N el racconto di Jean-Jacques Langendorf La Contessa Graziani o i trionfi del prossenetismo (1993), Maximilian d’Alès, un colto parigino, viaggia nell’Italia ottocentesca seguendo la legge del libertinaggio. A Milano, in un bordello gestito da Madame Bisini, incontra l’abate della Chiesa di San Satiro, un frate con una “criniera da musicista folle” che, devoto “anima e corpo” alle giovani donne povere, le avvia alla prostituzione. In una lurida osteria, mentre si versa del vino, l’abate esclama: “Presto vedrete esposti nelle librerie i miei Prolegomeni alla teologia dello stupro. Allora tutto il mondo saprà cosa deve all’abate Calasso…”.
Quel presto è giunto infine nel 2020, con la pubblicazione di La tavoletta dei destini, ultimo capitolo dell’Opera senza nome, una serie di undici volumi iniziata nel 1983 con La Rovina di Kasch e il cui autore è Roberto Calasso, non l’abate scapestrato ma l’editore-scrittore, il demiurgo della casa editrice Adelphi a cui Langendorf ha indirizzato il clin d’œil nella sua agiografia pornografica.
Nel discorso che precede l’annuncio dei Prolegomeni, di fronte all’incredulità di d’Alès rispetto alla filantropia licenziosa e militante del religioso, l’abate Calasso squaderna il nocciolo della sua filosofia, pendolo che oscilla tra De Sade e i Grundrisse di Marx:
Se l’uomo per lo più fa professione di disprezzare la venalità in amore, è perché essa è una sorta di specchio che le puttane gli porgono e che gli rimanda il riflesso brutale di quel che lui quotidianamente pratica, uno specchio che non maschera niente e gli rivela i tratti deformi della sua ipocrisia.
“Insomma, amico mio, la prostituzione è dappertutto”. Lo dimostra l’avvocato che difende il colpevole, il prete ateo che celebra l’onnipotenza di Dio così come il poliziotto corrotto che incarcera l’innocente. La prostituzione “è l’anima stessa del nostro secolo”, “è un’essenza volatile che ha conquistato gli spiriti e le anime”. Nelle parole dell’Abate leggiamo – capovolta – la critica di Calasso alla Società industriale – l’età della prostituzione universale – come appunto già Marx l’aveva descritta nelle note dei suoi Manoscritti economico-filosofici:
La prostituzione è soltanto un’espressione particolare della prostituzione generale dell’operaio, e siccome la prostituzione è un rapporto di tale natura che vi rientra non solo chi è prostituito ma anche chi prostituisce la cui abiezione è ancor più grande – anche il capitalista, ecc., rientra in questa categoria.
Amico intimo di Calasso, che abitava davvero a Milano in una via adiacente alla parrocchia di San Satiro, e frequentatore del salotto adelphiano, Langendorf merita riconoscenza per aver trascritto su carta il titolo segreto dell’Opera calassiana, Prolegomeni alla teologia dello stupro, perché altrimenti ci si sarebbe dovuti contentare dell’anonomasticità a cui il suo autore, scomparso nel 2021, ha infine relegato il proprio lascito. Opera senza nome (2024) è infatti il titolo del testamento letterario con cui il Calasso reale ha infine dato un nome alla sua fatica letteraria. Senza nome. La ritrosia in questione non è ovviamente frutto di pudore ma è ancora una volta il segno della cifra stilistica dell’editore-scrittore devoto a una scrittura che più che mostrare ama celare.
Se ipotizziamo che il gioco letterario di Langendorf contenga una briciola di verità basata su conversazioni reali con l’autore dell’opera senza nome, bisogna allora accostarcisi come a una teologia dello stupro contenuta in una più ampia teoria del sacrificio.
Se ipotizziamo che il gioco letterario di Langendorf contenga una briciola di verità basata su conversazioni reali con Calasso, bisogna accostarcisi come a una teologia dello stupro contenuta in una più ampia teoria del sacrificio.
Due – che è il numero guida della produzione calassiana e dell’intero catalogo Adelphi – sono i libri più importanti dell’Opera: La Rovina di Kasch – che contiene al suo centro la teoria sacrificale – e Le nozze di Cadmo e Armonia, nel cui nucleo centrale si esplica la Teologia dello stupro. Si tratta nei fatti di un unico libro che accosta e intreccia i due corpus mitologici che hanno guidato Calasso nella sua idea di letteratura: i Veda e il mito greco.
I Prolegomeni risuonano già interamente nelle pagine della Rovina e delle Nozze ma è in un libro del 1974, nove anni prima dell’inizio dell’Opera senza nome, che Calasso aveva definito una volta per tutte il senso generale del suo discorso e delle sua scelte come editore di Adelphi. Si tratta dell’unico romanzo propriamente detto scritto da Calasso, il suo esordio letterario con la casa editrice milanese: L’Impuro Folle. Se l’Opera senza nome è il frammento analogico che miniaturizza nella sua vastità il catalogo Adelphi, l’Impuro Folle è il diorama dell’Opera senza nome e, per transitività, anche dell’Adelphi di Calasso.
“Venne fuori di sorpresa”, disse Calasso ad Alain Elkann riferendosi al romanzo, “lo scrissi in due mesi con una sorta di febbre, mentre stavo lavorando a una introduzione alle Memorie di un malato di nervi di Schreber”. Il 1974 è infatti anche l’anno di nascita della collana “I casi” di Adelphi, inaugurata proprio dall’autobiografia di Schreber, giudice ed ex presidente della Corte di Dresda, che le scrisse nel contesto del processo che doveva stabilire la sua interdizione mentale e che infine vinse. “Successe che Schreber improvvisamente diventò personaggio di romanzo. Come se le sue allucinazioni proseguissero in altra forma”.
Nel decennio intercorso tra il 1893 e il 1903, Daniel Paul Schreber si trovò immerso in un’odissea dell’anima e L’Impuro Folle ne immagina lo sviluppo metastorico a partire da alcuni fatti occorsi tra il XVII secolo, quando allo studio dell’anima subentrò quello dei nervi, e i nostri giorni. Gli enunciati fondamentali della Teologia dello stupro e della Teoria sacrificale si dipanano nella narrazione di un obliquo narratore celeste – lo stesso Calasso -, inframezzati al delirio del giudice Schreber, autore di quelle Memorie che portarono alla prima teoria della paranoia e che produssero il primo grande scisma nella comunità psicoanalitica, la frattura tra Sigmund Freud e Carl Gustav Jung. Nelle pagine del libro sono criptati tutti gli undici titoli dell’Opera, che a loro volta non fanno altro che ricapitolare e approfondire la storia già narrata di Schreber e dei torbidi rapporti tra il divino e l’umanità.
L’Impuro folle obbedisce all’idea di “simultaneità temporale” che intelaia gli undici libri della successiva Opera. Calasso parla più precisamente di una ‘visione anamorfica del tempo’: “Ho sempre pensato che la forma doveva essere l’essenziale”, come apprendiamo da Calasso in un’intervista in occasione della traduzione francese della Rovina, l’anamorfosi temporale approssima così la forma della Storia, come successione di eventi, al suo contenuto.
Calasso parla più precisamente di una ‘visione anamorfica del tempo’.
Nella storicità simultanea le figure “immerse nel tempo si deformano e si trasformano nel corso dei secoli”. Persone, “ma anche parole o concetti o episodi”, diventano elementi di un unico arazzo, “che si parli di un rituale vedico o della prima guerra mondiale, tutto appare in luoghi diversi su una superficie che si deve guardare tutta nello stesso tempo”, e ciò per obbedire a un rifiuto totale della visione lineare del passato, “visione cara a tutte le ortodossie”.
Da qui discende un modo peculiare in cui procede la narrazione calassiana, “tutto quello che vi compare sta insieme”, un modo che egli ha sperimentato per la prima volta proprio nell’Impuro Folle, dove Daniel Paul Schreber appare in dialogo con Sigmund Freud e Tiresia, Apollo insieme allo scrittore Jean Paul e al filosofo Hegel e il Padre di Schreber in compagnia di antiche divinità persiane, accompagnate da una folta schiera di numi gnostici che si nascondono tra le involuzioni del cervello umano.
Prima di entrare nel cuore esoterico del romanzo di Calasso, consideriamo brevemente le Memorie di Schreber. Nel 1893, a Lipsia, Daniel Paul Schreber, un uomo di mezza età, sposato e senza figli, soffre di insonnia aggravata dalla notizia che potrebbe diventare presidente della corte di Dresda. Una mattina, disteso sul divano, fantastica su come “dovesse essere davvero bello essere una donna che soggiace alla copula”. Questo pensiero, alieno alla sua educazione protestante, provoca una frattura nella sua psiche già tormentata dall’insonnia e da incubi che preannunciano il ritorno della sua ipocondria, per cui era stato curato dallo psichiatra Paul Emil Flechsig. Da quel momento, Schreber percepisce la propria mente e l’universo come vittime di un complotto cosmico concepito da emissari misteriosi, la cui identità scoprirà durante la sua detenzione in tre istituti psichiatrici, ultimo dei quali il castello di Sonnenstein.
Schreber si convince di essere una cavia, soggetta a un esperimento che mira a trasformarlo in donna attraverso l’inoculazione nel suo corpo di nervi femminili; il primo sospettato è proprio il dottor Flechsig, noto per sperimentare la castrazione come cura per la psicosi. Questa convinzione emerge dal dialogo incessante di Schreber con le voci che lo tormentano. Ateo da sempre, il giudice in prima battuta si abbandona alla fede in Dio per sfuggire ai disegni esecrabili del suo medico. Tuttavia, durante la seconda epoca sacra del suo delirio, abbandona l’idea di essere sostenuto da Dio nella sua battaglia contro Flechsig. Scopre invece che è Dio stesso la causa delle sue sofferenze: un fascio infinito di nervi che, ignorando il mondo e il vivente, si connette sessualmente con alcuni uomini “dai nervi sensibili”. È Dio ad aver suscitato in lui quel pensiero nel dormiveglia, con l’intento di trasformarlo e “fotterlo come una donna”.
Freud era solo un grande malato, solo un medico. Il medico e il paziente, il guaritore e il malato, una doppiezza che ha una storia antica.
Ma c’è di più. Sebbene le grandi religioni lo abbiano sempre descritto come un’unità indissolubile, Dio in persona è in realtà una dualità, “colui che è” è scisso: “si distingueva un dio inferiore (Ahriman) e un dio superiore (Ormuzd)”, il primo malvagio – almeno in apparenza – il secondo buono. Come comunicano a Schreber le sue voci, “la mirabile struttura” dell’ordine del mondo prevede che Ahriman e Ormuzd abbiano a che fare solo con cadaveri, essi sono preposti a setacciare con i loro raggi la materia morta per estrarne i nervi, purificarli, e infine annetterli ai “vestiboli del cielo”, una massa morbida che si trova nella zona anteriore del divino e in cui le anime dei morti così riassorbite accedono alla beatitudine eterna.
La particolare costituzione nervosa di Schreber ha fatto sì che i nervi divini di Ormuzd si incagliassero nel suo corpo in un travolgente effluvio di voluttuosità che rischia di assorbire il divino distogliendo così la sua attenzione dall’attività di riassorbimento delle anime. Affinché l’ordine del mondo venga ripristinato è dunque necessario che Schreber diventi una donna per poter partorire una nuova umanità. “Sarà l’avvenire a decidere se la mia teoria contiene più delirio di quanto io non vorrei, o se il delirio di Schreber contiene più verità di quanto altri oggi non siano disposti a credere”. Vergando questa frase in chiusura di Il caso Schreber, il suo studio sulla dementia praecox, Sigmund Freud si lascia sfuggire una confessione: esiste la possibilità che lo strizzacervelli sia più matto dei matti che dovrebbe curare. La diagnosi di Freud è che il delirio di Schreber, la sua paranoia, sia motivato da una latente omosessualità nei confronti del Padre, desiderio erotico che Schreber avrebbe proiettato sulla figura del suo psichiatra, doppio della figura paterna.
L’incontro testuale con il più “visionario di spiriti”, offrì a Freud l’occasione di specchiarsi e conoscersi attraverso il suo opposto. Calasso costruisce il suo romanzo partendo dalla chiusura del testo freudiano, per raccontare le peripezie ultraterrene del giudice tedesco, l’impuro folle, la cui follia se presa seriamente e intesa come una forma alternativa di conoscenza ci mostra la contiguità della psicoanalisi con i riti sacrificali antichi e del Moderno con la più lontana preistoria, quella in cui Homo e l’animale si separarono nel solco del colpa originaria: l’assassinio cruento per fame.
Per Rimbaud il poeta è il grande malato e il veggente. Per alcuni Schreber fu un poeta – per altri il frutto legittimo di un razionalismo empirico sfrenato – ma Freud? Freud era solo un grande malato, solo un medico. Il medico e il paziente, il guaritore e il malato, una doppiezza che ha una storia antica, iniziata perlomeno con l’ingresso di Parsifal, “il puro folle” a cui il titolo calassiano rimanda, il cavaliere di Artù, alla corte del Re pescatore, Amfortas, l’ultimo custode del sacro Graal e della lancia di Longino.
È l’ignoranza a rendere Parsifal idoneo ad accogliere la visione del Graal, la sua povertà spirituale è il nulla intravisto da Meister Eckhart e la mistica occidentale.
Fino all’epoca di Richard Wagner “folle” significava ingenuo, incosciente, selvatico e, anticipando il mito del buon selvaggio, Parsifal è più di ogni altro l’archetipo della virilità cristiana che contrappone fede e ragione. È l’ignoranza a rendere Parsifal idoneo ad accogliere la visione del Graal, la sua povertà spirituale è il nulla intravisto da Meister Eckhart e la mistica occidentale, l’assenza di credenze che predispone ad accogliere in sé la presenza di Cristo.
Parsifal prima di entrare alla corte di Artù era un giovane inselvatichito tenuto prigioniero dalla madre in un torre isolata tra i boschi. La prigionia era l’unico modo che la donna aveva trovato per impedire al figlio di incorrere nello stesso destino del padre e del figlio maggiore, cavalieri uccisi sul campo di battaglia. La vicenda della purezza e della follia di Parsifal oscilla nella presenza assenza della figura femminile. Parsifal è puro perché, ignorante delle cose del mondo, ha rifuggito naturalmente la sessualità e le sue tentazioni, a differenza di Amfortas, punito dal morbo sacro proprio perché ha ceduto alla seduzione del peccato originale. Il sesso è la lama che fende il mondo ed è nella sua bisessualità che Schreber come individuo storico è invece stato in grado di ricomporre la frattura rivelando “la malattia” della psicoanalisi freudiana che con i concetti di “invidia del pene” e “fobia della castrazione” ha reso la sua scienza inutile per la guarigione del malato.
In Le Nozze di Cadmo a Armonia leggiamo: “La copula, mixis, è ‘mescolanza’ col mondo”, “quando il divino cerca di toccare il mondo” il suo segno distintivo “è lo stupro” e ora, nel tempo che ha cancellato il sacrificio, “nella figura del ratto si fissa il rapporto canonico del divino col mondo”. Le divinità tornano nel loro luogo originario, la mente umana, essi incontrano l’uomo attraverso “l’invasione rapida e ossessiva, che recide il fiore della mente”. In una parola la follia, la malattia mentale. “Si danno due regimi dei rapporti fra gli dèi e gli uomini: la convivialità e lo stupro”, Schreber è lo scopritore moderno dell’intreccio tra sessualità e sacrificio, tra Eros e Thanatos, in anticipo sui tempi rispetto a Freud, che ne aveva dovuto riconosce la competenza in ambito psichiatrico come confessò a Jung in una lettera.
Sacrificare significa essenzialmente ‘unire ciò che è stato separato’.
Per Guénon, autore prediletto da Calasso, “il sacrificio riflette (e quindi inverte) il solve et coagula delle origini: ciò che nella creazione era stato diviso ora torna a riunirsi”, sacrificare significa essenzialmente “unire ciò che è stato separato”, rispetto all’uomo sacrificare vuol dire “riunire il suo ‘io’ al ‘Sé’”. È questo lo sfondo mitologico dell’esperienza vissuta da Schreber, “Di qui la coniunctio, la ierogamia, che si intreccia agli atti del sacrificio: fondamento rituale dell’intrecciarsi di Eros e Thanatos”. Il timore medievale per il sesso e il genere femminile, “la vulva come fogna diabolica”, discendono dal “sentore di carneficina che è l’aura del sesso”. Il sacrificio cruento rituale aveva la funzione tecnica di riportare alla coscienza degli uomini antichi la violenza originaria che incessantemente condanna a mangiare ed essere mangiati.
Una volta che l’istituzionalizzazione sacrificale è stata abolita, la violenza non è cessata così come non ha cessato di essere eseguito il sacrificio, solo che ora, nell’età dell’inconsistenza, tutto il mondo è diventato un’immensa officina sacrificale. Schreber diventa folle a cavallo dell’osceno scoperchiarsi del secolo ventesimo, alcuni frammenti del suo delirio presagiscono il massacro della grande guerra e dell’olocausto ma è nell’alba oscura della Romantik che il terreno del sacrificio totalitario senza rito iniziava già a fare capolino. “L’oscuro, l’impuro, l’incontrollato, il paesaggio, l’incongruo, il sonnambolico, il sentimentale, il presago, il passionale”, ecco le coordinate della “nuova terra sacrificale, dove di nuovo si incontra l’ebbrezza delle cose doppie, ogni volta vivificanti e distruttive, come un tempo era stato soltanto attorno al palo del sacrificio”. La Rovina di Kasch è caustica:
Ma nessuno ora potrà assumere il ruolo di officiante, né di sacrificante:
in mancanza di un rito, di un ordine, sussiste solo il ruolo della vittima, che vaga nella foresta, selvaggina di Rudra, in attesa delle sue frecce mortali”.
Per Calasso il Moderno è ciò che accade tra il Congresso di Vienna e il 1945, prima si dipana la storia antica in cui il dispositivo sacrificale si scinde in officiante e sacrificato, dopo la seconda guerra mondiale si entra nell’Innominabile attuale, tempo in cui i due soggetti del sacrificio si riuniscono nella figura della vittima, che ora può essere rappresentata da un’intera popolazione. Il nostro oggi regredisce nel più lontano passato.
L’Opera senza nome inizia il suo andamento narrativo proprio dal Moderno, e così aveva fatto L’Impuro folle, sia la Rovina di Kasch che il romanzo del ‘74 si muovono tra “gli ultimi anni dell’Ancien Régime e il sigillo della sua fine”. Così, per raccontare il Moderno, “il cronista poteva essere Talleyrand”, il protagonista della Rovina di Kasch, “marionettista semiclandestino”, l’abate libertino che manovrò il Congresso di Vienna, “o anche il Presidente Schreber, magistrato di Corte d’Appello rinchiuso in un manicomio germanico, Sonnenstein, Pietra del Sole, castello diviso in quattro ali, presso Pirna, in Sassonia”.
L’Ordine del Mondo, che in quella mattina si infranse a causa dei sogni di inversione sessuale di Schreber, era lo stesso Ordine di cui Talleyrand vide la rovina. Ordine del mondo, ṛta per i Veda, è un concetto che appare a pagina due di La Rovina di Kasch, connesso al Congresso di Vienna: “Ora (…) urgeva pur sempre risolvere una questione di famiglia che appunto al ṛta risaliva: legittimare come sua erede la legittimità”.
Il sacrificio aveva la funzione di riportare alla coscienza degli uomini antichi la violenza originaria che incessantemente condanna a mangiare ed essere mangiati
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Il Congresso, il palcoscenico su cui appare una nuova forma di potere spettacolare, con il pretesto di restaurare la Monarchia divina, riporta indietro nel tempo la civiltà occidentale, svelando l’arbitrarietà di ogni regalità, figlia legittima della conquista e della rapina. A Vienna, Metternich e Talleyrand, presentandosi come custodi dell’ordine sociale hanno in realtà agito come massimi sovvertitori di quell’ ordine che intendevano ripristinare. Talleyrand aveva compreso che il Moderno è il tempo anonimo in cui “Non è richiesto un ordine: è richiesto solo il moltiplicarsi continuo sino alla saturazione del tutto”.
Secondo Schreber l’Ordine del mondo era andato in frantumi a causa degli esperimenti sui suoi nervi condotti dallo psichiatra presso cui era in cura – operazione che Schreber definiva “assassinio dell’anima”. Si trattava di un peccato che andava contro le leggi della natura in quanto poneva i nervi di un individuo sotto il controllo di una volontà altra, mediante una connessione ‘nervosa’ illecita. Si tratta della preconizzazione della sorveglianza totale. Il controllo diventa diabolico quando non c’è più alcun burattinaio e i fili della marionetta continuano nonostante ciò a muovere ciò che deve essere mosso.
In origine il potere era diffuso in un luogo, aura e miasma. Poi si raccolse in Melchisedech, sacerdote e re. Poi si divise fra un sacerdote e un re. Poi si raccolse in un re. Poi si divise fra un re e una legge. Poi si raccolse nella legge. Poi la legge si divise in molte regole. Poi le regole si diffusero in ogni luogo.
Dall’unicità retta dell’Ordine del Mondo alla dualità instabile del Moderno, dal Canone alla Convenzione. I due poli che reggono la nostra esistenza, analogia e sostituzione, polo analogico e polo digitale, riproduzione e processo produttivo. Se L’Impuro Folle ricapitola i temi dell’Opera dal punto di vista della vittima sacrificale – Schreber – La Rovina di Kasch – il romanzo di Talleyrand e “di tutto il resto” – è la stessa storia ma dal punto di vista del burattinaio di anime. La Rovina “è il vivaio di tutta l’Opera”, come l’Impuro Folle lo è della cultura post-atomica.
La legittimità segna l’ingresso nel regno della quantità, dove l’Industria della produzione della potenza beneficia della Morte di Dio e dell’uccisione del Padre, facendo sì che la scena originaria del potere continui a ripetersi.
Talleyrand: colui che naviga attraverso le tempeste storiche mantenendo il controllo su se stesso e sui suoi obiettivi. Schreber: la sottomissione a forze più grandi di sé, la follia come risposta gnostica alle pressioni del grande meccanismo sociale. Talleyrand e Schreber possono essere visti come due poli opposti nella relazione tra potere e follia.
Erede della ṛta, la legittimità come pura convenzionalità segna l’ingresso nel regno della quantità, dove l’Industria della produzione della potenza beneficia della Morte di Dio e dell’uccisione del Padre, facendo sì che la scena originaria del potere continui a ripetersi, i figli divorano il padre che li divorava, la macchina trascina, nei suoi freddi intestini chiamati “processo”, la Natura e con essa l’umanità.
Nella figura di Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord Calasso ha visto se stesso, ed è forse nella predilezione di questo sapiente camaleonte politico che bisogna trovare la motivazione della dedica di Langendorf allo scrittore-editore. Come Talleyrand Calasso è riuscito a mantenere la rotta minoritaria della sua linea editoriale, così come la proprietà di Adelphi in un mercato sempre più incline a considerare i libri della merce, le storie dei dispositivi funzionanti.
Ma anche in Schreber c’è un frammento di quella sessualità libertina con cui Langendorf ha voluto ritrarre il Calasso reale. La trasformazione in donna di Schreber è rispecchiata nella scelta di Adelphi di pubblicare autori ‘sinistri’ in grado di fare cedere la mascolinità della cultura alta italiana. E ciò è stato fatto all’interno di un contesto culturale come quello dell’Italia degli anni ‘70, dove l’editoria alta si comportava come un padre e un padrone alzando steccati per proteggere i lettori dalle influenze deteriori della cultura nera mitteleuropea e tedesca.
Sul finire di Opera senza nome, Calasso lascia trasparire la segreta speranza di essere riuscito con la propria “Opera” a raggiungere la “primavoltità”, un neologismo coniato e trasmessogli da colui che lo iniziò alla letteratura quando era ancora ventenne: l’agente letterario triestino Roberto “Bobi” Bazlen.
La primavoltità è “la sobria constatazione che qualcosa non c’era prima”, Bazlen la utilizzava per nominare “il legame fra qualcosa che era successo e chi gli dava un nome”. Più era esiguo lo scarto temporale tra l’avvenimento e la nominazione, maggiore era l’esplosività della forza d’urto che qualificava l’esperienza di quella novità assoluta. Se dobbiamo tributare questo traguardo a Calasso ciò deve essere fatto in virtù del suo strenuo tentativo di saldare il legame tra letteratura ed esperienza iniziatica, tra scrittura e ascesi gnostica.
Nel primo caso si è trattato di portare la realtà presente del sacrificio alla coscienza dell’iniziato, il lettore; nel secondo di chiarire come non possa sussistere letteratura fuori dalla condanna senza se e senza ma di ogni presente, di ogni attualità che si ammanta delle vesti illusorie della tradizione per occultare il segreto della potenza: l’assassinio e l’uso indiscriminato degli esseri viventi.
Lo scrittore diventa così per Calasso “il rinunciante (sannyasin)” che “persegue la liberazione (moksa) dal mondo”, ma egli deve assumere le fattezze dello gnostico, che “condanna gli elementi del mondo (Stoicheia tou kosmou)”. Infine in esso deve scorrere l’antinomia del libertino che “usa spregiudicatamente il mondo” in maniera inversa rispetto all’anonima tecnica che lo “utilizza il mondo come suo materiale”. L’anonima tecnica infatti “crede in se stessa” mentre l’ortodossia dello gnostico libertino non è di questo mondo, tendendo alla primavoltità mostra un’altra via che conduce ad un’unità, non contaminata dal lezzo dei cadaveri.