noi, la rimozione pubblica dell’erotico e il suo contenimento repressivo nella sfera del privato fanno permanere forme davvero arcaiche di tensione sessual-erotica (dall’atmosfera intensamente erotica degli uffici di cui ci parla giustamente un sociologo francese, alla famosa scurrilità di linguaggio di certi gruppi operai, soprattutto femminili, sul luogo di lavoro). Altro che libertà o ragionevolezza. E questo non è che un caso, il più evidente, del ritardo della cultura dei sentimenti o delle passioni sulla cultura dell’informazione e dell’intelligenza; ritardo che l’attuale fase di sviluppo della società capitalistica sembra voler mantenere.
I modelli di pornostar proposti dal mercato americano guardano in questa direzione: pensiamo ad esempio a Lela Star che a 22 anni ha cambiato letteralmente faccia, che si è impiantata protesi ai glutei, riproponendo, nel 2011, il corpo a clessidra di Kim Kardashian, femminino che ha ossessionato l’immaginario americano negli anni Dieci del Ventunesimo secolo. Quella della pornografia statunitense è un’estetica del superamento. Tu spettatore – che sei anzitutto consumatore – ti aspetti degli standard che io produttore dimostro di poter superare. Un superamento che si verifica anche nei confronti dell’immaginario e dello stesso desiderio. In un certo senso le parole di Schicchi e le sue critiche al sistema pornografico americano, rilette oggi, diventano una dichiarazione di natura poetica: Schicchi ha detto al suo pubblico di non aver alcuna intenzione di ‘superare’ il desiderio, ma anzi di amplificarlo; il rischio americano – poi diventato realtà – è stato quello di rendere l’immaginario troppo distante dal reale, fino ad annullare il secondo al cospetto del primo. “Gli award in America, con queste persone con giacca e cravattini che si premiano da soli, rappresentano per me il porno che non ha motivo di esistere, Fatto di registi che cercano di fare del cinema che non è cinema, con i carri armati di cartone e le scenografie posticce… il porno ha senso quando diviene immagine integrante nella nostra vita di tutti i giorni” (Dal documentario Pornologos #1 di Sebastiano Montresor).
Quella della pornografia statunitense è un’estetica del superamento, un superamento che si verifica anche nei confronti dell’immaginario e dello stesso desiderio.
È interessante confrontare ad esempio la critica di Schicchi al sistema pornografico americano, con quelle che Malvestio traccia nel suo romanzo:
Perché Annette lascia gli Stati Uniti? Già in alcune interviste degli anni precedenti rileviamo la sua insofferenza per l’eccesso di professionismo della scena americana, e per gli ego ipertrofici di certi addetti ai lavori. In Europa, dice spesso Annette, il porno è una cosa tra amici, quasi, mentre in America la gente nemmeno ti saluta dopo che hai finito di girare. I ritmi micidiali a cui la sottopone, a ragion veduta, Spiegler, le stanno troppo stretti; Annette passa sempre meno tempo negli USA e sempre più tempo in Europa.
L’abbandono del porno patinato losangelino, nella narrazione impostata da Marco Malvestio, rimarca quella che è – appunto – una reificazione non solo del corpo, ma pure del desiderio. Annette Schwarz è anche il simbolo dell’estremo, delle attività che proprio nel decennio in cui agisce entrano nel porno mainstream. L’attrice infatti opera le sue prime performance per la casa di produzione tedesca indie GGG di John Thompson, specializzata in scene estreme di urofilia, BDSM e umiliazione. Nella finzione di queste prime produzioni, ciò che resta reale è il desiderio: “Dietro quelle performance stratosferiche si nascondeva anche il desiderio reale di Annette di fare quelle cose”, ci dice il narratore. È con il passaggio negli Stati Uniti che l’estremo viene, per così dire, istituzionalizzato: più che ammorbidito, inserito nei codici di una convenzione.
Il romanzo di Malvestio si colloca all’apice di un processo di confronto tra pornografia e letteratura che giunge a combaciare con un momento storico in cui il porno è entrato forzatamente e pervasivamente nella quotidianità di gran parte della popolazione. Tutti la consultano, tutti la consumano. La pornografia rappresenta ormai l’educazione sessuale e talvolta sentimentale dei giovanissimi. Annette, che come abbiamo detto, prima di essere una disamina contemporanea sul rapporto che i millennials hanno con il porno – e che è in realtà un’indagine sull’umano, soprattutto sull’umano del Ventunesimo secolo –, è un’opera letteraria inedita, proprio nel senso di nuova, diversa da molte altre che pure trattano lo stesso tema. Il suo romanzo si inserisce in una precisa linea evolutiva che – se escludiamo Antonio Moresco, Aldo Nove e Walter Siti, che mostrano pornografia nei propri romanzi, pure interpretandola intellettualmente e investendola di significati che Gianluigi Simonetti ha definito “spirituali”, ma non appartengono alla generazione che ha visto il porno diventare fenomeno di massa – potremmo far cominciare da Dalle rovine (2015) di Luciano Funetta, far proseguire per L’amore ai tempi di Batman (2016) di Massimiliano Parente, e far puntare poi su Candore di Mario Desiati. Annette è se vogliamo un’assimilazione e un rigetto di tutte queste esperienze finora elaborate dalla letteratura italiana contemporanea in relazione alla pornografia.
Il romanzo di Malvestio si colloca all’apice di un processo di confronto tra pornografia e letteratura che giunge a combaciare con un momento storico in cui il porno è entrato forzatamente e pervasivamente nella quotidianità di gran parte della popolazione.
Nelle scatole cinesi della collisione tra finzione e verità del porno, il desiderio si sclerotizza: la dietrologia pornografica diventa un ulteriore piano analitico.
Quando dico fare l’amore con il computer non lo intendo metaforicamente; quella del porno online è un’attività, un processo che ha delle peculiarità molto distinte da quelle del sesso normale. Quando guardo del porno online, la principale caratteristica di cui faccio esperienza è il costante, continuo ritardo del piacere – andare online, trovare sito, scrollarlo, aprire e chiudere i vari tab, aprire link ulteriori e aggiornare la pagina […] A differenza del sesso in carne ed ossa […] qui l’attesa del piacere è letteralmente il piacere…