Enrico Terrinoni
/ Una gongshi, o “pietra dello studioso” cinese proveniente dalla zona del Lago Tai Hu; fot. H. Wiesemann per ID-Cultura.
25.3.2025
La lettura mistica
Il Finnegans Wake di Joyce in cinese.
Enrico Terrinoni Cattedra di Letteratura Inglese - Università per Stranieri di Perugia 2022/2025, Professore in residence, Accademia Nazionale dei Lincei (Centro Linceo interdisciplinare "Beniamino Segre"), Affiliato del Centro di Studi Italiani dell'Università di Notre Dame, Presidente della Fondazione Italiana James Joyce.
Q
ualche settimana fa a Dublino, a ridosso del compleanno di James Joyce (2 febbraio), c’è stata la presentazione in anteprima mondiale dell’unica (all’oggi) traduzione cinese completa del libro definitivo e sognante di Joyce, il Finnegans Wake [Fennigen Shouling: Zhui Sheng Meng Shi Ji (Finnegans Wake), Taipei, Bookman Books, 2024]. Il curatore di quest’impresa storica e pionieristica è di Taiwan, Sun-chieh Liang. Come ci ha spiegato, la sua traduzione dell’opera di Joyce segue in modi inattesi lo spirito plurilingue dell’originale, nell’impiegare, nella sua tessitura verbale e simbolica, non soltanto il mandarino o il cinese semplificato, ma anche caratteri giapponesi, coreani, e persino inventati dal traduttore stesso a partire dai simboli dell’alfabeto latino, adattati alle forme del cinese. Infatti, le risorse del cinese hanno a che fare con un piano multiplo, perlomeno trino, quello del suono, del significato e della forma. La forma è tanto importante quanto gli altri due livelli.
Un esempio è la traduzione di un’espressione che in Joyce rimanda alla compresenza, nel testo, della figura di una madre e una figlia nello stesso personaggio: il traduttore ha in questo caso utilizzato un ideogramma che in cinese significa madre, ma in giapponese figlia, ottenendo così dal punto di vista della forma multilingue quella stessa fusione che Joyce otteneva forzando le regole del linguaggio e inventando parole. Ma non serve entrare negli specialismi. Torniamo all’evento dublinese.
La traduzione segue in modi inattesi lo spirito plurilingue dell’originale, nell’impiegare, nella sua tessitura verbale e simbolica, non soltanto il mandarino o il cinese semplificato, ma anche caratteri giapponesi, coreani, e persino inventati dal traduttore stesso.
Nel presentare al Trinity College la sua opera eccellente, Sun-chieh ha detto che leggere il Finnegans Wake di Joyce è un’esperienza “mistica”. Il commento mi ha fatto pensare allora e continua a incuriosirmi adesso, perché, senza mai averlo detto o scritto, anche io trovo che leggere quel libro situato sulla soglia dell’indicibile e ai limiti del linguaggio sia un’esperienza che ha del mistico (se per mistico intendiamo il raggiungere un piano di coscienza ampliato rispetto all’ordinario). Riflettendoci in seguito, mi sono reso conto che ogni lettura, non soltanto quella di un’opera impossibile come il Finnegans è potenzialmente un’esperienza mistica, perché ogni lettura può consentirci di accedere a un piano di consapevolezza e anche di sapienza altro da noi stessi, di fatto estendendo la sfera del nostro essere.
Tradurre Finnegans Wake in cinese è ovviamente la prodezza delle prodezze. Significa trovare una nuova forma e una nuova casa per il grande libro di Joyce in luoghi che non ci aspetteremmo. E ora, questo testo che disorienta i suoi lettori fin dall’inizio, è di casa anche in Oriente. Proprio come Adamo, che nel libro diventa “atoms” ma anche “athome” ossia “a suo agio” ma anche “a casa sua”. Nel libro dei mutamenti di Joyce, un vero I-Ching moderno, la forma è tutto, e l’audace tentativo di Sun-chieh Liang di renderla per la prima volta nella sua interezza in uno dei modi di dire più importanti del libro (il Wake contiene centinaia di riferimenti al cinese) è di per sé una nuova festa di tutte lingue. Con tutti i suoi caratteri cinesi non convenzionali scava nella storia della lingua tanto quanto vi fa capolino nel futuro: un futuro di possibilità proprio come quello che Joyce progettò per l’emancipazione linguistica di tutti noi.
Forma, forme. Ecco il dilemma. Perché nel Finnegans Wake nuove forme sono sempre nuovi modi di rimodellare il mondo tanto quanto la Parola. Uno dei più grandi giochi di parole riguarda un altro maestro e inventore del linguaggio, William Shakespeare, che nel libro di Joyce diventa Shapesphere. Chi è questa nuova entità? Un plasmatore di sfere o forse di paure? O entrambi? Tali mutazioni di forma si compiono nel testo di Joyce in nome della simultaneità, che è una caratteristica molto orientale del libro. Ecco alcuni esempi.
Il sanscrito, una delle lingue dei testi sacri vedici antichi ma anche buddisti, nel libro dei cambiamenti del Ventesimo secolo da “sanscrito” diventa “sanscreed”. Forse un nuovo santo (san in italiano), perde letteralmente (sans è “senza” in francese) un credo, diventando così quasi il suo opposto. Questa è la “simultaneità” nella letteratura del futuro. O, se preferiamo usare un gergo quantistico, questo è un esempio di “sovrapposizione” letteraria. Nel Wake il concetto di simultaneità è immortalato in alcuni passaggi importanti. Prendiamo quello che succede con due fratelli esemplari nel libro, Burrus e Caseous (in un altro caso, altri gemelli sono chiamati siamesi, ma la parola che Joyce usa lì è “soamheis”, qualcosa che condensa l’espressione “as I am so he is”, “come io sono così lui è”). I due fratelli gemelli qui non sono stati in grado di districarsi, ma, ciò che Joyce scrive cripticamente è che “have not seemaultaneously sysentangled themselves”. In questa espressione abbiamo tante cose, forse troppe. Per cominciare, c’è il verbo inglese “to seem”, che indica il fatto che la simultaneità è solo simultaneità apparente (Einstein sarebbe d’accordo). Poi abbiamo il prefisso greco per “con, insieme” (sy-), e curiosamente una parola tedesca per “bocca” o “muso” (maul). Infine, abbiamo un gioco di parole sull’inglese che ci parla di “entanglement districati”, quasi a voler ribadire che nessuno può dissolvere ciò che il creatore, o meglio, l’artista ha unito. Alcuni esempi dal libro (tratti da Joyce Studies in Italy, 2024, 26, p. 340).
La simultaneità fa sì che i significati coincidano senza la possibilità di disunirli. Sono significati che, se presi singolarmente, indicherebbero qualcos’altro. Invece, nella fusione nucleare operata da Joyce, essi assumono un nuovo valore proprio rispecchiandosi l’uno nell’altro, producendo cioè fenomeni di interazione capaci di generare nuove grammatiche, nuove sintassi, nuovi lessici. La simultaneità è la firma, non solo di Finnegans Wake, ma di molte grandi opere d’arte. È la loro capacità non solo di dire molte cose allo stesso tempo, ma di farlo in modo tale che quelle cose rimangano aggrovigliate. In entanglement, appunto.
La simultaneità fa sì che i significati coincidano senza la possibilità di disunirli. Sono significati che, se presi singolarmente, indicherebbero qualcos’altro. Invece, nella fusione nucleare operata da Joyce, essi assumono un nuovo valore proprio rispecchiandosi l’uno nell’altro.
Ma da dove prende Joyce questa intuizione che appare così semplice e così complessa allo stesso tempo, un’intuizione che riassume l’anima segreta di ogni grande opera, cioè quella preziosa potenza che aiuta a configurare un testo come un’opera del futuro da riscoprire solo in modi nuovi? Ecco che torna l’Oriente a disorientare. Fin da giovane Joyce era stato affascinato da un tipo di pensiero capace di minare la preminenza della logica razionale della tradizione occidentale, che affonda le sue radici nel principio di non contraddizione secondo il quale la sequenza di causa ed effetto viene spesso letta attraverso una sorta di linearità cronologica. Joyce era appassionato di Giordano Bruno e si avvaleva un po’ ovunque del principio dell’unione degli opposti che il Nolano aveva sviluppato a partire dal Cusano. Questo principio trova una sorta di consonanza nella tradizione del pensiero cinese secondo la quale tutto nell’universo, comprese le idee, è strutturato in coppie di polarità opposte, ognuna delle quali è essenziale per la comprensione dell’altra.
Fin da giovane Joyce era stato affascinato da un tipo di pensiero capace di minare la preminenza della logica razionale della tradizione occidentale, che affonda le sue radici nel principio di non contraddizione.
Ho visitato Taiwan un paio di anni fa e ho insegnato insieme al professor Sun-chieh Liang in un corso di laurea su Ulisse, Finnegans Wake e la traduzione. Tra le altre cose abbiamo affrontato anche l’episodio del Wake con l’incontro tra San Patrizio e l’Arcidruido. È uno dei primi testi composti da Joyce. Eppure, anche se questa è stata tra le prime storie a nascere, ora si trova quasi alla fine del libro. Come mai? Perché Joyce vi è tornato dopo tanti anni di rivisitazione completa? Quando decise di rivisitarlo, stava riflettendo su una strana teoria, o piuttosto su una strana possibilità, e cioè che le radici della religione irlandese fossero orientali e non occidentali. Strano, vero? San Patrizio, secondo una leggenda, convertì tutta l’Irlanda spiegando il mistero della Trinità a quei Celti pagani per mezzo di un trifoglio, e ora quel padre del cristianesimo irlandese veniva trattato quasi come un mistico orientale. Perché?
Joyce aveva infatti ripreso una vecchia passione per le filosofie e le religioni orientali. Era stato esposto a loro da giovane, quando era in contatto con persone legate ai circoli occulti. Ottenne poi una copia di Maya. Der indische Mythos di Heinrich Zimmer e lo studiò con la massima serietà. Quel libro contiene molti riferimenti precisi al buddismo. Era stato anche in contatto con uno studente che gli aveva spiegato il valore figurativo di certi ideogrammi che riteneva rivelatori per la storia che stava scrivendo. Ha lavorato sodo, Joyce, e il risultato è che, secondo i miei calcoli, nel libro abbiamo almeno 229 occorrenze di parole o concetti cinesi, 119 legate alla lingua e alla tradizione giapponese, e infine 117 al sanscrito e a testi originariamente composti in quella lingua. Ci sono anche almeno due importanti riferimenti a Lao Tsé, il grande pensatore cinese e fondatore del Taoismo secondo il quale l’intero universo è dentro ogni cosa o persona che lo compone. Un altro Bruno, verrebbe da pensare.
Nel libro abbiamo almeno 229 occorrenze di parole o concetti cinesi, 119 legate alla lingua e alla tradizione giapponese, e infine 117 al sanscrito e a testi originariamente composti in quella lingua.
Ecco perché questa traduzione completa del FinnegansWake in cinese è per molti versi un altro ritorno a casa! Il Wake non è infatti solo un libro di simultaneità, ma anche un testo circolare, che è un’altra eredità orientale se pensiamo al continuum temporale delle filosofie orientali, all’idea di un flusso continuo, e alla conseguente circolarità che nega e beffa le rappresentazioni lineari. Questo risveglio cinese del Finnegans Wake non è, quindi, solo un omaggio alle filosofie e alle religioni orientali che emergono nel libro di Joyce. Si tratta senza dubbio di un nuovo modo di guardare al sistema di pensiero, non sistematico di Joyce da una prospettiva orientante (e disorientante). Ci aiuterà a costruire nuovi ponti e a individuare nuovi modelli interpretativi capaci di farci esplorare percorsi inaspettati in questo libro di mutamenti oscuri.