I
l primo insegnamento di Vladimir Nabokov – appena entrato nella sua classe a Cornell, Ithaca, per iniziare le sue lezioni – è un filosofico invito a diventare buoni lettori dimenticando il mondo intero e quello che crediamo ci possa insegnare sui libri elencati in programma:
Nulla è più noioso o più ingiusto nei confronti dell’autore dell’incominciare a leggere, diciamo, Madame Bovary partendo dall’idea preconcetta che sia una denuncia della borghesia. Non dovremmo mai dimenticare che l’opera d’arte è sempre la creazione di un mondo nuovo […] Una volta studiato attentamente quel mondo nuovo, allora, e allora soltanto, potremo passare a esaminarne i legami con altri mondi, con altri settori della conoscenza.
Le Lezioni di letteratura di Nabokov, finalmente ripubblicate da Adelphi dopo una lunga assenza dall’Italia, sono esercizi di ricostruzione pezzo per pezzo di quella creazione secondaria che è l’opera d’arte narrativa. Perciò il docente non parla di teoria, ma accompagna gli studenti nella lettura di opere di Jane Austen, Charles Dickens, Gustave Flaubert, Robert Stevenson, Marcel Proust, Franz Kafka e James Joyce, con importanti intermezzi su Nikolai Gogol e Lev Tolstoj, e ribadisce ogni volta che ciascuna di queste non va intesa come uno specchio dei costumi e della società del tempo, o delle ossessioni psicologiche dell’autore, poiché ciò la priverebbe di quel che ha di essenziale.
A questo proposito, cinque dei sette capolavori esaminati da Nabokov sono tipicamente considerati romanzi realistici. A sgombrare i possibili equivoci suscitati da quella che chiama sempre la “cosiddetta realtà” (ancora filosofia), o da “quei personaggi farseschi e fraudolenti che si chiamano Fatti”, Nabokov enuncia sùbito il postulato della sua idea di creazione artistica, per cui “la letteratura è invenzione”:
La letteratura non è nata il giorno in cui un ragazzino corse via dalla valle di Neanderthal inseguito da un grande lupo grigio, gridando «Al lupo, al lupo»: è nata il giorno in cui un ragazzino, correndo, gridò «Al lupo, al lupo» senza avere nessun lupo alle calcagna.
Sbrigati i preliminari si comincia con i testi, e il puntuale commento (la copia di Nabokov è sempre fittamente annotata, come documentano le molte illustrazioni incluse nell’edizione italiana). L’attenzione dello studente è chiamata a concentrarsi sugli elementi – parole e immagini – e sulle tecniche di composizione del mondo fittizio, mentre manca del tutto qualsiasi concessione all’“interesse umano” che in prima istanza i libri sembrerebbero ispirare, come l’apprendimento di lezioni storiche o sociali, o l’approfondimento di dinamiche psicologiche. L’immedesimazione nei personaggi è bocciata come una pratica immatura: dal lettore l’esoterico professore russo pretende un diverso percorso di apprendistato, prima che questi possa tornare a interrogarsi sul valore dell’opera per la propria vita e – come vedremo alla fine – accorgersi di aver ricevuto il dono più grande.
Viene in mente l’aneddoto narrato da Paul Válery su Degas che si lamentava con Mallarmé di non riuscire a scrivere poesie pur avendo “molte idee”, a cui il poeta avrebbe riposto: “Ma mio caro Degas, le poesie non si scrivono con le idee, ma con le parole”. A un primo sguardo, l’insistenza sui dettagli può sembrare un formalismo vagamente lezioso, ascetico, e pare che non mancassero le risatine degli studenti sconcertati. Come?! Noi vogliamo capire Madame Bovary, e questo si preoccupa dell’acconciatura di Emma e della decorazione della sua torta nuziale? Vogliamo capire Il Dottor Jeckyll e Mister Hyde e La metamorfosi, e questo presenta disegnini per ricostruire le planimetrie degli ambienti? Vogliamo decifrare le allegorie di un’opera come l’Ulisse e lui si diverte a ricomporre la sincronizzazione delle scene? Soffermandosi sulla lettera del testo Nabokov, imperturbabile, non faceva che aderire alla “fede nella verità del linguaggio” di Flaubert, per usare l’espressione di Erich Auerbach, altro emigrato che pochi anni prima, nel suo capolavoro Mimesis, aveva tentato un lavoro sullo stile per molti aspetti affine, benché eseguito con strumenti diversissimi. Flaubert occupa il baricentro dell’opera, con la sua cura per la selezione lessicale, per il montaggio, per l’ironia, e la tesi che “una frase in prosa veramente bella dovrebbe essere come un bel verso di poesia”.
Facciamo degli esempi, cominciando dagli elementi di stile. A proposito della prosa di Jane Austen in Mansfield Park veniamo introdotti alla “mossa del cavallo”, una tecnica con cui l’autrice effettua “un improvviso scarto obliquo sulla scacchiera delle emozioni alterne di Fanny”, la sua protagonista. A proposito di Flaubert incontriamo il “punto e virgola–e” (cioè «; e…») che l’autore usa “dopo un elenco di azioni, di stati d’animo o di oggetti”, e che produce un particolare effetto ritmico per chiudere il periodo. Attrezzato con definizioni come queste il lettore è guidato a osservarne le occorrenze in numerosi passi. Con questo metodo Nabokov, che era non a caso un appassionato entomologo, ci aiuta a classificare i diversi tratti che caratterizzano inconfondibilmente ciascun grande autore.
Talvolta si tratta di invenzioni che hanno rivoluzionato la tecnica narrativa (anche al di fuori della letteratura). Pensiamo al metodo del contrappunto di Flaubert, “ovvero la tecnica di spezzare con interruzioni e inserimenti paralleli due o più conversazioni o flussi di pensiero”. Allo “svolgimento graduale di un’immagine” mediante un accumulo di metafore in Proust. Alla sincronizzazione di Joyce, per cui personaggi e oggetti marginali, come un opuscolo religioso che scivola sul fiume di Dublino, fungono da marcatori per stabilire la simultaneità o la successione di scene che incontriamo in capitoli diversi del libro. E naturalmente al flusso di coscienza, di cui Nabokov sottolinea la non verosimiglianza rispetto a come effettivamente procede il pensiero.
Agli elementi di stile si accostano e spesso si intrecciano i temi. Si tratta di motivi di contenuto, o anche immagini ricorrenti, fili nascosti che Nabokov estrae dalla successione dell’intreccio. Esempi: il “tema della fantasticherìa” in Madame Bovary; il “tema dell’uomo con l’impermeabile” in Ulisse (un personaggio misterioso che Nabokov identifica con lo stesso Joyce). Nabokov predilige temi e effetti che rompono la successione narrativa e ne mostrano l’intima unità tematica, che esiste in una sorta di simultaneità. Basta anche solo una tinta di colore: come il “violetto che attraversa tutto il libro, il colore del tempo” in Proust.
Nabokov offre poi rilievi critici sulla traduzione di determinate parole, elenchi, tentativi di cronologie, mappe, e altri strumenti per ricostruire il più fedelmente possibile il mondo fittizio. Il lettore che corre subito verso i simboli viene tirato per la giacca e interrogato con domande come: in che misura il male e il bene si distribuirebbero tra Jeckyll e Hyde? (seguono analogie chimiche e schemi). In quale animale esattamente si trasforma Gregor Samsa? (NON uno scarafaggio!) E così via, con precisione scientifica.
A questo punto possiamo tornare al secco rifiuto nabokoviano dell’ermeneutica dei “maestri del sospetto” Marx e Freud. Come fa praticamente in tutti i suoi scritti critici Nabokov non perde occasione di ribadire il suo disprezzo per le letture psicoanalitiche. (Piccolo florilegio: Freud è “il ciarlatano medievale [che] avrebbe molto da dire” sulla scena in cui l’amante Rodolphe si china su Emma Bovary per aiutarla a cercare un frustino, e quando il frustino ricompare come dono “ridacchia nell’ombra”; i freudiani sono “una setta”; a proposito del simbolismo in Kafka vanno respinti “i miti che i mitologi sessuali gli attribuiscono con la regia dello stregone viennese”.) Bene, ma perché la letteratura c’interesserebbe così tanto?
Per Nabokov l’intera realtà si scompone in una trama di punti di vista soggettivi sospesi su un affascinante abisso metafisico. Ciò potrebbe far pensare che egli semplicemente si disinteressi delle passioni individuali e della storia, ma questo è chiaramente falso: basti pensare alla centralità nelle sue opere della passione erotica (es. Lolita), di sogno e follia (es. Fuoco pallido), e ai suoi straordinari romanzi ambientati in immaginari regimi totalitari (Invito a una decapitazione e Un mondo sinistro). Il punto sta nella battaglia contro il fraintendimento come forma di violenza, che è tema ricorrente in ogni opera del Nabokov scrittore: in Un mondo sinistro, per esempio, lo Stato totalitario non è malvagio e diabolico, ma si fonda su una genuina e benintenzionata stupidità, come quando i funzionari, parlando con il professor Krug a cui per errore è stato fatto uccidere il figlioletto, si vantano delle sale di tortura “completamente ammodernate” in cui saranno puniti i responsabili. L’ironia e lo scherno che il Nabokov critico rivolge alla psicoanalisi (a un Freud comunque caricaturale, modellato su alcune ipotesi infelici e su una schiera di epigoni) sono le stesse che, esule dalla Russia comunista e poi dalla Germania nazista, rivolge ai sostenitori dell’arte come veicolo di idee politiche: la risata è opposta alle teorie che riducono la bellezza a un significato predefinito, e così la neutralizzano, strappandoci un bene che a ben vedere risulta invece inalienabile.
L’adepto che avrà avuto la pazienza di seguire Nabokov fino al termine del corso sarà ricompensato di ogni fatica nel capitolo finale, “Arte della letteratura e senso comune”, un gioiello in cui si trovano miniaturizzate in ogni dettaglio tutta la poetica e la filosofia del grande scrittore. Il tema è il valore della creazione poetica rispetto all’ingannevole ragionevolezza del senso comune, o buonsenso:
Il senso comune ha calpestato numerosi geni garbati i cui occhi avevano gioito del precoce raggio lunare di qualche precoce verità; il senso comune ha scalciato fango sul più incantevole dei dipinti bizzarri perché un albero azzurro sembrava una pazzia al suo zoccolo benintenzionato; il senso comune ha spinto nazioni abiette ma forti a schiacciare i propri vicini onesti ma fragili nel momento in cui un varco nella storia ha offerto loro un’occasione che sarebbe stato assurdo non sfruttare.
La creazione artistica, da questo punto di vista, è una forma di irrazionalità che in modo esemplare permette all’individuo di opporsi alla presunta ragionevolezza del senso comune dominante, affermando la “supremazia del particolare sull’universale”. Solo dalla contemplazione del particolare, infatti, può nascere quella viva esperienza della creazione artistica (poi condivisa dal lettore) che Nabokov, in passaggi che ricordano il pensiero di Bergson, chiama “una vibrante sensazione di esaltata magia”, “una sorta di resurrezione interiore”, un’”esplosione stellare della mente”. In questo sguardo magico e infantile sui particolari Nabokov trova la chiave per accedere a una fondamentale bontà del mondo anche in un’epoca di terribili dittature:
In un certo senso, tutti noi stiamo precipitando verso la morte, dal piano più alto della nostra nascita giù fino alle lastre del cimitero e, insieme con un’immortale Alice nel paese delle meraviglie, guardiamo incuriositi i particolari del muro che ci sfila davanti. La capacità di incuriosirci davanti a cose di poco conto – incuranti del pericolo incombente –, questi «a parte» dello spirito, queste note a piè di pagina nel volume della vita sono le espressioni più sublimi della consapevolezza, ed è in questa disposizione mentale fanciullesca e speculativa, tanto diversa dal senso comune e dalle sue logiche, che sappiamo che il mondo è buono.
Questa conclusione etica è strettamente legata a quel che Nabokov ha appena offerto agli studenti, e cioè la spiegazione dei “meccanismi di quei giocattoli meravigliosi che sono i capolavori della letteratura”. Si tratta di un “lusso, puro e semplice”, privo di applicazioni, ma in quei giocattoli c’è “il meglio della vita”: “faccio tanto di cappello a colui che si lancia dentro un edificio in fiamme per salvare il figlio del vicino; ma gli stringo la mano se ha rischiato di sprecare cinque secondi preziosi per trovare e mettere in salvo, insieme col bambino, il suo giocattolo preferito”.