“N ella Sorcièrie c’è un’audacia particolare, perché questo libro, dove si ritrovano, incontrollate, tutte le tentazioni di Michelet, si colloca deliberatamente nell’ambiguità, cioè nella totalità. È un libro di storia? Sì, visto che il suo movimento è diacronico, segue il filo del tempo. No, perché è un filo romanzesco, e si riferisce a una figura, non a una istituzione”. Questo scrive Roland Barthes nella sua introduzione a La strega, mirabile capitolo dell’opera di Michelet e certo, come ebbe modo di scrivere anche Fortini, momento di massima esaltazione da parte dei critici letterari verso la sua opera. In La strega Michelet si concentra sulla natura della servitù della gleba: si forma proprio in quell’ambiente e in quel periodo l’idea della Strega, quando la giovane donna, isolata nel suo tugurio, porge l’orecchio e concede udienza a quei diavoli che dal focolare domestico la chiamano, residuo delle divinità pagane scacciate dalla Chiesa cattolica. Nel racconto di Michelet la strega, che perduto il focolare domestico entrerà in un rapporto fraterno con la natura – tramite sabba e guarigione di mali fisici –, diviene una funzione, quasi inutile quando i rapporti sociali sono saldi e segnati dalla solidarietà, ma invece in crescente sviluppo in proporzione ad un impoverimento di questi rapporti: là dove essi sono nulli, la Strega trionfa.
La forza mitica della strega di Michelet sta pienamente dentro il rapporto che la stregoneria intrattiene con la medicina antica in opposizione alla Chiesa: la strega assume il ruolo di mediatrice con la natura. Ma quando il progresso incombe, intorno al XVI secolo, lo spazio di esercizio della strega diminuisce sempre di più, a favore di medici e dotti, e il suo ruolo non è più necessario: dentro tale decadenza partecipa solo a momenti di pura magia come malefizi e incantesimi. Nasce allora immeditamente un legame con il diavolo, che sarà la più potente e tragica accusa rivolta a coloro che erano in odore di stregoneria, nonché maggiore veicolo per le condanne alla pena capitale. Non solo le streghe però subirono processi e furono condannate a morte: tale supplizio fu altresì destinato a presbiteri e uomini di chiesa colpevoli, secondo le accuse, di intrattenere rapporti con il demonio. Il caso più famoso di possessione demoniaca in cui fu coinvolto un sacerdote, Urbain Grandier, avvenne negli anni Trenta del Seicento, in una piccola cittadina francese di nome Loudun, dove la madre superiora Jeanne Des Anges accusò il sacerdote di possederla tramite il diavolo.
Tanto eco ebbe la vicenda che, oltre ad un vero e proprio via vai di uomini e donne curiosi di vedere gli esorcismi e gli attacchi del demonio sulle povere orsoline, essa si nutre di una vasta bibliografia tra cui è necessario e doveroso segnalare l’opera di Aldous Huxley, I diavoli di Loudun, il mirabile saggio di Michel De Certeau La possessione di Loudun e l’opera di Krzysztof Penderecki The devils of Loudun. Torna adesso in libreria però, il testo più importante di tutta questa vicenda, Il libro delle mie possessioni, pubblicato da Castelvecchi con un’introduzione della psicologa Denise Sainte Fare Garnot, l’opera che Jeanne Des Anges scrisse una volta liberata dal demonio per mantenere memoria di tutti gli avvenimenti. Ciò che emerge dalla vicenda di Loudun, e che permette di sostenere un parallelo con la storia della persecuzione delle streghe, sta nella funzione del sovrannaturale di matrice statanica a cui si accennava prima: il demoniaco infatti, come per le streghe così per le possessioni di Loudun, non è altro se non l’affacciarsi sotto mentite spoglie di ciò che una società dominante per numero e influenza rimuove e allontana. Ma proprio per il fatto che ogni epoca storica si trova in un dato momento faccia a faccia con il suo rimosso, così giunge il momento in cui la resa dei conti si trasforma in una lotta contro i fantasmi, in questo caso, quelli demoniaci.
Il caso più famoso di possessione demoniaca in cui fu coinvolto un sacerdote, Urbain Grandier, avvenne negli anni Trenta del Seicento, in una piccola cittadina francese di nome Loudun.
Nel momento della crisi di Loudun, la Francia era governata dal re Luigi XIII, affiancato, o meglio, sovrastato, dalla figura del Cardinale Richelieu, formalmente suo primo ministro. Dopo le dure guerre di religione degli anni precedenti, in alcune zone della Francia era in corso una sorta di controffensiva cattolica che andava a riacquistare i territori precedentemente “occupati” dagli ugonotti. Jeanne Des Anges nasce nel XVII secolo, ovvero nel tempo in cui la Chiesa Cattolica è travolta dalla riforma di Lutero e dalla nascita e diffusione del protestantesimo. Si era dunque nel mezzo di una vera e propria carica evangelizzatrice cattolica che guidava una riscossa testimoniata dal grande numero di religiosi e conventi che in questo periodo si affermano. Il convento delle suore orsoline teatro degli episodi riguardanti Jeanne Des Anges era stato ricavato, pochi anni prima come conferma anche Michelet in La strega, da un collegio ugonotto – non è da dimenticare, per il discorso che andiamo facendo, che per la religione cattolica gli ugonotti erano considerati come degli eretici e, dunque, vicini al diavolo – e non c’era stato quindi stato il tempo per organizzare gli spazi in maniera ottimale e neanche per interrompere il riecheggiare di diatribe teologiche non ancora sopite.
Nella città di Loudun infatti l’«eresia» ugonotta aveva conquistato più della metà della popolazione e per questo fu oggetto di una intensissima evangelizzazione cattolica. Anche sotto la spinta di Richelieu, dopo l’insediamento di suore dell’ordine delle Figlie del Calvario, con l’arrivo di sei novizie provenienti da Poitiers era stato fondato il convento delle orsoline. A Loudun dunque si trovava una grande concentrazione di forze cattoliche e lo strumento principale per la conquista delle anime fu proprio instillare nella popolazione l’incubo del demonio e la paura dell’inferno. Il parroco della cittadina era Urbain Grandier, animato da una sincera fede religiosa ma mosso da un’altrettanto inarrestabile forza che lo spingeva ad una vita licenziosa. Grandier teneva dei sermoni infiammati e non rientrava sempre nei rigidi canoni ecclesiastici: le sue idee però, sempre sul filo del rasoio tra ordine e rivoluzione, si trovarono ad agire in un momento non certo propizio. Nel periodo di duro scontro verso coloro che non si allineavano con i desideri della Chiesa ufficiale, le posizioni di Grandier, che ricordiamo aveva intrattenuto relazioni sessuali con numerose donne, urtarono i vertici della Chiesa francese e, in particolar modo, gli ordini di Richelieu stesso, con cui ebbe anche personali e vivaci diverbi.
Secondo la ricostruzione di Huxley, a scatenare il processo che portò alla sua condanna a morte, fu proprio Jeanne Des Anges. L’accusa a Grandier della suora, che arrivò ad essere ossessionata da un oggetto del desiderio che non poteva raggiungere, arrivò dopo il rifiuto del prete di divenire padre spirituale delle orsoline. A sostituirlo, Suor Jeanne volle Mignon, acerrimo nemico di Grandier, al quale confidò l’utilizzo della magia nera del suo avversario nel tentativo di sedurre lei e le altre suore che si unirono nell’accusa di essere state stregate per commettere atti impuri. Da questo momento si entra nel folle spettacolo di Jeanne Des Anges e dentro un’isteria collettiva che prese tutto il convento e puntò l’attenzione sulla piccola cittadina di Loudun.
Per la maggior gloria di Dio e per soddisfare l’obbedienza che mi è stata imposta, riferirò con stile semplice le misericordie che la divina bontà si è compiaciuta di riversare sulla mia anima da nove anni a questa parte, per distoglierla dai vizi e dalle imperfezioni che la dominavano.
Così si apre il libro di confessioni di Jeanne Des Anges, libro che stupisce per la sua lucidità e che per questo resta, ancora oggi, un documento prezioso sia per la sua armonia espositiva (e basti leggere le dettagliate parti dedicate alla descrizione dei sette demoni che la possedevano: “il capo dei diavoli era Asmodeo. Esso operava in me continuamente, sia nell’immaginazione che nello spirito, e mi riempiva di pensieri disonesti. Il pudore mi vieta di descriverli. Quello spirito dannato mi appariva spesso sotto forme orribili, e vedendo che, con il soccorso della grazia, restavo indifferente, mi percuoteva con tanta violenza da lasciare il mio corpo completamente tumefatto”) sia perché traccia concreta di una vicenda straordinaria. Un altro personaggio si aggiunge nella sua vicenda dopo Grandier: tra l’orda di esorcisti che visitavano le suore, ormai continuamente in preda ad attacchi che le vedevano rantolarsi, bestemmiare, fare gesti osceni e subire esorcismi a suon di frustate, si affacciò in un certo momento il gesuita Surin, coprotagonista del libro di Des Anges perché salvatore della suora e del convento tutto.
Fatto condannare Grandier secondo un processo che segue la norma del periodo – sottoposto a tortura Grandier non firmò la sua confessione, pur ammettendo altre licenziosità: finì torturato ferocemente prima di essere arso vivo – la possessione di Des Anges non accennò però a diminuire di intensità, se non all’arrivo di Surin. Il gesuita vede in lei, nella sua passione e nei suoi desideri, il Diavolo, interno dunque al suo spirito e non nato da possessione esterna. Così costruisce una narrazione, di cui pian piano convince, oltre che se stesso anche la suora, che puntava ad avviare la donna sulla via della santità proprio attraverso il diavolo, facendo leva quindi sulla sua parte malvagia. La colpa della sua possessione è solo sua, delle sue manchevolezze e dei suoi peccati, sostiene Surin. Così inizia con lei un processo di purificazione che condurrà la suora alla guarigione totale e alla vittoria del Signore sui diavoli: «Allora guardai il crocefisso e vidi un braccio staccarsi dalla croce, e Nostro Signore tendermi la mano”.
Dal crocefisso – aggiunge Des Anges – venivano queste parole: “Non volgermi le spalle e io avrò cura di te. Sappi che sono i tuoi peccati a tenermi inchiodato a questa croce, e che la salvezza della tua anima conta, per me, ancor più che per te stessa”. In questo processo verso la santità si chiude il libro di confessioni della suora, eppure il campo da lei aperto lascia molti interrogativi. Se quello riguardante la veridicità o meno della possessione non è qui il più importante, diversamente è necessario dire per quanto riguarda le modalità di spettacolarizzazione di tale evento e dalla follia collettiva che colpì un gruppo di suore fino a quel momento lontane da ogni clamore.
La possessione di Des Anges non accennò però a diminuire di intensità, se non all’arrivo di Surin: il gesuita vede in lei, nella sua passione e nei suoi desideri, il Diavolo.
Come si diceva in apertura, il demoniaco sorge nel momento in cui l’estraneo e l’oscuro che la società tenta di scacciare riesce, anche solo per un momento, a palesarsi. Su questo punto si sofferma in particolar modo De Certau nel suo libro sulla vicenda, analizzando in maniera dettagliata la lingua, il corpo, il legame sociale e il racconto della possessione delle suore. Il libro di De Certeau nasconde risvolti non meno inquietanti rispetto alle crude descrizioni di Huxley, certamente più complessi e astratti, ma che lasciano ugualmente il lettore affogare quando tenta di comprendere se è possibile rendere trasparente la conoscenza del passato. De Certeau compie così un lavoro che non si distacca poi molto da quello dell’esorcista Surin: come lui tenta di far affiorare il fantasma della verità. Il lavoro dello storico, lavoro su cui il ragionamento di De Certeau non si è mai fermato, dovrebbe riuscire a far affermare certezze, a disseppellire e smascherare spettri e a vincere paure. Se si potesse riassumere uno dei significati del libro di De Certeau, questo starebbe forse nelle parole che lui lascia tra le pagine del suo libro: “la storia non è mai certa”.
Il caso dei diavoli di Loudun pone allora ancora oggi degli interrogativi che la pubblicazione di Castelvecchi si spera contribuisca a rinfocolare. Si tratta di domande tanto ineludibili quanto impossibili da soddisfare che riguardano sia la possessione delle suore, se veritiera o meno, sia la natura degli intrighi tra potere e religione nel XVII secolo, ma pone anche quesiti sul nostro tempo presente, uno su tutti quello sul legame tra storia e racconto e dominio delle coscienze e dei corpi. Da questo punto di vista passa in secondo piano la natura della possessione di Jeanne Des Anges, più volte messa in dubbio, anche da Huxley che così la definisce: “C’è un riso che è perfettamente compatibile con ‘le cose di Dio’, un riso di umiltà e autocritica, un riso di sana tolleranza, un riso al posto dello sconforto e dell’indignazione per la perversa assurdità del mondo. Di tutt’altra specie, la risata di Jeanne esprimeva o scherno o cinismo. Sempre diretta contro gli altri e mai verso se stessa”. L’interrogazione che allora diviene necessaria e pienamente calata nella nostra contemporaneità, poiché d’altronde “ognuno è il primo e l’ultimo” come scriveva Michelstaedter, è quella che riguarda l’eterno schema, il ciclo continuo, che vede il sistema dominante, come si diceva all’inizio, combattere tutte le fonti di infelicità quando però è lui stesso a generarle.
Il caso delle streghe e delle possessioni demoniache non si sposta da questo piano: le lotte religiose interne alla chiesa e i giochi di potere della classe dominante a livello macroscopico, ma poi, a livello microscopico, lo sforzo individuale, quello di Des Anges per esempio, di essere dentro questa storia con un ruolo da protagonista. Anche l’esercizio dell’esorcismo non è lontano da queste dinamiche, e ne è esempio lampante il gesuita Surin, intellettuale e uomo di fede, che non si tirerà indietro quando ci sarà bisogno di accompagnare Jeanne Des Anges per tutte le corti di Francia, compresa quella reale, come un prodigio. Un grande palcoscenico dove i potenti e il pensiero dominante muovono i fili dei burattini che, nella loro miseria, tentano un movimento, per quanto possibile, autonomo.
La storia di Jeanne Des Anges ci riporta all’eterno schema che vede il sistema dominante combattere tutte le fonti di infelicità, quando è lui stesso a generarle.
Una storia che vive dello stesso spirito e della stessa potenza dominatrice maggioritaria è quella, stavolta tutta italiana, di Caterina Medici, domestica di un importante senatore milanese che, dopo violenti dolori intestinali, la accuserà di avvelenamento. Da quel momento, per la povera domestica, inizierà un calvario che, proprio a causa dell’insistenza della società nobile secentesca milanese, la porterà al rogo: “Sia condotta sopra un carro al luogo del pubblico patibolo, ponendole sulla testa una mitra con la dicitura del reato e figure diaboliche, e percorrendo le vie e i quartieri principali della città col tormentarla nel corpo con tenaglie roventi, per poi essere bruciata dalle fiamme…”, recita la sua condanna a morte. Leonardo Sciascia ha scritto un piccolo libro memorabile su questo avvenimento, La strega e il capitano, recuperando le carte del processo e ampliando il piccolo cenno manzoniano alla vicenda nei Promessi sposi.
Nella nota conclusiva, Sciascia scrive che questi sono fatti “in cui l’ingiustizia, l’intolleranza, il fanatismo (e la menzogna di cui queste cose si coprono) hanno parte evidente o, quel che è peggio, nascosta”. Sono parole che potrebbero chiudere anche la storia di Jeanne Des Anges e qualunque storia che si situi al crocevia tra la giustizia, l’inquisizione, il fanatismo e la stupidità umana. Nella nota Sciascia scrive di come il compito della letteratura debba essere proprio quello di innalzarsi a difesa di tutti questi mali. Reazione che non nacque a seguito della pubblicazione del libro di Des Anges, né in occasione delle sue successive ristampe, tutte concentrate sull’interrogazione circa l’isteria che colpisce un gruppo di donne, riconducendo la questione ad un caso clinico, e galeotta fu probabilmente la presentazione alla ristampa fatta da Charcot. Ecco perché, una volta chiuso il volume di confessioni della suora francese, sarà piacevole e proficuo sfogliare il libro di Leonardo Sciascia che, nella sua indagine microstorica, riesce ad unire, nel giro di un centinaio di pagine, tutto quanto una simile situazione avrebbe dovuto tirare fuori, scrostando la storia di quel velo appannante che spesso le si adagia sopra, coprendo il volto ripugnante e, forse, più autentico che assume il potere:
Si era stabilita, e specialmente in quel secolo, una funesta circolarità: antiche fantasie e leggende, antiche meraviglie e paure che erano credenze del mondo popolare, per la Chiesa cattolica a un certo punto si configurarono come un pericolo, come elementi di una religione del male che appunto a quella cattolica – del bene – si opponesse. E quell’antico favoleggiare si configurò, fu configurato, come pericolo: per l’ovvia ed eterna ragione che ogni tirannia ha bisogno di crearsene uno, di indicarlo, di accusarlo di tutti quegli effetti che invece essa stessa produce di ingiustizia, di miseria, d’infelicità tra gli assoggettati. E certo quelle credenze avevano diffusione: ma a misura in cui ingiustizia, miseria e infelicità erano dal sistema dominante in maggiore quantità e con accelerazione prodotte. Come a dire: provata la religione del bene, che tanti mali ci apporta, proviamo se ci va meglio quella del male.