C omprava una motocicletta in ogni città dove andava a vivere. In alcune città comprava anche casa. Quando aveva soldi li spendeva. 7.500 dollari in un solo giorno di vestiti, ho letto da qualche parte. 20.000 ne avrebbe dovuti spendere per la chemio quando ha scoperto di avere un tumore, per come va la sanità in America, ma si è rifiutata di spenderli, preferendo sciamani e nutrizionisti e poi morire in una clinica di Tijuana, in Messico, che è anche dove Sangue e viscere al liceo comincia. Quando è morta era il 1997, due anni prima che scoprissi che esisteva e che la leggessi per la prima volta.
Ho scoperto Kathy Acker alla fine degli anni Novanta, il 1999 per l’esattezza, avevo più di vent’anni ma non ancora trenta. Era un romanzo pubblicato in Italia dalla casa editrice Shake, il suo Don Chisciotte – il suo primo e per molto tempo l’unico a essere tradotto in italiano. Nemmeno mi ricordo come ci sia arrivata o perché lo abbia letto, né mi viene in mente qualcuno dei miei amici dell’epoca che possa avermelo consigliato, l’ho trovato e basta. Quello che ricordo è il modo in cui quel libro mi piaceva mentre lo leggevo, la sorpresa di trovarci dentro una versione più affine a me del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa e di altri romanzi letti, le possibilità che spalancava alle mie ambizioni creative o anche solo di lettrice, e la certezza che Acker sarebbe rimasta a lungo uno dei miei autori preferiti. Negli anni l’ho messa via per lunghi periodi, non ho mai letto tutti i suoi libri e le fanzine anche se ci ho provato (c’è sempre qualcosa di assolutamente indipendente o autoprodotto che ha scritto e che mi sfugge), ma penso a lei ogni volta che mi ritrovo a ragionare su quali siano i miei autori preferiti e i libri che fanno parte della mia educazione, ed è presente in ogni lista dei più amati con quel Don Chisciotte (sempre insieme all’altro Don Chisciotte, il primo, quello di Cervantes) e poi con Sangue e viscere al liceo, letto molti anni dopo in inglese e rivelatosi folgorante e diverso da tutto.
Alcuni fatti della sua vita
Di Acker esistono almeno un paio di ottime biografie che consiglio, una del 2017 di Chris Kraus dal titolo After Kathy Acker: A Literary Biography, e una più recente di Jason McBride che si chiama Eat Your Mind: The Radical Life and Work of Kathy Acker. Poco più di cinquant’anni di vita raccontati con la consapevolezza che è impossibile separare l’autrice dalla sua opera. (Scriveva il poeta Yeats: How can we know the dancer from the dance? E va da sé che non possiamo).
La sua scrittura all’inizio veniva considerata punk, poi postmoderna, ma entrambe le definizioni sono pretestuose, anche forzate, sicuramente strette per la grandezza e mutevolezza dell’opera di Acker.
Pescando a caso e non in ordine cronologico ecco alcuni fatti di opere e vita di Kathy Acker che ricordo a memoria: è nata a New York, poco chiaro se nel 1947, nel ‘48 o per alcuni (secondo i necrologi, incluso quello del New York Times) nel ‘44; il suo primo romanzo era a episodi, si chiamava The Childlike Life of the Black Tarantula: Some Lives of Murderess, era firmato con lo pseudonimo Black Tarantula, oltre a scriverlo lo pubblicava e distribuiva da sé, lo mandava per posta (le piaceva dire che il contrario della male art è la mail art, arte per corrispondenza contro arte maschile), ed è uscito in sei fascicoli tra il giugno e il settembre del 1973, Acker aveva più di vent’anni e non ancora trenta, poi è stato raccolto in un unico volume tascabile dalla copertina verde e con la foto in bianco nero di un tarantola, cercando nelle librerie d’arte e dell’usato di New York se ne trova ancora qualche copia; amava Burroughs ma amava soprattutto la sua opera, su cui ha scritto un breve saggio, William Burrough’s Realism, nel 1988 lo ha anche intervistato e l’intervista si trova integralmente su YouTube (vale la pena vederla), c’è anche una bella foto dei due che circola in rete che in realtà è un frame di un documentario (su Burroughs, A Man Within), nella foto sorridono entrambi, sono fuori in strada, lui ha il cappello, lei i capelli rasati quasi a zero, dietro di loro c’è un’automobile rossa, in un’altra intervista Acker lo cita dicendo: “ruba tutto quello che puoi”; a un certo punto della sua vita Kathy Acker ha abitato con Angela Davis, probabilmente è stato in Massachusetts, ai tempi dell’università; per Robert Mapplethorpe era una delle persone preferite da fotografare; Blood and Guts è uscito nel 1984 negli Stati Uniti per la casa editrice newyorchese Grove Press, e quasi contemporaneamente in Inghilterra per Picador.
Sangue e viscere al liceo
E adesso veniamo a Blood and Guts. Una delle cose più interessanti del libro è la voce della protagonista Janey, bambina e poi adolescente alle prese con molteplici e varie disgrazie ma anche capace di incontri leggendari (Jean Genet, verso la fine del libro). La voce di Janey è gospel ed è poema beat ed è punk e avanza nella trama tra personaggi vividi e dialoghi perfetti e si fa lei stessa romanzo. Janey è eroina ed è evento, è lei che fa accadere le cose, cosa non comune per la narrativa di finzione, così sempre controllata dagli autori.
È adulta ed è bambina. È contro gli uomini ed è con gli uomini. È contro le donne ed è estremamente donna. La sua presenza manipola quello che accade di cui al tempo stesso è vittima. Ce ne fossero di eroine di romanzi come lei. Acker sostiene di averla inventata esclusivamente per tenere insieme la trama, che per sommi capi è così: Janey Smith è una bambina di dieci anni che vive a Mérida, in Messico, e ha una relazione incestuosa con il padre che a un certo punto si innamora di una donna e così Janey decide di andare a vivere a New York. Quando il padre smette di mandarle i soldi, trova lavoro in una panetteria hipster. La seguiamo nei quattro anni successivi durante i quali, tra le altre cose, diventa dipendente dal sesso, resta due volte incinta, ha due aborti, si unisce a una gang, i ladri entrano a casa sua, la rapiscono e la vendono come prostituta e finisce in Persia, ma non si scoraggia e studia il persiano e scrive poesie e finisce per incontrare Jean Genet in Marocco e passa un pezzo di vita e di romanzo insieme a lui (conosce anche Jimmy Carter ma la cosa la entusiasma meno). Molti altri fatti accadono dentro il romanzo ma sostanzialmente quello a cui assistiamo è l’educazione sentimentale di Janey.
Va da sé che il libro solleva questioni di genere (e non solo) di cui ancora oggi si discute, e che variano a seconda delle mode e del momento. Interessante è come certe femministe abbiano accettato il romanzo solo dopo che gli è stata appiccicata sopra l’etichetta “postmoderno”. A dirlo è la stessa Acker nel bel documentario di Barbara Casper, Who’s Afraid of Kathy Acker? Uno dei momenti migliori del documentario è quando in un dibattito televisivo della BBC, e in assenza di Acker, la leggendaria politica laburista Barbara Castle la difende a oltranza dalle critiche del giornalista e scrittore Andrew Wilson, e nel difenderla dice: “Forse l’evoluzione letteraria dell’umanità non finisce con Shakespeare”.
Infine un commento
Di Kathy Acker va detto che ha iniziato più di una generazione di scrittori, o più in generale di artisti, alla scrittura e all’arte come possibilità di esprimere il disordine interiore. Con lei non si tratta tanto di mettere ordine, di trovare una cronologia univoca, di dare una forma precisa e riconoscibile, quanto di trasformare in materia e immagine qualsivoglia emozione, anche quando l’emozione è in divenire. La sua scrittura all’inizio veniva considerata punk, poi postmoderna, ma entrambe le definizioni sono pretestuose, anche forzate, sicuramente strette per la grandezza e mutevolezza dell’opera di Acker. A volte è stata censurata (Blood and Guts in Germania) da censori che nemmeno capivano la trama dei suoi romanzi, altre volte accusata di plagio laddove il suo copiare da altri è sempre stato intenzionale e dichiarato, parte del processo creativo che fa dei suoi libri un fatto abbastanza unico nella storia della letteratura americana, l’equivalente del campionare suoni che nella musica ha permesso la nascita di assoluti capolavori. “Quando scrivo devo usare altri testi”, ha detto Acker in un’intervista rilasciata tra il 1989 e il 1990 al critico, amico e amante Sylvère Lotringer. “Uso gli scrittori soprattutto perché voglio imparare da loro, e c’è sempre da imparare”.
Più che un insieme di scritti, la sua opera è una possibile educazione sentimentale, ed è un’educazione sentimentale condivisa, che coinvolge Acker, i suoi personaggi, i suoi lettori.
Più che un insieme di scritti, la sua opera è una possibile educazione sentimentale, ed è un’educazione sentimentale condivisa, che coinvolge Acker, i suoi personaggi (la Janey di Blood and Guts tra gli altri), i suoi lettori. In ogni suo libro riesce pienamente in quello che Jack Kerouac definiva in un suo saggio lo shock emotivo, ovvero la capacità dello scrittore di catturare l’emozione sulla pagina così che il lettore possa provarla leggendola. L’operazione è anche involontaria, dal momento che per Acker la scrittura è un modo per dire cose che non riuscirebbe a esprimere altrimenti, dichiarazioni d’amore o di guerra, incubi e sogni, e forse è anche un modo per spostare un po’ più in là i limiti del desiderio, per desiderare tutto e contemporaneamente. Come quando proprio alla fine del libro, dopo che Janey è morta e abbiamo (noi lettori) passato un po’ di tempo davanti alla sua tomba, Acker scrive che di lì a poco sono nate molte altre Janey e queste Janey hanno ricoperto il pianeta. Che è un modo per dire che la morte è questa cosa qui. Ed è un modo per dire che la vita è questa cosa qui. Ma vita e morte sono anche tutto il resto.
Estratto dalla prefazione a Sangue e viscere al liceo di Kathy Acker (LiberAria Editrice, traduzione di Claudia Durastanti, 2023).