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uerra Sonora (Not) si apre con uno schema: l’asse delle ascisse fa riferimento alla frequenza espressa in hertz; l’asse delle ordinate fa riferimento alla pressione. Questo schema fornisce a chi legge la conoscenza di base degli effetti del suono sul suo corpo. Prevedibilmente, troviamo indicata la soglia del dolore dell’orecchio: sopra, sotto e sulla soglia, sono indicati una serie di sintomi, di possibili effetti: nausea, trauma, inibizione della respirazione e così via.
Sotto questa soglia, parecchio sotto questa soglia e fuori dal range delle frequenze udibili, c’è il dominio dell’unsound, che nell’utile glossario a seguire viene definito “il non ancora udibile”, in riferimento “alla periferia indistinta della percezione uditiva, dove il suono non è udibile, ma produce comunque neuroaffetti o risonanze fisiologiche” e al “potenziale non sfruttato delle larghezze di banda udibili e al futuro immanente della musica. Virtualità sonora”. Poi, l’interregno delle aree liminali della percezione sonora. Questo schema ci getta in media res verso le intenzioni del libro: delineare una teoria delle relazioni tra vibrazioni e potere, fondata su quella che Steve Goodman definisce una (sub)politica della frequenza.
Potreste esservi già imbattutɜ nel suo lavoro fuori del contesto accademico ed editoriale. Oltre a essere stato lecturer della University of East London e membro del gruppo di ricerca CCRU (Cybernetic Culture Research Unit), Goodman è un musicista e DJ con lo pseudonimo Kode9, nonché fondatore di Hyperdub, una tra le più importanti label di musica elettronica degli anni Duemila.
Il libro esplora i molti modi in cui il suono può colpire i corpi, spaziando tra filosofia, scienza, narrativa, cinema, estetica e cultura popolare.
Guerra Sonora, che abbiamo finalmente la possibilità di leggere in italiano, uscì per la prima volta da MIT Press nel 2010 con il titolo Sonic Warfare: Sound, Affect, and the Ecology of Fear nella collana Technologies of Lived Abstraction, curata da Brian Massumi e Erin Manning. Il libro esplora i molti modi in cui il suono può colpire i corpi, producendo affezione tramite quelle che piuttosto letteralmente potremmo definire bad vibrations, spaziando tra filosofia, scienza, narrativa, cinema, estetica e cultura popolare; “sullo sfondo di un urbanesimo militare strisciante”, il libro delinea una specifica metodologia transdisciplinare: un’ontologia della forza vibrazionale, del legame ritmico tra corpo, tecnologia e processo sonico per rivelare alcune latenti tendenze affettive delle culture urbane del XXI secolo.
Guerra Sonora tocca tanto le ricerche dell’industria bellica inerenti lo sviluppo e l’implementazione da parte delle forze armate di mezzi acustici per il controllo delle folle, quanto fenomeni come il sound-branding o le culture musicali, dal momento in cui moltɜ artistɜ e musicistɜ si sono avventuratɜ più o meno consapevolmente nell’indagine delle capacità di certe frequenze di triggerare nuove esperienze estetiche. Come già accennato, il libro specula anche sul non-ancora-udibile, ovvero il concetto di unsound, attraversando le periferie della percezione uditiva.
Leggendo questo libro, arriviamo a comprendere che il termine “guerra sonora” si riferisce fondamentalmente a tutte le pratiche e i dispositivi che sfruttano il potere del suono per innescare un determinato effetto sugli individui e le popolazioni – in particolare sulle popolazioni, sui corpi collettivi. Stiamo parlando di strumenti e azioni di “correzione psicoacustica”, come quelli utilizzati a Panama dall’esercito statunitense contro Manuel Noriega, o i repellenti acustici usati per dissuadere adolescenti nei centri commerciali, arrivando alle bombe sonore sganciate sulla Striscia di Gaza. Ma anche delle strategie con cui la pubblicità sfrutta il potere persuasivo dei cosiddetti earworms o come alcunɜ musicistɜ siano in grado di ribaltare il carattere allarmante o angosciante di certi suoni, traducendoli in musica nei sound clash delle periferie globali, tradizione di vere e proprie sfide tra sound system che dalla Giamaica approda a Londra, integrandosi con la scena locale e contribuendo all’emersione di nuovi generi musicali ibridi.
Il termine “guerra sonora” si riferisce fondamentalmente a tutte le pratiche e i dispositivi che sfruttano il potere del suono per innescare un determinato effetto sugli individui e le popolazioni.
Come suggerisce il sottotitolo dell’edizione originale, partendo dalla nozione di “ecologia della paura” coniata dal teorico Mike Davis per descrivere “il clima affettivo […] della città e dei suoi sistemi di controllo colpiti dalla minaccia di un disastro naturale, tecnologico, sociopolitico o economico”, Guerra Sonora ci porta a prendere coscienza del carattere terrificante dei nostri ambienti urbani, in particolare quelli delle megalopoli globali, lo sprawl del pianeta degli slums (dall’omonimo libro di Mike Davis) e come questi provochino effetti sulle persone, generando ansia e senso di precarietà esistenziale. Allo stesso tempo, gran parte della musica e delle relative culture musicali nate in questi ambienti (dub, jungle, footwork, dubstep e molte altre) sono riuscite a prendere questa sensazione, questa “affezione” sgradevole, e a tradurla in codici culturali che rendono queste sensazioni “esteticamente produttive” anziché immobilizzanti. Da attacca o fuggi ad attacca e danza.
Ben lontano da qualsiasi acritica apologia di fantomatiche qualità universali e intrinsecamente emancipatorie dell’arte e della musica che ancora affliggono il lavoro di molti nell’ambito dei sound studies, l’analisi dei casi studio che troviamo nel libro risulta puntuale e situata. Come leggiamo nell’introduzione italiana,
come antidoto alle diagnosi malinconiche ed eurocentriche della decelerazione culturale, il libro si concentra sulla musica elettronica afro-diasporica per analizzare una modernità emergente e labirintica fatta di futurismi radicali e localizzati, che sfidano le gerarchie della cultura musicale globale accelerando il decentramento e la multipolarità facilitati da internet.
Nell’ottobre 2023, ho avuto il piacere di intervistare Steve Goodman per il podcast WHAT DO SOUNDS WANT?, prodotto da Radio Papesse e ALMARE e distribuito da NERO Editions, nell’ambito del progetto Life Chronicles of Dorothea Ïesj S.P.U.. Come spesso accade, il podcast restituisce solo una piccola parte di una lunga conversazione sulla base degli stimoli forniti dalla lettura di Sonic Warfare, che qui viene proposta integralmente in occasione della pubblicazione dell’edizione italiana del libro.
Prima di procedere, può essere utile dipanare alcuni concetti chiave, facendo ricorso al già menzionato glossario che nell’edizione originale si trovava in coda al volume, mentre in quella italiana è stato provvidenzialmente anticipato in apertura ai 34 densi capitoli che lo compongono.
In Guerra Sonora il suono non ha “effetto” sui corpi, ma il suo potere ha specificamente a che fare nella sua capacità di “affezione” dei corpi: questa nozione si rifà alla concezione spinoziana del potere di un corpo di interagire con altri corpi facendo perno su “dinamiche collettive in relazione allo stato d’animo, all’ambiente e all’atmosfera, registrate attraverso i sistemi nervosi reticolari”, dinamiche “ontologicamente antecedenti, da un punto di vista teorico, ai processi cognitivi e al piano della rappresentazione”.
Un altro concetto fondamentale, sul quale vertono diversi punti di questa conversazione con Goodman, è quello di “potere preventivo” (preemptive power), una modalità speculativa che ci viene descritta come “postdeterrente”, indicando la sua capace di travalicare la logica tradizionale della deterrenza. Disporre di questo potere rende superfluo, persino obsoleto, il ricorso a dispositivi di minaccia o dissuasione: scenari futuri indesiderabili quali instabilità economiche, politiche o sanitarie vengono anticipati in modo proattivo, non per prevenirli, bensì per manipolarne e sfruttarne le conseguenze sulla psiche di chi li attraversa, comprimendo la finestra di possibilità future con l’ambizione di “colonizzare la futurità”.
L’introduzione all’edizione italiana di Sonic Warfare si apre citando Le orecchie della giungla, un romanzo ambientato nel contesto della Guerra in Vietnam. L’espediente narrativo è un sistema di sorveglianza sonora utilizzato dall’esercito statunitense per stanare i Vietcong, che questi riescono sostanzialmente ad intercettare e volgere a loro vantaggio.
Credo si possa individuare una certa specularità con la citazione che apre l’edizione originale di Sonic Warfare, ovvero quella del Generale Kilgore in Apocalypse Now: “We’ll come in low out of the rising sun and about a mile out, we’ll put on the music”. Già nel terzo capitolo, troviamo ulteriori riferimenti alle due note operazioni di guerra sonora storicamente utilizzate dall’esercito statunitense in Vietnam: l’operazione Urban Funk Campaign (UFC) e l’operazione Wandering Soul. L’UFC è una strategia psicologica implementata durante la Guerra del Vietnam, quando i militari statunitensi utilizzarono la musica funk per disturbare e demoralizzare le truppe nemiche vietcong. L’operazione Wandering Soul, invece, implicava l’uso di registrazioni audio di voci spettrali, simulate per sembrare quelle di soldati morti, allo scopo di terrorizzare i vietnamiti e farli sentire perseguitati dagli spiriti dei loro compagni deceduti. Entrambe le operazioni facevano parte delle tecniche di guerra psicologica adottate dagli USA. A differenza della strategia utilizzata in Le orecchie della giungla, che è sostanzialmente una strategia di ascolto, queste, viceversa, sono operazioni di emissione di suono, di attacco – uno fragoroso e violento, l’altro una subdola psy-op.
Nel libro vengono descritti numerosi esempi dell’utilizzo del suono come arma, sia reali che fittizi.
Nel libro vengono descritti numerosi esempi dell’utilizzo del suono come arma, sia reali che fittizi; lontano da un approccio compilativo, in Guerra Sonora la fiction gioca un ruolo fondamentale. Molti autori hanno inquadrato come le pratiche della cosiddetta speculative fiction possano essere strettamente correlate alla produzione di conoscenza, alla costituzione di soggetti e materialità, talvolta arrivando a sostanziare il desiderio di alternative possibili in manifestazioni concrete di autoaffermazione dal potenziale trasformativo, come in un controcanto a quelle logiche che Mark Fisher ha ben inquadrato come “science-fiction capital”, ovvero, citando Kodwo Eshun,
“la sinergia, il feedback positivo tra i media orientati al futuro e il capitale. [Nel saggio Further Considerations on Afrofuturism, Kodwo Eshun introduce il concetto di “positive feedback between future-oriented media and capital” per descrivere il modo in cui il panorama delle produzioni delle industrie culturali che in diversi modi suggeriscono o propongono narrazioni inerenti il futuro futuro interagisce con il capitale in un ciclo che si autoalimenta; a questo fenomeno, Eshun contrappone la necessità di creare contronarrazioni futurologiche, laddove sostiene che l’accademia si sia esclusivamente dedicata a passato e alla necessità di creare contromemorie.] L’alleanza tra il futurismo cibernetico e le teorie della ‘new economy’ sostiene che l’informazione è un generatore diretto di valore economico. Le informazioni sul futuro circolano quindi come una merce sempre più importante”.
Si tratta di strumenti concettuali che possono risultare estremamente fertili, laddove nella cultura politica contemporanea lo stesso concetto di realtà sembra assumere valenza relativa di fronte alla pervasività delle narrazioni mediatiche assimilabili al fenomeno della post-verità. In questa contingenza si può riconoscere uno dei terreni in cui situare indagini critiche basate sulla fiction, contro-narrazioni per disinnescare le dinamiche che influiscono sui modi in cui è organizzata la percezione della realtà tramite tecnologie e mass media.
Diversi capitoli di Guerra Sonora sono matriosche di fiction e fatti storici: ad esempio, il riferimento alle due operazioni sopracitate, prima che Goodman proceda ad illustrarle al lettore, arriva per mezzo delle parole di un altro personaggio fittizio, il colonnello Walter Manley di Project Jericho, un’opera radio di Gregory Whitehead che sostanzialmente incorpora la storia recente della guerra sonora. Ed è qui che si apre la mia chiacchierata con Steve Goodman.
Un ultimo inciso: in più punti dell’intervista emergeranno concetti e neologismi (come Sonic Fiction e Mythscience) deputati da More Brilliant Than The Sun. Adventures in Sonic Fictions, di Kodwo Eshun. Pubblicato nel 1998 da Quarter Books e proposto in italiano da Nero on Theory nel 2021, More Brilliant Than The Sun non è un saggio convenzionale, ma un’opera letteraria che con un linguaggio onirico e polisemico invita a viaggiare per le tradizioni allora misconosciute della fantascienza diasporica, tra dischi, film, aneddoti e personaggi – Sun Ra, Alice Coltrane, Lee Perry, Dr Octagon, Parliament, Drexciya e Underground Resistance, per menzionarne alcuni. Il libro si situa tra la storia della musica elettronica, la teoria dei media, la fantascienza e gli studi afrodiasporici ed è diventato uno dei testi di riferimento per indagare le possibilità generative dell’Afrofuturismo.
Coerentemente al suo stile di scrittura rapsodico, performativo e non lineare (Schulze, 2020), Eshun non offre una definizione specifica dei neologismi che conia; piuttosto, questi si manifestano in media res nella scrittura, coniugando dense stratificazioni di concetti; oggi, termini come Sonic Fiction e Mythscience circolano nella musica sperimentale, nella teoria musicale, nell’arte contemporanea, nei sound studies, nei cultural studies, nell’attivismo e persino nella teoria politica, dimostrando la forte influenza del testo da cui provengono. Il lavoro di Kodwo Eshun e quello di Steve Goodman si sono intersecati a più riprese e leggere entrambi aiuta a comprendere l’universo di senso nei quali le loro opere si contestualizzano. Non a caso, Clara Cicconi, editor e traduttrice della collana Not, dichiara che “come More Brilliant than the Sun, anche Sonic Warfare di Steve Goodman è uno di quei libri per i quali ci siamo stupitɜ che non ci fosse ancora una traduzione italiana, ed è stata una scelta quasi naturale quella di pubblicarli entrambi in una collana come NOT, perché sono due saggi illuminanti sul ruolo della musica e del suono nel rapporto tra umano e tecnologie, e sul loro potere di strumenti culturali – o per seguire Goodman, armi – nei conflitti sociali”.
MitoScienza (Mythscience) è un neologismo coniato da Eshun nel libro More Brilliant Than the Sun e va inteso come un vero e proprio approccio alla comprensione del mondo che giustappone e coagula intuizioni scientifiche e immaginazione. Holger Schulze del Sound Studies Lab dell’Università di Copenhagen suggerisce che Guerra sonora sia un esempio di MitoScienza, perché il libro è popolato di fenomeni storici estesi, sul piano speculativo, anche a futuri lontani e ipotetici, o viceversa a lontani passati pre-storici e pre-archeologici.
Guerra Sonora, che non a caso è aperto da una citazione dal film Apocalypse Now, include numerosi riferimenti a opere di fiction: Project Jericho, che menzioni nella domanda, ma anche The Last Angel of History del Black Audio Film Collective, un’opera che esplora l’intersezione tra fantascienza e specifiche espressioni della musica nera, elettronica e d’avanguardia. Che si tratti di cinema o musica, il libro guarda con attenzione a questi casi di narrazioni in vari modi assimilabili all’idea di guerra sonora, con l’intenzione di conferire importanza e indagare con rigore alcuni dei modi e degli strumenti con cui gli artisti drammatizzano e concettualizzano la propria musica, creando narrazioni intorno ad essa o anche attribuendole un contesto o un significato politico – talvolta indugiando in termini eccessivi o melodrammatici.
L’intenzione del testo non è solo quella di teorizzare una basilare ontologia della forza vibrazionale nei contesti militari, polizieschi, pubblicitari, radiofonici, cinematografici, artistici o musicali, ma vuole anche affrontare problematiche di natura epistemologica, tra disfunzioni e fratture concettuali. Le manifestazioni dell’idea di arma sonora che possiamo trovare nelle Sonic Fictions e nella fantascienza speculativa, ma anche l’analisi di episodi documentati di utilizzo del suono in contesti bellici o repressivi, ci portano a confrontarci con dati e testimonianze ambigue, tra teorie cospiratorie, miti, scienza e menzogne, creando diversi problemi sul piano epistemologico: in estrema sintesi, non è chiaro se questi fatti siano veri o falsi. È in questa zona grigia si consolidano i presupposti del libro, la cui metodologia attinge sia ad approcci documentari, sia a dimensioni speculative, talora dissipando e problematizzando intenzionalmente il senso del limite tra realtà e fiction.
Il fatto che la fondatezza di molte ricerche sulle armi acustiche risulti problematica non dovrebbe sorprenderci. Va considerato che un certo grado di segretezza e opacità è imprescindibile nella ricerca militare e non è sbagliato ipotizzare che, in questo ambito, le tecnologie in corso di sviluppo abbiano raggiunto livelli ben più avanzati di quanto ci è dato a sapere. Credo che tutto ciò covi in nuce una serie di implicazioni che hanno a che fare con la cultura della post-verità, anche se non mi sono ancora del tutto chiare. In particolare, credo che queste riflessioni possano aiutarci a comprendere le strategie più adatte ad osservare e analizzare un contesto in cui la distinzione tra vero e falso va progressivamente collassando, che si tratti di notizie generate tramite intelligenze artificiali e deepfake, o l’intensificarsi delle teorie del complotto resa possibile dalle logiche decentralizzate di diffusione della conoscenza che caratterizzano la comunicazione online.
Quando il campionamento di allarmi, sirene ed altri suoni capaci a generare inquietudine comincia ad insinuarsi nelle grammatiche estetiche di numerosi generi e culture musicali, le persone vi si trovano esposte in maniera del tutto diversa. Bypassando autori come Varèse, Avraamov o Shostakovich, pensiamo all’inclusione del suono delle sirena nella musica pop: già nei tardi anni ’60, lɜ pionieriɜ del dub incorporano effetti sonori non convenzionali nei loro mix; sirene e allarmi catturavano l’attenzione durante i sound clash, enfatizzando i momenti più intensi delle performance. Più tardi, negli Stati Uniti, il campionamento delle sirene diventa un vero e proprio marchio sonoro associato ai block party e alle prime tracce hip-hop: tra le tante, potete provare ad ascoltare Step Up Front dei Positive K o Armed and Dangerous degli His Majesti. Negli anni ’90, la sirena si diffonde nella musica elettronica, in particolar modo nella scena rave britannica per mezzo del contagio nella cultura dei sound system giamaicani.
Da dove nasce il desiderio o l’urgenza di indagare la nozione di armi sonore, nella teoria, nella fiction e nelle sue più concrete applicazioni? In un’intervista del 2011, affermi di essere “interessato a come certi ambienti urbani strutturalmente terrificanti abbiano la capacità di generare culture musicali che, distillando questo effetto di ansia o incertezza sul futuro attraverso il suono, rendono esteticamente produttivo un sentimento che altrimenti risulterebbe in grado di immobilizzare i corpi individuali e collettivi, anche sul piano esistenziale”.
A partire dagli anni ’90, in particolare durante il periodo in cui gran parte dei miei ascolti e della mia attività di Dj si concentrava sulla musica jungle, ho cominciato ad interessarmi a suoni riconducibili ad allarmi, colpi di arma da fuoco, sirene e così via: in altre parole, suoni che scatenano una reazione di attacco o fuga, che attivano a una risposta autonomica di base inerente una delle più elementari funzioni del sistema uditivo, che è quella di scrutare l’ambiente per individuare un’eventuale minaccia.
Quando sentiamo questi suoni, utilizzati come strumento eminentemente estetico, nella stragrande maggioranza dei casi non ci sentiamo minacciati, non avvertiamo la pulsione a fuggire e ad allontanarci da quell’ambiente. Ovviamente lo si deve alla consapevolezza razionale di non essere in pericolo. Nondimeno, io credo che in queste situazioni sia possibile tracciare i contorni di un’interessante dinamica di trasduzione che ha luogo quando si riesce a godere di suoni pensati per triggerare un senso di allarme, suoni che in un altro contesto costituirebbero il segnale dell’improrogabile necessità di evacuare uno spazio: potremmo dire che l’esperienza del suono viene ripolarizzata.
Parallelamente, parte della spinta a scrivere Guerra Sonora è arrivata dall’interesse per quelle che definirei le dinamiche liquide delle folle. Quando si osserva una folla, può capitare che danza e violenza si confondano. Ho vissuto questa esperienza negli anni ’90 al Carnevale di Notting Hill: affacciato alla finestra di un appartamento, stavo guardando una strada piena di gente che si ammassava attorno ad un sound system jungle. Al drop di una traccia, la folla sembra impazzire per quella particolare linea di basso. La stretta strada che osservavo era diventata una sorta di canale di irrigazione per una popolazione di corpi; di tanto in tanto l’esasperazione di piccoli alterchi in principi di scontri formavano delle specie di vortici in questo compatto flusso di corpi molto compatti. È un altro esempio del ribaltamento delle prospettive tra estetica e violenza di cui parlavo, in questo caso inerente un’ambiguità tra danza e violenza.
A partire dalla fine dei XIX secolo, la recente invenzione e diffusione del fonografo ha ispirato una pletora di teorie che speculavano ipotizzando possibilità che oggi sappiamo travalicare il confine storicamente labile tra ciò che chiamiamo
scienza e ciò che invece liquidiamo come pseudoscienze o addirittura pratiche occulte, esoteriche. Come nei più noti casi, inerenti l’evolversi della fotografia, anche la storia delle tecnologie di registrazione è piena di riferimenti spettrali e fantasmatici a voci e suoni dell’aldilà, dando corpo all’intrigante idea che il suono possa abitare uno speciale spazio d’intersezione tra occulto e tecnologia, tra conoscenza empirica e conoscenza data-driven: la storia diventa fantascienza e viceversa.
Uno dei termini chiave di Sonic Warfare è “unsound”, parola che, accostata a “undead”, costituisce anche il titolo dell’antologia realizzata gruppo AUDINT* nel 2019, della quale sei stato curatore insieme a Toby Heys ed Eleni Ikoniadou. La riflessione proposta si innesca a partire dal racconto delle gesta della Unità di Ricerca AUDINT (omonima controparte fittizia del gruppo di ricerca); di lì, muovendosi tra fantascienza e saggistica, l’antologia delinea i contorni di un’hauntologia13 marziale presentandoci l’intelligenza artificiale IREX2, una fusione di entità digitali e non-morte.
In Guerra Sonora viene citato un articolo di Rob Young intitolato Exotic Audio Research nel quale leggiamo un’affermazione di John Duncan che mi sembra particolarmente interessante: “Ormai è abbastanza assodato che la scienza sia il quadro di riferimento accettato per spiegare le scoperte, e per la maggior parte delle persona, la scienza è ‘affidabile’ nella maniera in cui potrebbe esserlo una religione. Nondimeno, per molti scienziati è estremamente chiaro che esistono infinite conoscenze che le discipline scientifiche non possono neppure cominciare a spiegarci […] ed è un tragico errore pensare che la scienza – o qualsiasi altra cosa – possa fornire tutte le risposte a tutte le domande”.
Mi sembra si possa affermare che l’affettività sfugga ai modi e alle categorie dicotomiche che utilizziamo per pensare scienza e non-scienza, richiedendo invece mezzi di esplorazione non convenzionali che ci spingono in direzione di spazi di carattere segnatamente virtuale – ricordando che in Guerra Sonora il termine “virtuale” va inteso in senso deleuziano, ovvero non come sinonimo di irreale o fittizio (come spesso si intende nel linguaggio comune), ma piuttosto in riferimento a una dimensione reale ma non attuale, una sorta di potenzialità intrinseca, possibilità e relazioni che esistono in uno stato latente.
Questa è davvero una domanda enorme. Credo che il modo in cui intendo e di conseguenza utilizzo la nozione di affezione sia un tentativo di superare la divisione tra mente e corpo, tra linguaggio e sensazioni corporee, in modo da aprirci a ciò che non ancora conosciamo, e all’idea che la scienza non solo ci permette di comprendere il mondo fattuale là fuori, ma contemporaneamente implica il moltiplicarsi di ciò che ancora non conosciamo. Tutto questo è parte del concetto di unsound. Il concetto di unsound riguarda l’ombra del suono; fuor di metafora, suoni inudibili a causa del loro volume, troppo basso, oppure della loro frequenza, troppo alta o troppo bassa. Si tratta nondimeno di vibrazioni attive e misurabili – per esempio, gli infrasuoni e gli ultrasuoni, entrambi in grado di generare risposte fisiologiche e neurologiche delle quali non siamo necessariamente consapevoli. Quest’idea di un’ombra sonora che abbiamo accostato al concetto di unsound può anche espletarsi sul piano temporale, inerente ai suoni che non possiamo ancora sentire perché esuberano le capacità delle protesi uditive di cui oggi disponiamo, concedendoci nondimeno di immaginare che l’evoluzione di queste tecnologie ci permetterà di accedere a quelle che attualmente sono vibrazioni non udibili. Parimenti, l’evoluzione delle tecnologie di generazione sonora, come la sintesi granulare, darà corpo a nuovi suoni, suoni plausibili seppur attualmente inesistenti. E infine, e questo forse è il punto cruciale, va sottolineato che il gioco di parole alla base del significato del termine unsound non riguarda solo quel che ho appena illustrato, ovvero le proprietà fisiche dei suoni e della loro percezione. In inglese, la parola unsound si traduce come “dubbio” o “sospetto”, indicando qualcosa di eticamente, moralmente o politicamente discutibile, permettendoci di guardare tanto alle dimensioni sconosciute del suono, quanto ai contesti etico-politici in cui i suoni si situano.
Il capitolo 23 di
Guerra Sonora, 1946: Vibrazioni Virtuali, si apre affermando che “la sperimentazione post-quantistica con il suono e il calcolo ha richiamato l’attenzione su un’ontologia digitale, la cui analisi non può essere ricondotta a una topologia fondata sulle onde analogiche. Questo problema metodologico, centrale per l’ontologia della forza vibrazionale, è anche al centro dei dibattiti contemporanei sull’estetica del suono digitale e sulle innovazioni texturali della sintesi granulare”. Come si può facilmente intuire dal titolo 2012: Agentività Acustiche Artificiali, anche il capitolo successivo affronta i temi del digitale, che tornano ad essere un punto particolarmente sensibile “quando gli ambienti predatori dei brand convergono con la musica generativa e la profilazione dei consumatori e gli sterili laboratori virosonori del sound design digitale rilasciano forme di vita sonore artificiali all’interno dell’ecologia della paura”, come leggiamo nel capitolo 25, 1877: Capitalismo e Schizofonia. A che punto siamo, ora, a quindici anni dalla prima edizione di Guerra Sonora? Quei capitoli contengono una serie di esercizi di immaginazione speculativa riguardanti diversi oggetti. Uno di questi sono gli audiovirus. Poi ci sono le agentività acustiche artificiali, ovvero un immaginario di forme di vita sonore autonome dall’azione umana, possibili o plausibili. Queste potrebbero essere state originariamente progettate dall’uomo: poi, in qualche modo, sono finite a vivere una sorta di propria vita autonoma nel mondo, su Internet. E possono evolversi, crescere, replicarsi, diffondersi, insinuarsi nella coscienza umana.
Va detto che parte di tutto questo sta già accadendo; pensiamo alla cultura musicale algoritmica e le sue applicazioni in ambito artistico e commerciale. Quando le persone pensano alla cultura musicale algoritmica, generalmente pensano alle playlist generate da Spotify. Ovviamente queste tecnologie non vengono implementate solo tramite servizi e sistemi di advertising basati sulla profilazione degli utenti, ma pensate, ad esempio, anche ai comuni strumenti di mixaggio automatizzato per DJ, o a quelli di composizione automatizzata, suoni e musica generati dalle intelligenze artificiali. In Guerra Sonora ho cercato di dare sostanza all’intuizione di una possibile convergenza tra interessi di controllo coercitivo e securitario e interessi commerciali, chiedendomi quale sia la soglia oltre la quale queste agentività acustiche artificiali possano essere considerate strumenti predatori, estrattivi, moltiplicandosi online, nel mondo, nella nostra memoria.
Nel libro descrivo un esempio tratto dal film Minority Report: c’è una scena in cui Tom Cruise cammina in un centro commerciale e qualcosa lo segue, tracciandolo attraverso lo spazio: dispositivi “olosonici” o audio direzionali vengono indirizzati verso di lui, trasmettendogli messaggi di branding, pubblicitari. In questo passaggio di Sonic Warfare le mie speculazioni si concentrano sui contesti commerciali e in particolare sugli strumenti di branding sonoro, ma va considerato un punto di partenza dal quale possono scatuire riflessioni analoghe pensando ad esempio a contenuti ideologicamente orientati, di propaganda. Stando attenti a non perdere lucidità scadendo nel complottismo, possiamo trovare un ulteriore esempio nella memetica acustica, frasi che vengono letteralmente trapiantate nella nostra coscienza e che inconsciamente finiamo per rigurgitare e ripetere. Questo tipo di dinamica è continuamente in azione nei modi in cui i meme funzionano su Internet, trasformandoci in riceventi-replicatori, vettori per la replicazione memetica.
La mia speculazione partiva da presupposti fantascientifici, ma, laddove la fantascienza e la realtà si confondono sempre di più, nulla esclude che queste possano convergere; non c’è bisogno di immaginare l’avvento di agentività acustiche artificiali predatrici completamente autonome dal controllo umano. In una certa misura, il loro carattere predatorio dovrebbe già esserci evidente quando vengono utilizzate a fini commerciali, strumentali a indurre certi comportamenti di consumo – e con questo mi riferisco a uno spettro che va da comportamenti di consumo tendenzialmente innocui a comportamenti che hanno una collocazione e conseguenze sul piano politico.
Queste riflessioni erano alla base dei passaggi di Sonic Warfare nei quali ho scelto di trattare il tema degli audiovirus, partendo dall’idea che la dimensione micro-sonora sia una sorta di prima linea della più ampia guerra sonora, che la dimensione texturali o la sintesi granulare possano diventare una sorta di campo di battaglia contemporaneo per la guerra sonora digitale.
Nel corso di
un intervento nell’ambito del programma SOUND(ING) SYSTEMS, nel contesto della mostra Schizo Sonics di Nik Nowak al KINDL di Berlino, hai parlato della cosiddetta Sindrome dell’Avana, una condizione misteriosa segnalata per la prima volta nel 2016 tra diplomatici americani a Cuba, caratterizzata da sintomi come mal di testa, vertigini, problemi cognitivi e uditivi; è stato ipotizzato che possa essere stata causata da dispositivi ultrasonici, ma l’origine rimane tutt’ora incerta e controversa. Mi sembra che la sola speculazione sull’esistenza di questo tipo di tecnologie sia sufficiente a generare veri e propri strumenti di persuasione politica basati sull’ansia generata nella popolazione, dando corpo a teorie cospirative che possono avere conseguenze reali. Mi sembra si possa pensare che le numerose teorie, voci di corridoio o le leggende metropolitane legate possibilità di creare armi sonore che implementano gli infrasuoni, come nel caso della Sindrome dell’Avana, siano di per sé un’arma di potere preventivo.
Credo che quello che suggerisci riguardi la dimensione politica dell’immaginazione speculativa, della futurologia, e tutti quei casi in cui si verifica una cooptazione dell’estetica fantascientifica. Immaginare le possibili convergenze tra una o molteplici date tendenze estetiche, tecnologiche o politiche, o ipotizzare le contingenze, le opportunità, le minacce, più plausibili a partire dall’analisi degli scenari attuali, se si è interessati a delineare una mappa di come funzionano o potrebbero funzionare le cose, allora si sta anche facendo ricerca. E questa ricerca andrà a beneficio di tutti coloro che potrebbero essere coinvolti in quei futuri contesti possibili, nei quali dovranno sviluppare strategia di difesa o viceversa, approfittare di una situazione vantaggiosa per progettare armi e così via. Viviamo in un’epoca in cui la distinzione tra realtà quotidiana e fantascienza è diventata estremamente labile. Perciò penso che questa domanda va contestualizzata nell’ambito di una più ampia riflessione sulle funzioni di questo tipo di ricerca critica orientata al futuro e alle relative manifestazioni declinabili in sperimentazioni estetiche, di imagineering, futurologiche e così via; è cruciale chiedersi cosa si stia davvero indagando, chi beneficerà dei risultati e con quali fini.
Credo che le armi sonore siano oggetto di profondo interesse per la ricerca scientifica militare, dal momento in cui lo sviluppo di cosiddette armi non letali diventerà un obiettivo cruciale: sono strumenti che possono contribuire a controllare le popolazioni urbane, specie le popolazioni urbane ritenute più instabili e indesiderate. I conflitti urbani asimmetrici costituiranno una modalità di scontro sempre più rilevante e le cosiddette armi non letali sono un modo di esercitare potere coercitivo sulle popolazioni che può evitare l’imbarazzo di lasciare tracce sui corpi. Queste armi lasciano tracce contestabili anche sul piano forense, ad esempio tracce neurologiche come quelle riportate nel caso della cosiddetta sindrome dell’Avana, nel quale c’è riscontro di danni neurologici effettivi in molte delle vittime – o presunte tali – di questi incidenti, rispetto ai quali nessuno è ad ora stato in grado di individuare una causa attendibile. In ultimo, un’arma che non lascia traccia, o lascia una traccia ambigua, può avere un valore strategico decisivo nel contesto dei “nuovi” conflitti caratterizzati da una completa sovraesposizione mediatica derivante dalla diffusione capillare degli smartphone, intesi come dispositivi onnipresenti in grado di documentare tutto ciò che accade e condividerlo immediatamente online: l’importanza di progettare e disporre di armi dal carattere subdolo e mimetico cresce esponenzialmente, in una situazione di conflitto ipermediatizzata.