N el 1993 a Bow, East London, appare House, un’opera d’arte dell’artista inglese Rachel Whiteread che consiste in un calco in cemento armato dell’interno di un appartamento che il council di Bow aveva destinato alla demolizione e che Whiteread, dopo numerose ed estenuanti negoziazioni (fra cui cercare di convincere l’ultimo locatario resistente alla sfratto ad andarsene) era riuscita ad avere “in prestito” prima dell’effettivo smantellamento.
L’idea di House era nata sulla scia di un’opera precedente, Ghost, un calco in gesso di un piccolo monolocale situato a North London, esposta due anni prima nella non lontana Chisenhale Gallery. L’impatto emotivo di Ghost era stato così forte da spingere Whiteread a cercare di replicarlo, questa volta utilizzando una casa intera e il cemento armato. Così era nata House, un’installazione scultorea visitabile per tre mesi: imponente, massiccia, destinata a essere rasa al suolo e a sopravvivere solo nella forma della sua documentazione.
Se racconto questa breve storia non è per parlare del lavoro di Whiteread, della sua fisicità e impermanenza, del suo valore politico e intimo, ma perché leggendo In the Dream House di Carmen Maria Machado, pubblicato in questi giorni da Codice Edizioni (Nella casa dei tuoi sogni, trad. Monica Capuani) non sono riuscita a smettere di pensare che tra Ghost, House e il libro di Machado ci sia una sottile, forse invisibile quanto delicata corrispondenza. Sarà l’eco delle parole, sarà il legame tra casa, apparizione e calco che rimanda a quello tra esperienza, memoria, autobiografia. Sarà forse il cemento armato che registra con violenza lo spazio vuoto della casa come la violenza psicologica riempie e si imprime nella memoria di un amore. Qualunque sia la ragione, certo è che leggendo Nella casa dei tuoi sogni mi sono trovata più volte a pensare che quel che avevo tra le mani fosse una colata di cemento armato indurita, la forma tangibile di una storia largamente invisibile. L’impronta di un’esperienza, un positivo finalmente liberato, da esporre e forse anche da distruggere.
Nella casa dei tuoi sogni è il racconto di un innamoramento, di una passione e di una dominazione psicologica. Machado, come già aveva fatto con la raccolta Il suo corpo e altre feste, sperimenta con le forme narrative e mette insieme un memoir formato da numerosi brevi capitoli i cui titoli sono variazioni su un tema: “La casa dei tuoi sogni come Prologo”, “La casa dei tuoi sogni come Palazzo della Memoria”, “La casa dei tuoi sogni come Possessione Demoniaca”, “La casa dei tuoi sogni come Romanzo pulp lesbico, “La casa dei tuoi sogni come Utopia”, “La casa dei tuoi sogni come Ultime Parole Famose” e via dicendo. Letti in successione i capitoli raccontano cronologicamente lo svilupparsi della storia e allo stesso tempo creano delle pause di respiro in cui riflettere sull’invisibilità della violenza psicologica nelle relazioni di coppia, in particolare in quelle tra donne, dove all’invisibilità della violenza si aggiunge anche quella dell’amore tra donne. La chiave di lettura del libro si trova nel capitolo “La casa dei tuoi sogni come Non una metafora”, in cui si legge:
Hai sentito parlare della casa dei miei sogni, immagino. Come sai,
è un luogo reale. […] È reale come il libro che hai in mano, anche se fa decisamente meno paura. Se volessi, potrei darti l’indirizzo, e potresti andarci in macchina e stare seduta davanti a quella casa dei miei sogni a cercare di immaginare le cose che sono successe lì dentro. Io non te lo consiglio. Ma puoi farlo. Nessuno te lo impedisce.
Si tratta della chiave di lettura proprio perché la Casa dei Sogni è prima di tutto una metafora e bisogna saper leggere tra le righe, nel negativo di ogni affermazione, per trovare il rilievo di ciò a cui ogni dichiarazione allude. Come con la memoria, le fotografie o gli archivi, quello che si vede e si salva non è che un frammento di un’immagine o di una storia più grande, la cui totalità si trova nell’insieme complementare di quel che si è salvato e quel che si è omesso, scartato o distrutto. Quel che è stato inserito o escluso dall’archivio – la cui etimologia, Machado fa notare sulla scia di Derrida, deriva dal greco άρχεϊον (la “casa di chi regna”) – è però il risultato di un “atto politico, dettato dall’archivista e dal contesto politico in cui vive”. Proprio per questo il silenzio dell’archivio può a sua volta essere un atto di violenza: sradica esistenze, crea “lacune in cui ci sono persone sempre invisibili e che non trovano informazioni su di sé. Buchi che rendono impossibile attribuirsi un contesto. Crepe che inghiottono tanta gente. Silenzio impenetrabile”.
Proprio come il calco di Whiteread, allora, il memoir di Machado, pieno di ironia e dolore, cerca di dare forma tangibile a un’esperienza reale, altrimenti invisibile, che è quella dell’abuso domestico, e di riempire le crepe, i buchi e le lacune della memoria offrendo una narrazione quanto più aderente e completa dell’esperienza.
Io inserisco nell’archivio il fatto che l’abuso domestico tra partner che condividono un’identit
à di genere è possibile e non insolito […]. Io parlo dentro il silenzio. Getto la pietra della mia storia dentro un immenso crepaccio. E il rumore esiguo che rimanda mi dà la misura del vuoto.
La Casa dei Sogni è lo spazio in cui si è perpetrata la violenza. Una violenza “inconsistente” e “autoinflitta”, come sostiene la retorica comune che ritiene che da una relazione di dominazione ci si possa sempre liberare, se si vuole. Una violenza resa ancora più tragica da questa retorica e che Machado espone dettagliatamente attraverso la propria esperienza personale, ma anche citando quella di altre donne (Eleanor Roosevelt e Lorena Hickok, ad esempio), non omettendo allo stesso tempo di sottolineare, attraverso l’apporto di studi e riferimenti bibliografici, come questo abuso sia ancor più invisibile all’interno del mondo queer.
L’abuso sulle donne esiste sicuramente da quando gli esseri umani sono stati capaci di manipolazione psicologica e violenza interpersonale, ma come concetto dal significato condiviso l’abuso – e la donna – non sono esistiti fino a circa cinquant’anni fa. Il discorso sull’abuso domestico all’interno delle comunit
à queer è perfino più recente, e perfino più in ombra. Se consideriamo le forme che la violenza intima assume oggi, ogni nuovo concetto – la vittima uomo, il carnefice donna, i queer abusanti e i queer abusati – si rivela come l’ennesimo fantasma [nda. sottolineatura dell’autrice] che c’è sempre stato, a infestare la casa di chi regna.
Cos’è allora La Casa dei Sogni? La Casa dei Sogni è il libro che teniamo tra le mani, un contro-archivio, un libro pieno di stanze. È la casa in cui Carmen si è nascosta in bagno per proteggersi dalle urla della compagna abusiva, ma anche quella che riesce finalmente a costruire con una nuova compagna. È il cemento armato di Rachel Whitehead e allo stesso tempo la facciata smantellata della casa dopo la colata, è costruzione e distruzione, è un processo di guarigione, è il fantasma di un luogo e di un tempo da cui ci si è allontanati e che si può osservare a distanza senza esserne imprigionati, è il “fantasma che infesta la casa di chi regna”, il fantasma della memoria, è l’ingombro di un passato che non smette di far soffrire. È un atto di resurrezione.
Il memoir, in fondo,
è un atto di resurrezione. Chi scrive un memoir ricrea il passato, ricostruisce un dialogo. Evoca un significato da eventi che per lungo tempo sono rimasti dormienti. Impasta tra loro le argille della memoria, del saggio, dei dati di fatto e della percezione, le riduce a una palla e la appiattisce come una sfoglia. Manipola il tempo, resuscita i morti.