A uguste era nata il 16 maggio del 1850 in una famiglia povera di Kessel, in Germania, e aveva perso il padre quando era ancora bambina. Tuttavia, nonostante le grandi difficoltà economiche, assieme ai tre fratelli aveva avuto una qualche educazione, che le aveva permesso di diventare apprendista presso una sarta all’età di 14 anni. Tra i suoi insegnanti c’era stato anche il nonno di Alois Alzheimer: un legame che le sarebbe tornato utile alcuni decenni dopo. Nel 1873, quando di anni ne aveva 23, si era sposata con Karl Deter, un ferroviere, e con lui era andata a vivere a Francoforte, dove era nata la loro unica figlia, Thekla.
Dopo molti anni tranquilli, nel 1901 la donna aveva iniziato a mostrare i primi comportamenti bizzarri, presto diventati incontrollabili, mentre la memoria svaniva ogni giorno di più, e l’aggressività aumentava. Non riusciva più a occuparsi della casa o della figlia, nascondeva gli oggetti nei luoghi più insoliti e sembrava non essere più in grado non solo di cucire o cucinare, ma anche di scrivere o di conversare seguendo un ragionamento, per quanto elementare. Di notte, poi, non dormiva più, vagabondava per la casa urlando per ore, accusando i vicini e chiunque gli capitasse a tiro delle più orribili nefandezze.
Karl, esasperato, l’aveva portata da un medico, che aveva intravisto un unico rimedio: il ricovero immediato in un Asylum psichiatrico, avvenuto effettivamente poco dopo, il 25 novembre del 1901. Lì, ad accoglierla, c’era un giovane medico, Alois Alzheimer, nipote di quel suo maestro di scuola, che, dopo averla esaminata con cura e averla sottoposta a numerosi test cognitivi, aveva diagnosticato una “demenza presenile”. Accortosi subito dell’unicità di quel caso, però, fin dalla prima visita Alzheimer aveva preso appunti dettagliati, visibili ancora oggi nel museo a lui dedicato, inaugurato nella sua casa natale, a Marktbreit, nel 1995, in occasione dell’ottantesimo anniversario della morte.
Nei 32 fogli rimasti si leggono distintamente, in inchiostro blu, le risposte scritte da Auguste, in una calligrafia via via sempre più traballante e incerta, in cui il medico coglie un “disturbo amnestico della scrittura”. Inoltre, se inizialmente la paziente ricordava il suo nome (per lei, però, anche il marito era Auguste), in seguito era diventata sempre più confusa, e quella confusione si era allargata a ogni ambito delle sue infelici giornate. Pensava di aver mangiato spinaci, ma si trattava di cavolfiori con maiale; riconosceva alcuni oggetti, ad esempio una penna, ma non tutti quelli, altrettanto familiari, su cui veniva interrogata; aveva una vaga idea della stagione, ma non riusciva a ricordare il nome dei mesi.
Già al momento del ricovero, quindi, la compromissione era seria. Poi, via via, nelle settimane successive i ricordi si erano fatti sempre più confusi, la concentrazione più labile, mentre la scrittura aveva occupato, in modo sempre più evidente, solo la parte sinistra del foglio (segno della perdita di funzione di ampie zone di un intero emisfero cerebrale, che le impediva di vedere la parte destra), e qualunque pensiero lasciava il posto a un’angoscia crescente. La testimonianza più drammatica è probabilmente una celeberrima foto (era stato lo stesso Alzheimer a chiedere di scattargliene molte) del 1902, nella quale Auguste appare smagrita, le mani incrociate sul petto, i capelli lunghi e scarmigliati sulla camicia da notte e, soprattutto, gli occhi persi nel vuoto, con un’espressione tra la rassegnazione, l’orrore e l’angoscia per tutte le domande che non avrebbero mai avuto una risposta.
Mentre Freud proponeva al mondo la sua lettura della malattia mentale, Alzheimer cercava di capire quali fossero i riscontri anatomici di ciò che vedeva nei pazienti.
Auguste, che negli ultimi mesi era stata tenuta isolata da tutti perché diventata violenta, e che era stata curata con dieta, bagni caldi e sonniferi, era infine deceduta l’8 aprile del 1906, a 56 anni, per una setticemia causata da una polmonite. Alzheimer non era più il suo medico dal 1903; tuttavia, in cambio della permanenza nell’ospedale, che Karl Deter non si sarebbe più potuto permettere, il neurologo aveva ottenuto l’accesso a tutti i suoi dati medici, che si era fatto inviare regolarmente, e soprattutto l’autorizzazione ad analizzare, dopo la morte, il suo cervello. Quel tessuto era ciò che lo interessava maggiormente perché, anche se nel frattempo era diventato un clinico esperto, la sua passione era sempre stata l’anatomia patologica, lo studio dei vetrini e dell’aspetto delle diverse cellule, soprattutto del sistema nervoso. Come vedremo, un approccio che continua a fornire risposte fondamentali ancora oggi.
Mentre in quegli anni il collega austriaco Sigmund Freud proponeva al mondo la sua lettura della malattia mentale, Alzheimer e alcuni di coloro che hanno fatto la storia della psichiatria organicistica cercavano di capire quali fossero i riscontri anatomici di ciò che vedevano nei pazienti, e di collegare le anomalie istologiche ai sintomi. Alois era nato dunque a Marktbreit, dalle seconde nozze del padre, il notaio Eduard, con Therese Bushm, matrimonio dal quale erano nati, negli anni, altri tre fratelli e due sorelle. Il padre avrebbe voluto avviarlo alla carriera notarile ma, preso atto della sua inclinazione verso la scienza, alla fine si era arreso e lo aveva mandato a studiare a Berlino, alla Regia Università Federico Guglielmo, considerata un centro di assoluta eccellenza per la medicina.
Dopo aver superato facilmente i primi esami, nel 1886 Alois si era spostato a Tubinga, dove l’anno successivo si era laureato con il massimo dei voti, ottenendo l’abilitazione per tutto l’impero pochi mesi dopo. Così, nel 1888, aveva avuto il primo impiego all’Ospedale di Francoforte, nel reparto diretto da uno psichiatra tedesco molto conosciuto, Emil Sioli, di cui era diventato assistente, insieme al suo amico e collega Franz Nissl, figura centrale in tutta la sua carriera, e anche nella sua vita. I tre, insieme, avevano dato vita a un nuovo reparto, sui monti Taunus, impostando l’assistenza su una drastica riduzione delle costrizioni fisiche e sul dialogo con il paziente come parte integrante di terapie che, come mostrano le cure impartite ad Auguste, all’epoca erano poco più che rudimentali.
Contemporaneamente, però, Alzheimer e Nissl avevano intrapreso gli studi anatomici e avevano iniziato a essere conosciuti per la loro descrizione della corteccia e, in particolare, dell’aterosclerosi cerebrale, che si ipotizzava potesse essere all’origine delle demenze. Nel 1894 Alzheimer aveva sposato (con Nissl come testimone) Cecilie Geisenheimer, da cui aveva avuto i figli Gertrude e Hans, e aveva iniziato a mostrare un interesse crescente per le forme neurodegenerative, pur mantenendo una straordinaria versatilità di passioni professionali. Uno dei suoi casi più celebri, Un criminale nato, pubblicato nel 1896, descriveva la malattia di Oskar M., membro di una famiglia afflitta da una forma di neurodegenerazione ereditaria, cui avevano fatto seguito altri cinque casi di aterosclerosi cerebrale.
Alzheimer e colleghi avevano dato vita a un nuovo reparto impostando l’assistenza su una drastica riduzione delle costrizioni fisiche e sul dialogo con il paziente come parte integrante delle terapie.
Poi, a partire dal 1898, Alois aveva iniziato a pubblicare studi sulla demenza presenile, la malattia di Auguste, con e senza Nissl, e anche grazie a questo la sua carriera sembrava aver preso definitivamente quota. Tuttavia, proprio nell’anno del ricovero della sua paziente più famosa, il 1901, una tragedia impresse tutt’altra direzione alla sua vita: la moglie morì, dando alla luce la sua terzogenita. Il lutto sconvolse l’esistenza di Alzheimer, che preferì affidare i figli alla sorella, e immergersi ancora di più nel lavoro. Anche per questo, poco tempo dopo accettò un impiego a Heidelberg, dove nel frattempo si era trasferito Nissl. Il sodalizio, però, durò solo pochi mesi, interrotto da un altro richiamo irresistibile, quello di Emil Kraepelin, padre della psichiatria moderna, sostenitore delle basi organiche delle patologie psichiatriche – e già all’epoca conosciuto e stimato al punto da ricevere l’incarico di realizzare dal nulla un grande centro di ricerca affiancato al nuovo reparto psichiatrico di Francoforte –, che stava cercando un medico con competenze da anatomopatologo come lui.
Le foto del laboratorio mostrano un ambiente luminoso e spazioso, dotato di strumentazioni modernissime per l’epoca, e spiegano perché Alzheimer non poté dire di no. Da quelle stanze sarebbero passati protagonisti assoluti della ricerca psichiatrica e neurologica di quegli anni, come Santiago Ramón y Cajal (premio Nobel per la medicina nel 1906, con Camillo Golgi, proprio per i suoi studi sui neuroni), Hans Gerhard Creutzfeldt e Alfons Maria Jakob (i due ricercatori che descriveranno la variante umana dell’encefalopatia bovina, la mucca pazza), oltre a Friedrich H. Lewy, che diede il nome a uno dei tipi più diffusi di demenza (quella appunto “a corpi di Lewy”), e molti altri. Nel giro di pochi mesi, Alzheimer ottenne anche la libera docenza, e nell’ottobre del 1906, poco dopo il decesso di Auguste, divenne primario del reparto che aveva contribuito a creare. I suoi assistenti erano tre italiani: Ugo Cerletti, Francesco Bonfiglio e Gaetano Perusini.
Quelle del primo autunno da docente furono settimane frenetiche, nelle quali, comunque, il cervello di Auguste fu studiato con la massima attenzione. Alzheimer, che aveva capito immediatamente l’importanza di quella donna, e l’aveva seguita più o meno direttamente per anni, ansioso di comunicare quanto aveva osservato, ne parlò ai suoi colleghi il 3 novembre, durante la trentasettesima Assemblea annuale degli psichiatri tedeschi in corso a Tubinga, con una relazione dal titolo Una malattia particolare della corteccia. Una malattia che non aveva un nome, dunque, perché non corrispondeva a nessuna delle patologie note.
Un estratto da Alzheimer S.p.A. Storie di errori e omissioni dietro la cura che non c’è di Agnese Codignola (2024). Copyright Bollati Boringhieri editore, tutti i diritti riservati.