I l mio primissimo ricordo sono i rami di pino che sfiorano il vetro di una finestra. Questa casa era a Coeur d’Alene, in Idaho, alla Sunshine Mine. Le enormi querce avevano rami quasi paralleli al terreno sui quali gli scoiattoli scorrazzavano avanti e indietro come fossero in autostrada.
Di recenti ho letto che il profumo dei fiori, in particolare delle rose e dei lillà, era molto più intenso anni fa, mentre oggi la loro fragranza è stata smorzata dall’ibridazione. Che sia vero o no, i profumi dell’Idaho che ricordo sono più vividi di qualsiasi fiore di oggi. I fiori di melo e i giacinti erano letteralmente inebrianti. Mi sdraiavo sull’erba sotto il lillà e respiravo fino a stordirmi. E poi all’epoca giravo su me stessa finché non mi venivano le vertigini e non riuscivo più a stare in piedi. Forse questi erano i primi segnali di allarme, e i lillà la mia prima dipendenza.
Non avevo mai sentito parlare del salicone, perciò rimasi sbalordita vedendo gli steli ricoperti di peluria. Guadai il torrente ghiacciato per raggiungerli, inzuppandomi le scarpe e i vestiti. Da quel momento mi impedirono di uscire; sarei potuta annegare o essere trascinata via dalla corrente.
Dormivo su un letto a incasso. Erano comuni all’epoca, letti che si richiudevano in un armadio durante il giorno. C’erano pochi mobili e nessun tappeto in questa grande casa. Scricchiolii. Echi del vento tra gli alberi, schizzi di pioggia sui vetri. Singhiozzi in bagno.
Di sera, qualche volta, i miei genitori giocavano a pinnacolo con i vicini. Le risate e il fumo salivano le scale fino alla mia stanza. Esclamazioni in finlandese e svedese. Adorabili, la cascata di fiche da poker e le maracas dei cubetti di ghiaccio. Il modo particolare in cui mia mamma dava le carte. Il sibilo repentino di una mescolata e una serie di schiocchi secchi mentre le posava sul tavolo.
Guardavo i bambini andare a scuola ogni mattina e più tardi li sentivo giocare a kickball, agli aliossi, con le trottole. Io giocavo in casa con Skippy, il mio “cane”, una piccola caffettiera a filtro legata alla cintura di un accappatoio. Mia madre leggeva gialli. Entrambe guardavamo dalle finestre e ammiravamo la pioggia. All’inizio è spaventoso, poi è bellissimo quando ti svegli il giorno della prima nevicata.
Mio padre tornava dal lavoro stanco e sudicio, gli occhi due cerchi bianchi sbigottiti con il centro verde smeraldo.
Ogni sabato sera scendevamo a piedi la collina fino al paese. Un negozio di alimentari e un ufficio postale, la prigione e il barbiere, un emporio e tre bar. Prendevamo il “Saturday Evening Post” e una gigantesca barretta di cioccolato Hershey. Il forte scricchiolio della neve sotto le galosce. Tornavamo verso casa quando faceva già buio, ma sembrava ancora giorno con le stelle dell’Idaho che punteggiavano il cielo. Anche la luce delle stelle era decisamente più intensa, all’epoca.
Estratto da Welcome Home di Lucia Berlin, © 2019 Bollati Boringhieri editore, Torino. Traduzione di Manuela Faimali.