K risten Stewart lo confessava in uno dei suoi messaggi allo sconosciuto in Personal Shopper: gli horror la mettono a disagio, ed è lo stesso effetto che fanno al Lido. I film della Mostra che più dovevano terrorizzare trasmettono un senso di inquietudine intermittente che arriva a trasformarsi in confusione: il filo narrativo non regge, un elemento della storia si perde o un personaggio viene dimenticato, e la potenza delle immagini non è sempre in grado di compensare la loro scomparsa. Suspiria di Luca Guadagnino non fa cadere nello stato d’ipnosi del film scritto nel 1977 da Daria Nicolodi e Dario Argento, The Nightingale di Jennifer Kent convince di più la giuria di Del Toro – che assegna all’unica regista il Premio speciale e al suo protagonista il Premio Marcello Mastroianni –, ma spaventa ed entusiasma meno del suo esordio, Babadook. I film di Venezia 75 che rimangono impressi sono i film scritti bene.
È il caso del Leone d’oro per il miglior film, Roma di Alfonso Cuarón, del Leone d’argento per la miglior regia, The Sisters Brothers di Jacques Audiard, e di un film che di Leone non ne ha vinto nessuno. Doubles Vies (titolo internazionale: Non-Fiction) di Olivier Assayas è il film che turba meno dell’intera filmografia del regista francese – e della Mostra –, ma che diverte di più senza perdere un battito per tutti i suoi 107 minuti: non ci sono tempi morti o sbavature, è una commedia ed è perfetta. Con Doubles Vies, Assayas passa da un film sul doppio a un film sulle doppie vite: non racconta una storia di fantasmi ma mette in scena un gioco delle parti, parla di un mondo piccolo dove le persone reali diventano personaggi di romanzi ma che è lo stesso dove vivono tutti, anche chi non sa cosa voglia dire non fiction narrativa.
Parigi, due coppie di amici. Alain (Guillaume Canet) è il capo di una casa editrice un tempo prestigiosa, Selena (Juliette Binoche) è un’attrice che da ragazza interpretava Fedra e da adulta si è ritrovata a fare la poliziotta in una serie tv di serie B. Léonard (Vincent Macaigne) è uno scrittore più malmesso che maledetto, Valérie (Nora Hamzawi) è l’assistente di un politico molto meno puro di quanto lei si sforzi di credere. Per la carriera, per l’età o per amore, tutti sono in crisi e tutti parlano a ogni ora del giorno e della notte della rivoluzione digitale e dell’impatto che ha sulle loro vite. Ma quello di Assayas non è un film a tesi sugli e-book o una condanna a chi legge i libri sullo smartphone. L’evoluzione del mercato editoriale che preoccupa Alain e che gli fa assumere Laura, una bella e brillante stagista millennial che sembra uscita da un romanzo di Sally Rooney – e che finisce a letto con lui – diventa il pretesto per sganciare una catena di intrecci che sono il cuore di Doubles Vies e che superano ogni intellettualismo.
In Double Vies non ci sono tempi morti o sbavature: è una commedia ed è perfetta.
Se due dei film più interessanti di questa edizione della Mostra, The Favourite di Yorgos Lanthimos e Nuestro Tiempo di Carlos Reygadas, ruotano attorno a un triangolo – tra una regina e due cugine o una moglie, un marito poeta e un amante gringo – il regista francese percorre tutti i suoi lati e lo supera. Qui il triangolo non è soltanto uno, e il nuovo manoscritto dello scrittore che ha perso l’ispirazione, Punto finale, non è quello che sembra al suo editore. Alain tradisce Selena con Laura, Laura tradisce la sua potente amante di turno con Alain e Selena tradisce il marito da sei anni con Léonard, nascondendosi tra i personaggi femminili di ogni suo libro, anche dell’ultimo.
Assayas muove le sue pedine con poche mosse, ma le muove con maestria, e il risultato è che nel grande gioco di Doubles Vies gli uomini si rivelano al tempo stesso più ingenui e più presuntuosi delle loro compagne. Alain non solo non riconosce la moglie nella protagonista di Punto finale, che non vuole pubblicare perché è l’ennesimo romanzo che l’amico scrive sulla sua vita, ma crede anche di sapere come una donna desideri essere trattata – lui e Selena comunicano poco, ma il loro scambio di battute in cucina, nella seconda metà del film, è tra i momenti più riusciti della sceneggiatura, tragico e comico insieme.
Léonard scrive libri su di sé e sulle donne che ama senza pensare alle conseguenze che la pubblicazione avrà sulle persone coinvolte: l’ex moglie si sfoga su Twitter e rende le sue presentazioni un inferno, l’amante gli chiede di non far diventare la loro rottura il suo nuovo romanzo, la compagna gli dice di aver capito che c’era un’altra perché, banalmente, ci aveva scritto un libro intero. In una delle sue ultime interviste Éric Rohmer, grande regista francese e maestro di Olivier Assayas, diceva che non bisogna trasformare il presente in fiction: il presente è la realtà.