P uò essere sconvolgente rendersi conto, all’improvviso, che qualcosa a cui non avevi mai pensato – qualcosa che avevi sempre accettato come reale – è solo un articolo di fede. Spesso è il linguaggio a far accendere la lampadina: qualcuno ridefinisce la realtà con una nuova parola (mansplaining, Rebecca Solnit) o mostrando i poteri nascosti e le interconnessioni di una parola antica (debito, David Graeber). Raramente la rivelazione riguarda il linguaggio in sé.
Tra tutti i dogmi dell’antichità classica, solo la grammatica non ha perso terreno. La geometria Euclidea, l’astronomia Tolemaica, la medicina Galenica, la legge Romana, la dottrina Cristiana – tutte sono state radicalmente smantellate dalle Scuole. Ma ancora oggi, la grammatica Alessandrina continua a regnare.
La citazione è di Eugen Rosenstock-Huessy (1888–1973), un teorico del Cristianesimo dell’età moderna molto particolare. (Tutte le traduzioni sono dal volume The Language of the Human Race: An Incarnate Grammar in Four Parts [Die Sprache des Menschengeschlechts: Eine leibhafte Grammatik in vier Teilen].) Rosenstock-Huessy ha ispirato alcuni connoisseur, tra cui W. H. Auden e Peter Sloterdijk, ma possiamo dire in tutta tranquillità che è ancora poco conosciuto. È difficile capire cosa pensare di lui. Di sicuro trovo fastidiosa la palese importanza della nascita di Cristo – o della Missione Divina – che inserisce regolarmente nei suoi ragionamenti filosofici. (Auden: “Chi lo legge per la prima volta può trovare, come è capitato a me, certi aspetti della sua scrittura un po’ difficili da accettare… Per quanto mi riguarda, posso solo dire che ascoltando Rosenstock-Huessy, io sono cambiato”). Il dogma grammaticale a cui fa riferimento – e contro cui si è battuto a morte in un libro di oltre 1.900 pagine – è la lista all’apparenza innocente che risale ai Greci: la prima persona, la seconda persona, la terza persona. Io amo, tu ami, egli ama, o, se avete studiato Latino, amo, amas, amat.
“Tutti impariamo le lingue seguendo quelle liste. Cosa possono avere di tanto significativo? …Nell’ordine Alessandrino, ogni persona è soggetta alla stessa trafila. Ogni persona sembra parlare allo stesso modo. Da qui ha origine l’errore fatale. Tanta della nostra confusione sui rapporti sociali e tanta della nostra ignoranza sul linguaggio può derivare direttamente da questo singolo errore. Mettere in fila amo, amas, amat, amamus, ecc, dà adito all’impressione che tutti questi “giudizi” possano e debbano essere trattati con lo stesso significato interpersonale. L’effetto, su chiunque impari questa sequenza, è l’idea che ogni frase all’indicativo sia pronunciata con lo stesso livello di “passione”. La mia rivendicazione è che amat e amo e amas sono agli antipodi, da un punto di vista sociale, e che quindi non debbano essere insegnati come simili. La lista Alessandrina non è affidabile.”
Non sta dicendo che dovremmo aggiungere una forma per la “quarta persona”, come per esempio la distinzione tra terze persone in Ojibwe, oppure una “persona zero” per le costruzioni impersonali come in Finlandese. Sta dicendo che rendere “io” la prima persona è il peccato originale non solo della linguistica, ma della filosofia, della scienza e della stessa vita sociale. E lo intende davvero. Teoricamente, appiattisce l’esperienza vissuta in resoconti freddi e asettici, assimilando tutto all’“affermazione” di un “dato” in terza persona che non richiede alcun coraggio personale, non ha alcuna rilevanza sociale.
Amat è pronunciato come un fatto, senza nessun coinvolgimento interiore. Dà delle informazioni su qualcosa. Amo e amas, al contrario, non possono essere pronunciati senza conseguenze sociali importanti. Amo è un’ammissione, confessa un segreto. Amas dichiara qualcosa. Entrambi presuppongono passione, e quindi dobbiamo studiare che cosa significano passione ed enfasi in quanto elementi sociali della grammatica.
Empiricamente, la lista Greca commette un errore: la “prima persona” infatti non arriva per prima. L’io di un bambino si sviluppa quando gli viene rivolta la parola, da un genitore o da un’altra persona che si prende cura di lui. Qualcuno deve dire “tu” nel modo giusto perché un “io” non folle possa di fatto esistere. (Vedi Neither Sun Nor Death di Peter Sloterdijk, p. 30, dove ho sentito parlare di Rosenstock-Huessy per la prima volta). Dal punto di vista psicologico, neurocognitivo e dello sviluppo, “io” è l’ultima persona. Sei un bravo bambino. La bottiglia è lì. Ho fame.
“Tutte le nostre esperienze insegnano esattamente l’opposto di questa dottrina greca rispetto al primato dell’“io” individuale! Il bambino inizia a definirsi gradualmente come un essere indipendente in seguito alle migliaia di attenzioni e impressioni e influssi che lo avvolgono, lo circondano, lo premono da ogni parte. La prima cosa che scopre è di non essere il mondo, né la madre o il padre, né Dio, ma qualcosa d’altro. La prima cosa che succede a ogni bambino, a ogni persona, è che gli o le si rivolge la parola: gli si sorride, gli si domanda qualcosa, gli si dà qualcosa, si culla, si conforta, si punisce, si nutre. Il bambino è prima un Tu per un essere esterno potente, soprattutto i genitori… Sentire che esistiamo per gli altri, che vogliono qualcosa da noi, precede qualsiasi affermazione che noi siamo noi o qualsiasi affermazione di che cosa siamo. Ricevere ordini ed essere giudicati dall’esterno è quello che ci dà consapevolezza di noi stessi.”
È questa la rivelazione che mi ha tanto colpito. La prima persona non è la prima. Non esiste nessuna lista, a parte quelle che inventiamo. Che aspetto avrebbe il mondo se potessi vedere al di fuori di questo schema? Se prima venisse un legame tanto forte da darti l’autorità di giudicare l’esperienza di qualcun altro – tu ami, tu hai fame, sei carino oggi, ti stai comportando male – e poi venisse una visione condivisa del mondo, e solo successivamente un’espressione di sé? L’idea Cartesiana, “penso dunque sono”, e tutte le distinzioni tra mente/corpo/io/altro avrebbero potuto non emergere mai se Cartesio non fosse stato indottrinato con l’idea che “io” viene per primo. Esistono romanzi in prima e in terza persona, ma la seconda è un’anomalia, proprio come nella vita reale non possiamo prenderci la libertà di parlare per una seconda persona come faremmo di noi stessi in quest’era dell’espressione di sé. Quanto altro ancora della natura del romanzo, e della percezione della mia vita, risale essenzialmente alla grammatica greca di duemila anni fa?
Nella nostra società moderna, amo e amas sono trattati alla stregua di semplici affermazioni come amat. E la spudoratezza della psicologia, delle classificazioni sociali, della tirannia dei fisici e degli analisti, sono alcuni dei risultati di questa mancanza di saggezza e autorità nello schema grammaticale. Ognuno è portato a pensare a se stesso o se stessa come parte di una sequenza di fatti, come se lui o lei fossero una Terza Persona.
Vale la pena notare che scrisse questi pensieri sulla tirannia nel 1945. E che l’uso del “lui o lei”, ben avanti sui tempi, è suo.
“Questo fa poggiare i rapporti umani su una falsa base, una base obiettiva, che li svilisce. Perché parliamo in modo obiettivo di chi è assente e quindi non arrossirà per quello che diciamo o non si arrabbierà o in ogni caso non dovrà stare ad ascoltare. I rapporti umani prosperano quando possiamo conservare un legame segreto e un desiderio intimo di ascoltare. I rapporti umani muoiono quando tutte le nostre affermazioni si riducono a un semplice dato di fatto. Perché a quel punto ci stiamo solo insultando l’un l’altro. L’esercito, le fabbriche, le scuole, gli ospedali – insultano così spesso.”
Rosenstock-Huessy fa risalire tutto a questo peccato, dai conflitti con l’autorità a scuola alla schizofrenia, e avanza delle rivendicazioni impressionanti per un proprio “metodo grammaticale” che riconfiguri il linguaggio. Come dicevo, non so cosa pensare al riguardo. Ma è qui, presentato per voi sotto forma di paragrafi alternati da me e da lui. Voi siete la prima persona. Fatene quello che volete.
“Possiamo studiare la grammatica avanzata così come si studia la matematica avanzata. Quando ancora bruciavamo le streghe sul rogo, la matematica avanzata ci ha guariti illuminando l’universo in modo così completo da non lasciare più spazio alle streghe. La matematica avanzata, abbracciando l’infinito, ci ha permesso di carpire i segreti della massa e dell’energia, del tempo naturale e dello spazio. Il mondo non è più magico e stregato. Il suo ordine atomico è diventato trasparente, con l’aiuto della matematica avanzata. Una grammatica avanzata, che si occupi del tipo di enfasi che il discorso pone sulle nostre parole e sulle nostre azioni, ci permetterebbe di carpire i segreti dei movimenti sociali, delle masse e degli individui, delle patologie e della guarigione della vita politica. La grammatica base ha degradato il linguaggio fino a renderlo uno strumento arbitrario dello spirito umano; la grammatica avanzata lo aggiusterà.”
Traduzione di Alessandra Castellazzi. Si ringraziano l’autore e The Paris Review per la pubblicazione dell’articolo.