A fianco di Alfredo / A fianco di chi lotta”, diceva qualche settimana fa uno striscione in corso Belgio a Torino, durante una manifestazione in solidarietà ad Alfredo Cospito, detenuto anarchico in regime di 41-Bis. Forse, guardando le foto o le immagini video, qualcuno avrà notato un particolare: “A fianco di chi lotta” era in corsivo, bianco su campo nero. Come una scritta col gesso lasciata sopra a una lavagna. La grazia tondeggiante con cui la lettera “t”, la “l”, la mutina “h” si muovevano sullo striscione ricordava le lettere dell’alfabeto appese nelle aule elementari, per aiutare i bambini a sillabare e guidarli nell’apprendimento della scrittura. Quell’A fianco di chi lotta in corsivo valeva come una attestazione di fanciullezza, con l’aggiunta di una punta d’ironia.
Chissà dove nasce e quando nasce questa inclinazione del movimento anarchico all’ironia e all’evocazione dell’infanzia innocente. Che c’entra l’anarchia con i bambini? C’entra, ma più che al fanciullino interiore di Pascoli, l’anarchico probabilmente guarda a una sorta di monello interiore, un bambino disubbidiente e dispettoso che si oppone all’autorità del maestro e al conformismo della classe. Del resto, in uno dei saggi raccolti in Diario minimo, Umberto Eco paragonò Franti, l’alunno ribelle che nel libro Cuore rompe i vetri con la fionda, all’anarchico regicida Gaetano Bresci.
Anche in Quale internazionale?, Edizioni Monte Bove, si trovano qua e là piccole ma significative tracce di questa ironia, e di un richiamo alla fanciullezza e all’innocenza. Quale internazionale? è un libro interessante, da leggere, anche perché contiene, tra diversi materiali, una lunga intervista ad Alfredo Cospito, precedentemente pubblicata, tra il 2018 e il 2020, sul giornale anarchico Vetriolo, all’epoca in cui Cospito era ancora rinserrato nel carcere di Ferrara. È l’unica occasione che il lettore ha per farsi un’idea di chi è e che cosa pensa l’uomo di cui politica, giornali, social media e televisioni discutono da mesi e al quale venerdì 24 febbraio 2023 la corte suprema di cassazione ha negato, in una riga, la revoca del carcere duro: “la corte suddetta: rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali”. Considerato lo sciopero della fame intrapreso da Cospito da quasi tre mesi, interrotto dall’assunzione di qualche integratore, siamo di fronte a una potenziale condanna a morte.
Qual è la voce di Cospito? Che cosa dice? Come lo dice? Che cosa c’è da capire a proposito di questo incidentale ritorno sulla scena pubblica dell’anarchismo? E di quale anarchismo parliamo?
Qual è la voce di Cospito? Che cosa dice? Come lo dice? Che cosa c’è da capire a proposito di questo incidentale ritorno sulla scena pubblica dell’anarchismo? E di quale anarchismo parliamo? La mancata attenzione verso questo libro, il fatto che non se ne parli, nonostante la faccia di Cospito sia su tutti i giornali – nelle due versioni: prima e dopo il digiuno –, testimonia amaramente l’irrilevanza del libro in generale; leggerlo invece ci ricorda che soprattutto il libro, come poco altro, è capace di restaurare un po’ di ordine e senso e di stimolare il senso critico.
Innanzitutto, cosa che forse non sapevamo, quella di Cospito è una voce che si è espressa su un tema centrale del nostro tempo: l’accelerazione tecnologica e l’Intelligenza Artificiale. Cospito parla di “megamacchina”, termine coniato negli anni Sessanta dall’urbanista e sociologo Lewis Mumford e ripreso negli anni Novanta dall’economista e filosofo Serge Latouche. Che cosa sia la megamacchina, Cospito non lo spiega, ma lo si può facilmente intuire. In ogni caso, Latouche nel 1998 chiariva così il concetto:
Mumford vedeva esempi storici di questa megamacchina nella famosa falange macedone, nell’Egitto dei Faraoni, nella burocrazia dell’impero cinese dell’epoca Ming, e a me è parsa una parola fantastica, che bene si adatta a quello che sta accadendo dopo il crollo del Muro di Berlino, perché evoca la macchina, ma non è una macchina pura e semplice, un oggetto. Parlando di “megamacchina”, infatti, voglio sottolineare che la logica tecnica si è autonomizzata dalla società e fa sì che, in un modo finora mai accaduto, la società funzioni sempre più come una macchina planetaria, una megamacchina, appunto.
Cospito parla a vent’anni di distanza dalle parole di Latouche, in un’epoca in cui la megamacchina è diventata più efficiente e pervasiva, ciascuno ha uno smartphone in tasca e un chatbot come Chat GPT può essere istruito per scrivere qualsiasi cosa, perfino un volantino o un canto anarchico. Cospito distingue tra tecnologia e scienza. Fino al Cinquecento, dice, tecnologia e scienza erano due ambiti distinti, poi con il capitalismo la scienza si è fatta ancella della tecnologia. Oggi è il capitalismo a essere trascinato dalla tecnologia. Il capitalismo è il sistema che garantisce il nutrimento della megamacchina. È il fenomeno descritto anche dal filosofo Franco Berardi Bifo quando parla di un “automa cognitivo globale”, che “si costituisce ricavando pattern comportamentali dalla registrazione continua dell’esistente, individuando i punti di possibile cablatura nel flusso dei comportamenti e inserendo congegni dotati di intelligenza artificiale negli snodi”. È il soluzionismo tecnologico di Elon Musk e della Silicon Valley, descritto da Fabio Chiusi nel recente L’uomo che vuole risolvere il futuro (Bollati Boringhieri).
Siamo nel cuore del dibattito del nostro tempo. Secondo Cospito, “una volta fatta una scoperta scientifica è impossibile tornare indietro”. Ora è il capitalismo che viene aspirato nella curva di accelerazione dell’evoluzione tecnologica: “Lo abbiamo visto con le armi nucleari, lo vedremo con l’enormemente più devastante e incontrollabile intelligenza artificiale”. Nonostante la detenzione, Cospito sembra sul pezzo. Evidentemente nel carcere di Ferrara aveva ancora la possibilità di leggere, oltre che di dialogare con Vetriolo. Segue il dibattito sull’Intelligenza Artificiale, accenna allo sviluppo dei computer neuromorfici e alla “esplosione dell’intelligenza”, che consisterà in una espansione senza limiti delle capacità intellettive dell’Intelligenza Artificiale. Sembra intensificarsi quella riflessione sulla megamacchina già presente nella dichiarazione che Cospito, nel 2013, provò a leggere in tribunale, all’inizio del processo per il ferimento alle gambe dell’Amministratore Delegato di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi. Nel testo della dichiarazione si leggeva che “la tecnologia un giorno farà a meno di noi trasformandoci tutti in automi sperduti in un panorama di morte e desolazione”.
Cospito e la FAI (Federazione Anarchica Informale) sembrano costituire, quasi fisiologicamente, quel minuscolo punto del discorso pubblico in cui si ammassa e indurisce ogni contrarietà.
L’ostilità di Cospito non è verso la scienza, ma verso la tecnologia. Non deve sorprendere che nell’invettiva di Cospito la tecnologia e l’intelligenza artificiale rivestano tanta importanza. È una polemica che ha alle spalle una tradizione e che viene da lontano, dalle origini dell’industrializzazione e del lavoro in fabbrica. Cospito, infatti, si richiama all’esperienza storica del luddismo. Del luddismo pare non disprezzare l’uso della violenza, compreso l’omicidio: “Nell’armamentario dei luddisti vi era anche l’omicidio, non si limitavano alla sola distruzione dei telai”.
L’anarco-insurrezionalismo sembra essere quello spazio infuocato della società, dove precipitano tutti quegli spiriti e quelle forze – poche migliaia o centinaia di esseri umani – che non hanno pace, non trovano e non chiedono rappresentanza e finiscono per concentrarsi in un nucleo piccolo, ma particolarmente denso, caldo e rabbioso. Se i media fanno da altoparlante a ogni applicazione e nuova scoperta tecnologica, ritenute apoditticamente portatrici di modernità e un generico progresso, a cui l’umano è tenuto a rispondere da consumatore entusiasta o con spirito resiliente, Cospito e la Federazione Anarchica Informale (FAI) sembrano costituire, quasi fisiologicamente, quel minuscolo punto del discorso pubblico in cui si ammassa e indurisce ogni contrarietà. Cospito e la FAI sanno che la lotta contro la megamacchina e l’ecocidio capitalista è impari, ma non si scoraggiano e non scendono a patti con la realtà.
Da qui in avanti, il discorso si fa più affilato e pericoloso. Nel corso dell’intervista con Vetriolo, Cospito usa più volte una parola: “recupero”. Ogni qualvolta un movimento rivoluzionario o l’anarchismo classico hanno imboccato la strada del gradualismo e della mediazione, quel movimento e l’anarchismo sono stati “recuperati” dal potere. Ovvero assorbiti e disattivati. Ogni qualvolta l’assemblea di un centro sociale è diventata “razionale”, il suo progetto è stato recuperato e neutralizzato. Cospito sceglie ogni parola con rigore e consapevolezza. Quando dice “razionale” è perché poco più avanti vuole rivendicare la legittimità e la bellezza del gesto irrazionale e nichilista.
Il “valore” oggi risiede nella distruzione […] Non abbiamo niente da costruire, non saremo noi e neanche i\le nostri\e figli\e a edificare la società liberata […] la volontà di distruzione deve bastare a sé stessa, non deve farsi creatrice. Questo “nichilismo” sarà la nostra forza, il nostro unico progetto.
Di più: l’azione anarchica deve aspirare alla sfera del mito – nello specifico: il mito dell’”anarchia vendicatrice” – perché ogni nuova idea si afferma non tanto grazie alla sua razionalità, ma alla sua capacità di fascinazione. In questo senso l’anarchia non è una scienza, ma una disciplina alchemica dove si fondono “istinto, passione, fascinazione, mito e amore per la libertà”.
Chi ha vissuto l’esperienza di attraversare un corteo anarco-insurrezionalista, sa quanto quel raggruppamento umano, nero e incappucciato, è un vero e proprio corpo collettivo, una forza tellurica capace di trasformare per qualche ora il mito in creatura vivente che travolge la città, lasciando alle spalle una selva di A cerchiate e proclami scritti a bomboletta su muri, pensiline, vetrine di supermarket e agenzie immobiliari, sradicando da terra sampietrini, bidoni della spazzatura e fioriere. Oltre all’irrazionalità, Cospito rivendica il pathos unito alla praxis. “La ‘rivoluzione’”, invece, “è un concetto completo, complesso, ha bisogno anche di ‘ethos’ (valori) e ‘logos’ (strategia, razionalità). Con l’ethos e il logos non si costruiscono i miti”. L’informalità, ovvero il modello di azione non organizzata, spontanea e priva di leader e nomenclature, è la cornice in cui può svolgersi la rivolta anarco-insurrezionale. Una rivolta, appunto, non la rivoluzione.
Tra i documenti che completano Quale internazionale?, troviamo una lettera aperta al movimento anarchico e antiautoritario, firmata dalla Federazione Anarchica Informale. La lettera si chiude con un Post Scriptum: “Ogni riferimento alla FAI, Federazione Autotrasportatori Italiani, alla FAI-Federazione Anarchica Italiana e al FAI-Fondo per l’Ambiente Italiano, è puramente casuale, ci scusiamo con gli interessati”.
Tra i
beffardi e sarcastici richiami all’infanzia, irrompe qualcosa di apocalittico e crudele: la gioia omicidiaria, l’estasi del delitto.
Alla lettera aperta segue la trascrizione di una riunione tenuta nel 2006 fra vari individui e soggetti della Federazione Anarchica Informale, i quali, per ragioni di sicurezza, figurano nel testo con gli eteronimi di Pippo, Paperino, Qui, Quo, Qua, Paperina, Nonna Papera e Archimede Pitagorico. Ecco la vecchia ironia e goliardia degli anarchici. Ecco un beffardo e sarcastico richiamo all’infanzia. Ecco Franti che scaglia un aeroplanino di carta verso il banco della vecchia FAI-Federazione Anarchica Italiana.
Ma in questo quadretto irrompe qualcosa di apocalittico e crudele: la gioia omicidiaria, l’estasi del delitto. La dichiarazione di Alfredo Cospito, dal titolo “Dal ventre del Leviatano”, che ha preceduto l’inizio del processo per la gambizzazione di Roberto Adinolfi, partiva da questo incipit: “In quella splendida mattina di maggio ho agito e in quelle poche ore ho goduto della mia vita”. Colpire fisicamente il nemico, sparargli alle gambe, è causa di un sentimento di felicità. Possibile? Il godimento provato da Cospito deve avere a che fare con quella “gioia armata”, di cui si parla in un omonimo libro del 1977, scritto da un altro Alfredo, l’anarchico Alfredo Maria Bonanno, considerato, non a caso, tra i più importanti teorici dell’anarco-insurrezionalismo. Ora Cospito non ha nessuna possibilità di commettere reati, così come non è mai stato a capo di nessuna associazione criminale. Da oltre dieci anni si trova dietro le sbarre. Lo Stato, in questo caso, pur avendo la possibilità di essere clemente, non ha deciso di proteggersi, ma di vendicarsi, con un accanimento crudele e sproporzionato.