“L e rispettabili persone che, una dozzina d’anni fa, l’avevano invitata a cena in un ristorante di lusso, non si sono ancora rimesse dall’imbarazzo provato nell’accorgersi che, pur continuando a partecipare alla conversazione, Leonora si era tolta le scarpe e si stava pazientemente spalmando i piedi di senape”. Questo episodio viene riportato da André Breton per introdurre il racconto La debuttante, raccolto dallo scrittore francese nella celebre Antologia dello humour nero, insieme di opere in cui Breton rintracciava la capacità di far emergere contenuti considerati normalmente dei tabù, legati alla violenza, al mistero e alla sessualità, attraverso una “sensibilità che predilige un riso sottile, esangue, che resta invisibile e privo di qualsiasi manifestazione”. La debuttante dà ora il titolo alla raccolta completa dei racconti della scrittrice, pubblicata da Adelphi con le traduzioni di Nancy Marotta e Mariagrazia Gini, che permette al lettore di introdursi pienamente nel suo mondo variegato e onirico.
Leonora Carrington, pittrice oltre che scrittrice, nacque nel 1917 nel Lancashire, ma stanca ben presto delle attenzioni del ricco padre industriale e della madre di ascendenze nobili irlandesi, si trasferì prima a Firenze, a soli 15 anni, per studiare la pittura rinascimentale e, negli anni Trenta, si spostò in Francia. Lì entrò in contatto con gli scrittori e gli artisti surrealisti e divenne compagna di Max Ernst, che aveva quasi trent’anni più di lei: ma Carrington sarà comunque sempre mossa da una profonda inquietudine che la porterà prima tra la Spagna e il Portogallo e poi negli Stati Uniti, fino al trasferimento definitivo in Messico nel 1942, dove resterà fino alla morte nel 2011. C’è naturalmente una componente comune che unisce la sua opera pittorica a quella narrativa, ed è individuabile nei caratteri e nelle declinazioni del sogno. Assecondando infatti le suggestioni surrealiste (anche se Carrington non mancò mai di sottolineare il maschilismo sotteso ad ogni comportamento degli appartenenti al gruppo, lei promotrice di una femminilità forte e indipendente), Carrington mette continuamente in scena un mondo nel quale si intrecciano reale e irreale, accadimento e visione: la base di partenza è però costituita sempre dalla realtà fenomenica che subisce poi una trasfigurazione che la trasporta nel dominio del sogno, in una trascendenza continua della netta dualità tra la realtà e il mondo onirico. Ognuno dei racconti di Carrington, muovendosi perpetuamente da un’incertezza all’altra, tratteggia un universo che ha in sé sempre qualcosa di non finito: la sua scrittura immaginifica si incunea così tra le smagliature di senso che restano aperte all’interno della normale realtà, generando nel lettore un continuo sentimento di incredulità e inquietudine.
A fare da tramite tra questi due mondi sono quasi sempre degli animali, protagonisti continui delle sue storie e dei suoi quadri: ma anche loro finiscono ben presto per essere travolti da questo sovvertimento, cosicché è facile incontrare degli animali che assumono comportamenti umani ed esseri umani che sono assai più vicini ad atteggiamenti bestiali. Carrington era infatti convinta, e ne sono testimonianza anche i suoi quadri, che in ogni uomo ci sia una parte animale, nascosta ma che richiama attenzione: “Venga, cara signora, non si tormenti; tutti, fatalmente, presentiamo una certa somiglianza col genere animale; lei sarà di certo consapevole del suo aspetto cavallino”. Così viene detto alla protagonista del racconto “L’uomo neutro” dal signor MacFrolick, “porco devoto e distinto”. In particolare Carrington sembra avere una predilezione per due animali: le iene e i cavalli. Nel suo Autoritratto risalente agli anni Trenta, la pittrice si rappresenta in una stanza vuota, seduta su una vistosa poltrona azzurra e rossa e davanti a sé dipinge una iena, ritta sulle zampe posteriori con le mammelle bene in vista, sul muro un gigantesco cavallo a dondolo bianco e, fuori dalla finestra, un altro cavallo bianco che corre libero nel prato.
Negli stessi anni dell’autoritratto, Carrington pubblica due racconti, “La debuttante” appunto e “La casa della paura”, dove questi animali sono personaggi chiave. Nel primo di questi la protagonista deve debuttare in società partecipando a un grande ballo nella sua casa ma, disgustata dal mondo in cui sta crescendo, chiede a una iena – amica che ha conosciuta allo zoo e a cui ha insegnato il francese – di sostituirla. Ovviamente, oltre al cattivo odore bestiale, la iena deve rendersi anche presentabile e decide così di strappare la faccia a una cameriera, cucirsela addosso e tentare di ingannare così la madre durante la cena. Già in questo che figura come il suo primo racconto, Carrington esprime, in linea con le suggestioni del surrealismo, un rifiuto delle convenzioni e dei dettati della borghesia, un urlo che si condensa qui nell’esplosione di una femminilità che non può essere repressa e impacchettata nel ricevimento serale, ma che invece trova valvola di sfogo nei ruggiti animaleschi della iena (ed emblematiche, sempre a questo riguardo, sono le signorine Cunningham-Jones del racconto “Zio Sam Carrington”, che hanno come impiego quello di “sterminare le vergogne di famiglia”, come alcuni parenti della protagonista, affetti da rumorose “ridarelle” che li rendono impresentabili in società).
Nel racconto successivo, “La casa della paura”, sono protagonisti invece dei cavalli, anche questi dotati di parola come le iene del racconto precedente: uno di questi invita ancora una giovane ragazza, forse di nuovo rappresentazione alterata della scrittrice stessa, a una festa di cavalli (“I cavalli tremavano e battevano i denti facendo un rumore di nacchere. Ebbi l’impressione che tutti i cavalli della terra fossero presenti a quella festa”) diretta “dalla padrona di casa, La Paura” nel suo castello. In entrambi questi racconti, e negli altri che corrispondono alle prime produzioni narrative della scrittrice, Carrington mette in scena il mondo che ha segnato la sua infanzia, parodizzandone le convinzioni e le motivazione, prendendosi gioco così dei desideri dei genitori nei suoi confronti, come in “La dama ovale”, dove protagonista è un’altissima e sottile ragazza, “dama triste” in rivolta contro il padre, crudele e dispettoso, che deciderà di assecondare il mondo del sogno piuttosto che le richieste della società, fino ad abbandonarsi alla fantasia di una metamorfosi in cavallo.
Già nel suo primo racconto Carrington esprime, in linea con le suggestioni del surrealismo, un rifiuto delle convenzioni e dei dettati della borghesia.
Chiunque si trovi ad affrontare per la prima volta i racconti di Carrington, si accorgerà dunque di come il mondo animale rappresenti un aspetto ricorrente: animali parlanti che sono pienamente, e in maniera disturbante, inseriti nel mondo di convenzioni borghese, una processione immaginaria che da vicino ricorda le pagine di altri maestri degli scrittori surrealisti come, per esempio, Lautrèamont. Ognuno di questi esseri è portatore di una carica perturbante, ma soprattutto va ad investire il fragile equilibrio tra la realtà e ciò che da essa rifugge, spostando sempre di più lo sguardo del lettore sul mondo immaginifico che nasce dagli occhi dei protagonisti del racconto. Tommaso Landolfi, a chi gli chiedeva come mai ponesse tutta questa attenzione al mondo degli animali, rimproverandolo di occuparsene troppo, rispose che “gli animali sono il mio prossimo, sicché non è meraviglia che con essi facillime congreger”. La prossimità sembra essere avvertita anche da Carrington che riversa nel mondo degli animali le idiosincrasie di quello degli umani, creando però una realtà che, dietro l’eccezionalità, sembra essere quasi più misurata di quella normalmente intesa. Ciò che favorisce la semplice immersione del lettore in questo mondo è la grandezza dello sguardo della scrittrice, facile da assecondare nelle sue proiezioni infantili tra sogno e realtà.
E l’occhio infantile è anche uno dei materiali che compone il libro Il latte dei sogni (sempre pubblicato da Adelphi, ma con la traduzione di Livia Signorini, nella collana per l’infanzia “Cavoli a merenda”), raccolta di storie semplici e sghembe, fantastiche e buffe, che Carrington scrisse e illustrò per i suoi figli dopo averle disegnate sui muri delle loro camere. Queste storie sono un naturale proseguimento del lavoro visivo e letterario di Carrington e contribuiscono a dare ulteriore concretezza al mondo immaginario che segna tutta la sua opera. Si tratta di storie per bambini che non hanno paura di spalancare le porte dell’incubo e del perturbante, come per esempio la storia di John Senzatesta, un bambino dalle orecchie così grandi da far spiccare il volo alla sua testa che, una volta recuperata, gli viene riattaccata dalla madre “con la gomma da masticare”, o quella del piccolo George che mangia il muro di casa fino a che la sua testa non si trasforma nella casa stessa. Tornano ovviamente anche gli animali o strani esseri che assumono sembianze simili a quelle di mostri, come il repellente Chihuahua Chavela Ortiz che “aveva sei gambe e una collana di perle” o il Señor Baffo Baffuto che “ha due facce”, le cui rappresentazioni visive di Carrington riportate nel libro sono dei preziosi tesori perché danno sostanza semplice ad una realtà complessa come quella del sogno, solitamente nascosta e non rappresentabile attraverso il filtro della ragione.
Gli elementi che compongono, stratificandosi fino a fondersi, le opere di Carrington muovono continuamente tra l’ispirazione visiva e quella letteraria, tra la pittura e il racconto, ma rispondono tutti ad un tentativo deciso di sgretolare le convenzionalità del mondo borghese, rendendo plausibile ciò che non può essere neanche immaginato, attraverso la messa in scena di una letteratura fantastica che fa dell’esitazione su ciò che si legge la sua cifra stilistica. In tutta la sua opera, ma forse ancor di più in Il latte dei sogni, Carrington sembra mettersi al servizio del mondo dell’infanzia, quello più ricettivo rispetto a questa “surrealtà” come già suggeriva Breton rintracciando proprio in quell’età mitica l’essenza più profonda dell’ispirazione.
In un suo quadro degli anni Cinquanta, Figure fantastiche a cavallo, sembrano proprio essere questi animali, lucenti e ricchi di riflessi nei loro colori brillanti, cavalcati da figure che uniscono un aspetto antropomorfo con dettagli che rimandano ad animali da manuale di zoologia fantastica, a guidare le figure pseudo-umane, probabilmente proprio dei bambini, alla scoperta di un oltre magico, sconosciuto, che resta nel quadro solo immaginabile. I bambini, a cui Carrington si rivolge, sono dunque coloro che hanno la capacità di stare al gioco dell’invenzione e dello strano, sono gli stessi che nei racconti della Debuttante vivono esperienze che superano le soglie della realtà, liberano l’autrice anche dalle maglie per lei talvolta strette del surrealismo, e spalancano il ragionamento e l’immaginazione al mondo del possibile. Nel gesto infantile, nel pensiero dei bambini, Carrington rintraccia, per usare le parole del Programma per un teatro proletario di bambini di Walter Benjamin, il “rivoluzionario segnale segreto dell’avvenire” che risiede, forse, nella convinzione che niente è davvero impossibile.