“S ono una scrittrice senza soldi che ama i libri d’antiquariato, ma da queste parti è impossibile reperire le opere che desidererei avere se non in edizioni molto costose e rare, o in copie scolastiche, sudice e scribacchiate, della Libreria Barnes & Noble.” Così, il 5 ottobre del 1949, Helene Hanff inaugurava uno scambio di lettere che nel giro di vent’anni sarebbe diventato uno dei bestseller più inaspettati di sempre. Uscito nel 1970 negli Stati Uniti e pubblicato in Italia da Archinto (nella traduzione di Marina Premoli), 84, Charing Cross Road raccoglie il lungo carteggio tra Hanff, al tempo giovane autrice spiantata di New York, e Frank Dohl, professionale e riservato responsabile della Libreria antiquaria Mark’s & Co di Londra.
Siamo nell’immediato dopoguerra, in Inghilterra il valore della sterlina è crollato, dall’altra parte dell’Atlantico le cose vanno decisamente meglio, ma Hanff fatica a tirare a fine mese: la combinazione delle due cose fa sì che l’autrice newyorchese preferisca affidarsi a una piccola libreria d’oltreoceano piuttosto che uscire di casa e raggiungerne una a Manhattan, dando così vita a una lunga amicizia che resisterà alle contigenze della distanza senza mai uscire dalla dimensione epistolare.
18 novembre 1949Che razza di strana Bibbia protestante è questa? Vogliate cortesemente informare la chiesa anglicana che ha rovinato la più bella prosa che sia mai stata scritta, chi gli ha detto di armeggiare con la Vulgata Latina? I traduttori saranno mandati al rogo per questo scempio, parola mia.
[…]
Allego $ 4 per coprire i $ 3.88 che vi devo, con i 12 cents che avanzano pigliatevi un caffè.
A vent’anni dalla morte della sua autrice, 84, Charing Cross Road è un libro di culto, e il merito non è solo della scrittura vivace di Hanff, né degli adattamenti cinematografici e teatrali che periodicamente rinfocolano l’attenzione del pubblico. Il fatto è che un libro del genere, oggi, non potrebbe più essere scritto. Per capire perché bisogna innanzitutto tenere conto che in quest’opera, come nella maggior parte dei romanzi epistolari scritti prima dell’avvento di internet, gran parte della polpa narrativa si articola attorno a un’ossatura di scarsità: le lettere impiegano due settimane ad arrivare, a volte anche interi mesi, eppure la dinamica del rapporto tra l’autrice e il libraio, invece che esserne indebolita, viene rafforzata; Londra è nel pieno dei razionamenti del dopoguerra, il cambio dollaro/sterlina è sbilanciato, e siccome si sente in colpa per ricevere libri preziosi per pochi soldi, Hanff comincia a mandare oltreoceano scatole piene di viveri, spesso affidandole alle poste senza sapere in che condizioni arriveranno; man mano che il rapporto epistolare si trasforma in amicizia, i due sentono l’esigenza di conoscersi meglio, ma il viaggio è troppo costoso e l’unico modo di “vedersi” è inviarsi fotografie: la conoscenza procede così per stratificazioni, ipotesi, interpolazioni.
2 novembre 1951Caro Velocista,
Mi ha fatto venire le vertigini lanciandomi qui come uno schioppo Leigh Hunt e la Vulgata. Lei forse non se ne rende conto, ma lo sa che sono passati quasi più di due anni da quando li ho ordinati? Se continua a questo ritmo le verrà un infarto.
[…]
Allego tre dollari, mi dispiace per il primo, mi si è rovesciato sopra del caffè e non sono riuscita a ripulirlo, ma penso che sia ancora buono, è ancora leggibile.
Avete per caso in libreria delle partiture di musica vocale con la copertina rigida? […] Probabilmente potrei recuperarle anche qui da Schirmer, ma dista ben 50 freddi isolati da casa mia, così ho pensato di chiederli prima a voi.
Congratulazioni per Churchill & Co., spero allenteranno un po’ il razionamento.
Una storia simile, traslata nel mondo di oggi, esaurirebbe subito il suo potenziale: la curiosità reciproca non avrebbe tempo di mettere radici, perché entrambi troverebbero foto e informazioni su internet, costruendosi immagini istantanee e arbitrarie l’uno dell’altra. I tempi si restringerebbero, neutralizzando la dimensione dell’attesa, e questo andrebbe inevitabilmente a disinnescare ogni mistero nel rapporto tra i due, che avrebbe meno tempo di evolvere, di respirare, rimarrebbe più superficiale, impersonale, frammentato.
La teoria più accreditata è che il romanzo epistolare sia emerso intorno al XV secolo, quando autori come Diego de San Pedro cominciarono a integrare nelle proprie storie una quantità tale di lettere da mettere in secondo piano la tradizionale narrazione in terza persona. Il genere, tuttavia, ottenne vera popolarità solo nel XVIII secolo, in particolare grazie al successo riscosso nel 1740 da Pamela di Samuel Richardson. Da allora, la forma epistolare è stata utilizzata dagli autori più diversi, da Montesquieu a Balzac, da Mary Shelley a Stephen King, che spesso se ne servivano per conferire maggior realismo alla storia, alternare in maniera più efficace diversi punti di vista o, più banalmente, per solleticare la tendenza vouyeuristica del lettore.
Oggi i romanzi epistolari non sono del tutto scomparsi dagli scaffali delle librerie, ma molti sono ambientati nel passato e hanno un’impostazione ricalcata sulla tradizione ottocentesca: lunghe lettere con tanto di intestazione, distanze da colmare, attese da tollerare, senza nessuna (o quasi) incursione del mondo digitale in cui oggi viviamo. Del resto, il numero di persone che ogni anno scrive e riceve lettere cartacee sta diminuendo vistosamente. Già nel 2010, una ricerca condotta da World Vision stimava che un quinto dei bambini britannici di età compresa tra i 7 e i 14 anni non avesse mai ricevuto una lettera cartacea. Il dato è sintomatico di una tendenza generale: tra il 2000 e il 2014 il numero di lettere spedite negli Stati Uniti è passato da 236 a 141 miliardi all’anno; e teniamo presente che il numero di email inviate negli USA ammonta a 269 miliardi al giorno.
La letteratura epistolare funzionava in tempi di scarsità (economica, tecnologica, comunicativa) perché richiedeva che i due estensori andassero a riempire lacune che, invece, in un’epoca di abbondanza come la nostra sono già occupate. C’è anche chi tenta di restituire la frammentazione che caratterizza i carteggi contemporanei: è il caso di Lauren Myracle, che nella trilogia Internet Girls sostituisce la narrazione con i messaggi e le emoticon di una chat; ci sono poi autori, come Nicholas Belardes e Dan Sinker, che hanno tentato la via del Twitter-novel, ma i risultati non sono entusiasmanti: nel migliore dei casi l’esperimento si è risolto in un’esasperazione formale che su carta risulta tanto esotica quanto affaticante.
La letteratura epistolare funzionava in tempi di scarsità economica, tecnologica e comunicativa perché richiedeva di riempire lacune che in un’epoca di abbondanza come la nostra sono già occupate.
Quello che alcuni di questi autori perdono di vista è che la scrittura richiede una partecipazione attiva del lettore. In questo senso, raccontare una buona storia non significa riempire ogni spazio possibile, semmai il contrario: la narrativa epistolare tradizionale, di cui il libro di Hanff è un ottimo esempio, si sviluppava attorno a una serie di vuoti, attese e non-detti a cui solo il lettore poteva sopperire.
Nel 2012, su un articolo apparso su iO9, l’autrice Charlie Jane Anders ipotizzava che il ruolo di resuscitare il romanzo epistolare potrebbe spettare agli autori di fantascienza, che basano gran parte della propria carica narrativa su una dimensione di scarsità. Esempi di questo tipo del resto già esistono. si pensi ad esempio a L’Uomo di Marte di Andy Weir, in cui il motore narrativo è alimentato in gran parte dai limiti comunicativi del protagonista; o alla lunga serie di appelli che la voce narrante de L’anno dell’inondazione di David Ely scrive per mettere in guardia le autorità di un’imminente catastrofe; o ancora all’esperimento letterario multimediale di Jon Bois, che in 17776 articola un’intera storia sui tentativi di comunicazione di due satelliti senzienti che impiegano anni per ricevere i rispettivi messaggi.
È curioso come, in queste opere, il confine tra romanzo epistolare e diario vada progressivamente sfumando. Se la scarsità comunicativa aveva indotto Helene Hanff e Frank Doel a rafforzare il loro rapporto a distanza, mettendo sul piatto ben più delle informazioni necessarie ai loro scambi, l’abbondanza comunicativa contemporanea (complice anche un’estrema personalizzazione dell’esperienza virtuale) può spingere nella direzione opposta, verso il solipsismo, in una sorta di introspezione a microfoni aperti. I blocchi costituenti di queste storie sono invocazioni articolate in modo da poter prescindere dalle eventuale risposte dei destinatari. Più che le lettere affrancate, ricordano i messaggi in bottiglia.