N el 2021 Treccani, editore di questa rivista, ha pubblicato per la prima volta il saggio di Raffaella Scarpa Lo stile dell’abuso: Violenza domestica e linguaggio. Il testo torna ora in libreria in una nuova edizione. Pubblichiamo per l’occasione la nuova premessa dell’autrice.
Nel 1969, nella Prefazione alla seconda edizione di Verifica dei poteri (1965), Franco Fortini scriveva che la critica più feroce che un libro può ricevere non è quella dei recensori o degli avversatori carichi di pregiudizio, ma quella “scritta in cifra nella realtà sociale” nella quale siamo immersi e compresi; è insomma la realtà a dar torto o ragione, ed è sempre la realtà a muovere implicitamente la “critica capitale” ai contenuti di un’opera. A ciò si aggiunga che l’ambizione fondamentale di un libro militante non è il plauso con i suoi rituali (sempre Fortini: “non basta disprezzare l’adulazione, bisogna non meritarla”), ma il produrre effetti nel mondo. È quindi a partire da questa prospettiva che per tentare un bilancio minimo circa Lo stile dell’abuso occorre considerare ciò che è accaduto nella realtà dalla sua uscita, nel settembre del 2021, a oggi.
Principiando da considerazioni oggettive, in questi ultimi tre anni i dati sull’abuso domestico confermano una tendenza ormai stabilizzata, ovvero l’incremento progressivo dei casi denunciati (un prima richiesta di aiuto viene rivolta a parenti o forze dell’ordine, secondo i dati riportati dall’istat nei suoi report biennali) e, parallelamente, l’aumento del numero dei femminicidi, mentre si è registrata la diminuzione delle chiamate per richiesta diretta di aiuto al numero antiviolenza, ma sono in netto incremento le chiamate informative.
In questi ultimi tre anni i dati confermano una tendenza stabile, ovvero l’incremento progressivo dei casi denunciati e, parallelamente, l’aumento del numero dei femminicidi.
Considerando altri dati che per brevità non riporto, ma facilmente recuperabili nei documenti ufficiali, ciò che emerge è una situazione paradossale che provo a schematizzare: a) lo stigma interno che sviluppa chi vive in una condizione di abuso domestico e che genera, insieme ad altri fattori, una istanza profonda di dispercezione rispetto alla natura della relazione abusante viene affrontato attraverso la volontà di informazione e verifica: sono insomma aumentati gli interventi volti a comprendere se comportamenti ed espressioni che allarmano e spaventano nella relazione di coppia siano effettivamente riferibili a una situazione d’abuso domestico; b) l’aumento delle denunce, in crescita progressiva, farebbe sperare che una maggiore consapevolezza rispetto alle dinamiche inscritte nelle condotte abusanti e una accresciuta sicurezza rispetto alle misure di tutela relative al post-denuncia attutiscano i sentimenti di paura rispetto a possibili ripercussioni o rappresaglie dell’abusante; c) i femminicidi in contesti di abuso sono in espansione (nel mondo, con buona approssimazione: 81.100 nel 2021; 89.000 nel 2022; 99.900 nel 2023; in Italia: 104 nel 2021; 106 nel 2022; 120 nel 2023).
Ogni paradosso sollecita domande, una su tutte: in quale relazione mettere l’incremento delle denunce e la volontà di verifica con l’aumento di femminicidi? In primo luogo, è plausibile ipotizzare un sommerso imponente del fenomeno fuori dai rilievi statistici, che giustificherebbe la discrasia; in secondo luogo, possiamo ragionevolmente supporre che esista ancora una cattiva conoscenza del fenomeno dell’abuso domestico, in particolare per quanto riguarda gli indicatori reali dei fattori di rischio, e questo spiegherebbe perché, a fronte di denunce e volontà di comprendere e approfondire, l’esposizione al pericolo è ancora altissima.
Ogni paradosso sollecita domande, una su tutte: in quale relazione mettere l’incremento delle denunce e la volontà di verifica con l’aumento di femminicidi?
Circa quest’ultimo punto, continuo a pensare, e non ne ho mai fatto mistero, che il fenomeno “abuso domestico” sia ancora in buona parte ignoto nelle sue dinamiche profonde, e che questa mancata conoscenza, peraltro mai pubblicamente tematizzata e discussa, crei danni severi per quanto riguarda la prevenzione, il sostegno, l’intercettazione del sommerso, il recupero, la formazione degli operatori e delle operatrici e, parallelamente, generi una immagine completamente distorta dell’abuso domestico che alimenta inevitabilmente l’errore.
Mi limiterò a sintetizzare alcune false verità che a mio parere persistono, frutto anche dell’osservazione del fenomeno dal 2021 a oggi:
- trattare come comportamenti non differenziati o poco differenziati abuso domestico, stalking, violenza sessuale, violenza di genere, molestia e ogni condotta afferente all’arcipelago del maltrattamento di genere: tali manifestazioni hanno fenomenologie e istanze differenti e assimilarli genera pericolose false equivalenze;
- non distinguere tra coppia conflittuale e situazione di abuso: anche in questo caso l’indistinzione tra fenomeni che nascono da istanze non sovrapponibili porta a considerare come indicatore di rischio il grado di conflitto nella coppia laddove il conflitto non rappresenta un indicatore standard delle situazioni di abuso domestico, poiché spesso “la violenza è mite”, secondo le parole di Pier Paolo Pasolini;
- considerare equivalenti violenza e aggressione: la violenza spesso non aggredisce né fisicamente né verbalmente, agisce sottotraccia secondo schemi fissi ma che vengono in buona misura ignorati;
- polarizzazione: ogni processo di conoscenza della realtà che usi come categoria interpretativa la polarizzazione mette in scacco il processo epistemologico; nei processi di conoscenza l’attribuzione valoriale, la distinzione in “buoni” e “cattivi”, in “amici” e “nemici” cristallizza in funzioni impedendo la lettura profonda dei fenomeni; proprio in contesti di difficile esegesi come l’abuso domestico, operativamente, e per garantirsi risultati plausibili, lo sguardo deve restare laico, e l’approccio essenzialmente fenomenologico;
- presupporre che le condotte abusanti siano compiute a partire da una istanza di cui l’abusante è pienamente cosciente: anche in questo caso presupporre una dicotomia tra stato di coscienza “normotipico” e stato di coscienza alterato è un improprio; occorre a mio parere focalizzare l’attenzione e comprendere la natura dello stato di coscienza e delle istanze reali che sono alla base delle condotte abusanti per capire davvero a fondo il fenomeno;
- patologizzazione dell’abusante: quando siamo al cospetto di condotte irrazionali e imprevedibili, tendiamo a interpretarle come “malate”; la classificazione nella categoria del “patologico” giustifica la difformità senza comprenderla, inibendo il processo di conoscenza; i comportamenti abusanti non sono ascrivibili a una patologia mentale, e piuttosto vanno osservati e interpretati senza ricorrere alla “patologizzazione”;
- considerare le condotte abusanti frutto di episodici “raptus”, azioni fuori controllo (“raptus” è la parola che viene continuamente ripetuta quando si parla di casi di violenza e femminicidio): l’abuso domestico è un sistema coerente e stabile di condotte volte all’assoggettamento della donna, che si parli ancora di “raptus” o di “imprevedibilità” è la prova che la conoscenza del fenomeno non è neppure iniziata;
- interpretare l’abuso domestico usando categorie logiche note: l’abuso domestico non è una condotta irrazionale, è fondamentalmente una condotta illogica; il suo essere uno dei fenomeni più sconcertanti a cui sia dato assistere deriva primariamente da questo e, come condotta illogica, appare impermeabile all’interpretazione profonda e risulta essere essenzialmente imprevedibile; per questa ragione, a mio parere, l’abuso domestico va inscritto nella classe delle “condotte abiette”, secondo la definizione di Julia Kristeva, secondo cui
L’abiezione è immorale, tenebrosa, losca, torbida: un terrore che si dissimula, un odio che sorride, una passione per un corpo quando non lo infiamma ma lo baratta, un debitore che ti vende, un amico che ti pugnala (…). Ogni crimine è tale in quanto segnala la fragilità di una legge, ma l’abiezione è peggio, non è rifiutare la morale, è deviare la logica.
(Da: Julia Kristeva, I poteri dell’orrore. Saggio sull’abiezione, traduzione di Annalisa Scalco, Spirali, Milano 2006)
Lo stile dell’abuso ha provato a comprendere la natura profonda delle condotte abusanti attraverso la specola dell’analisi linguistica e stilistica a partire da esempi concreti, raccolti sul campo in molti anni di lavoro, avendo io la ferma convinzione che i fenomeni complessi vadano prima decriptati e interpretati, e poi proficuamente affrontati. Realizzo oggi con chiarezza, attendendo l’uscita della seconda edizione, che il processo di conoscenza di dinamiche e codici relativi all’abuso domestico resta ancora nella fase larvale, che il reale interesse a capire il fenomeno a partire dalla sua matrice è limitato ed episodico, e che il linguaggio continua incredibilmente a rimanere il più sottovalutato tra gli strumenti di assoggettamento e violenza. Ma come recita un motto a me molto caro, “non ho bisogno di sperare per intraprendere, né di riuscire per perseverare”, e quindi non si può che proseguire.
Roma, luglio 2024