“P erché gli esseri umani, in epoche e culture differenti, in modo generalizzato e persistente guardano alla natura come a una fonte di norme per la condotta umana?”. Questa domanda, che Lorraine Daston si propone di affrontare in Contro natura, attraversa credenze popolari e indagini scientifiche, e sottende una lunga successione di controversie ideologiche e politiche. Come ricorda Daston, sull’idea di natura si è fondato il razzismo, ma anche la rivendicazione dei diritti naturali, e ancora oggi questo termine ricorre nei discorsi sul sesso o matrimonio naturale o sugli organismi geneticamente modificati. È evidente fin da subito che il tema ha vivissime implicazioni attuali. Ma Contro natura non intende prendere posizione rispetto alla riduzione delle norme a modelli naturali.
Con lo sguardo da lontano della storica, Daston ricorda che la critica a questa forma di riduzione della norma al dato naturale è stata formulata molte volte dai filosofi, soprattutto nell’epoca in cui il sapere scientifico, dalla fisica alla biologia, ha conseguito risultati straordinari. Tra l’Ottocento e il Novecento, la critica al «naturalismo» e al materialismo è stata uno dei temi principali di un’epistemologia che non è più tanto (o non è più affatto) animata dal bisogno di difendere l’eccezionalità sovrannaturale dell’anima umana quanto dall’intento di esaminare le condizioni e i limiti intrinseci delle scienze della natura. D’altra parte – ed è questo il punto di avvio della sua indagine – Daston constata che il rimando alla natura sembra essere un universale antropologico, una tendenza che persiste al di qua di divisioni teoriche e ideologiche, e si propone di individuarne le basi, dando forma a una ricerca antropologica sulla “ragione umana”.
Per comprendere e apprezzare meglio questo progetto, è opportuno tenere presente il percorso intellettuale di Daston, una delle figure più importanti della storia della scienza degli ultimi decenni, che finalmente diventa accessibile in lingua italiana. Fin dai suoi primi lavori, Daston si è dedicata a indagare come cambiano e si sviluppano nel tempo le idee che guidano l’indagine scientifica, imprimendo un nuovo slancio alle ricerche su questi temi da direttrice dell’istituto Max Planck di Storia della scienza. La questione del mutamento delle teorie scientifiche era uno dei grandi temi di questa disciplina, dalla “filosofia scientifica” ispirata dal Circolo di Vienna fino a Thomas Kuhn, che nel suo La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962) affrontava il problema del passaggio tra teorie incompatibili come l’astronomia tolemaica e quella copernicana, la meccanica di Newton e quella relativistica, avviando un dibattito sulle condizioni storicamente mutevoli della conoscenza scientifica.
Daston, che inizialmente si è occupata dello sviluppo della teoria della probabilità con le sue molte e diverse applicazioni, ha gradualmente ampliato il suo campo di ricerca dall’analisi dei grandi paradigmi scientifici al più vasto orizzonte di idee e pratiche che li precedono, preparano e accompagnano. Come ha mostrato in diversi lavori, per esempio, l’osservazione, l’oggettività e le leggi, che siamo abituati a considerare elementi necessari del lessico e della pratica scientifica, hanno in realtà attraversato trasformazioni rapidissime, soprattutto negli ultimi secoli, da quando nell’Europa del Diciassettesimo secolo – col lavoro di Galilei, Descartes, Newton e molti altri – si forma quella che chiamiamo scienza moderna. Si tratta di ricerche fondamentali, che raramente raggiungono il pubblico di non specialisti, col rischio di lasciar circolare un’immagine della scienza rigida e obsoleta, e rafforzare per contrasto ideologie scientiste e atteggiamenti antiscientifici.
La domanda che Lorraine Daston si propone di affrontare attraversa credenze popolari e indagini scientifiche, e sottende una lunga successione di controversie ideologiche e politiche.
Sulla base delle conoscenze storiche gradualmente acquisite con i suoi lavori precedenti, Daston arriva alla questione antropologica e filosofica della razionalità umana di Contro natura: se mutano, anche radicalmente, i criteri delle affermazioni che di volta in volta vengono prese per evidenti, obiettive, scientifiche, possiamo almeno individuare alcune caratteristiche universali di questi criteri? Il caso in questione è quello del passaggio dal fatto alla norma, ovvero la ricerca di una legittimazione di quello che dovrebbe essere in base a un ordine naturale dato. Daston offre una versione delle già ricordate critiche al naturalismo, formulando un’obiezione semplice ed efficace che deriva dall’evidenza storica: la natura presenta molti, troppi ordini, rispetto al tentativo umano di riconoscervene uno solo e ricavarne una morale e perfino una politica. Ma la domanda resta: perché, dopotutto, questo tentativo persiste? Perché tendiamo irresistibilmente a pensarla così?
Per esaminare questa intuizione, Daston presenta prima di tutto tre specie di ordini naturali che ricorrono nella storia del pensiero scientifico. Le nature specifiche, come quelle delle specie biologiche, di specie che si riconoscono stabili nel processo di riproduzione della vita; le nature locali, caratteristiche di ambienti di vario tipo, definiti dalle proprie condizioni di equilibrio in un contesto ecologico globale; le leggi di natura universali, che definiscono una regolarità dei fenomeni conforme a una scienza che pretende una validità universale (per esempio, quando Newton estende l’attrazione della gravità a tutta la materia dell’universo). Queste leggi dominano la scienza europea anche quando l’idea di un creatore o governatore del mondo, che le avrebbe promulgate, resta al di fuori del discorso scientifico.
A queste tre forme di ordine naturale corrispondono altrettante forme di disordine: fin dai primi secoli dell’età moderna, per esempio, mostri e omosessuali sono stati considerati eccezioni alle nature specifiche con le rispettive regole intrinseche al vivente; eventi catastrofici ambientali hanno mostrato l’instabilità dell’equilibrio ecologico; infine, i miracoli e la libertà del volere sono stati più volte portati a prova che l’ordine delle leggi di natura non è necessario. Queste eccezioni aprono uno spazio di riflessione sull’ambito del naturale, e possono condurre a una messa in discussione delle norme che per una certa epoca sono state assunte come valide. Già Karl Popper riconosceva che un caso che falsifica una legge produce una conoscenza più ricca di uno che sembra confermarla, poiché insegna che certamente quella legge non è universalmente vera, mentre le conferme non producono mai una prova definitiva della sua verità. In un’altra prospettiva, Carlo Ginzburg ha sostenuto che l’anomalia è preziosa perché permette per contrasto di comprendere la norma che essa viola.
Nelle anomalie, storia ed epistemologia trovano una convergenza, che Daston ha lungamente esplorato nelle sue ricerche, dandone un breve saggio in Contro natura. L’esperienza di queste anomalie, prosegue Daston, ha sempre dato luogo a specifiche emozioni di smarrimento: lo stupore, l’orrore, il terrore. Queste emozioni si accompagnano al riconoscimento di un’aberrazione rispetto all’ordinario, che può svilupparsi in una riflessione morale e teorica, scaturita dalla sorpresa, dal disorientamento, dall’ammirazione o dal rigetto per quanto si è osservato. Questa casistica serve perciò a illustrare una tesi: le intuizioni morali sono sempre condizionate dall’idea di un ordine naturale, benché possano avere contenuti diversissimi. La stessa parola norma contiene in sé questa ambivalenza, indicando sia ciò che di dà normalmente, nel senso della frequenza, sia ciò che deve essere, che è normale in senso morale. L’esperienza dell’anomalia, allora, può sollevare scandalo, ma anche mostrare che le norme possono essere messe in discussione.
La natura presenta molti, troppi ordini, rispetto al tentativo umano di riconoscervene uno solo e ricavarne una morale e perfino una politica.
Di fronte a questo bivio, dove si separano le opinioni umane, Daston si ferma e osserva: l’idea stessa di norma, qualunque sia il suo contenuto, che lo si approvi o meno, appare dipendente dall’esperienza dell’ordine. La natura è un modello dell’ordine morale in genere. Si tratta di un ragionamento di ispirazione kantiana, come segnala la stessa Daston con i diversi richiami al filosofo tedesco che attraversano il testo. Kant sottolinea che la stabilità della natura nei suoi diversi sensi è condizione di ogni esperienza: se minerali, animali, ambienti non presentassero caratteristiche specifiche e costanti, non ci formeremmo mai i concetti mediante cui facciamo un’esperienza. Più in generale, per Kant è necessario ammettere alcune leggi universali della natura, come il principio di causalità, senza le quali l’esperienza sarebbe impossibile. Ma il riferimento a un ordine naturale è necessario anche per l’esperienza morale. La pura volontà morale non può mai trovare motivazioni senza un qualche modello di un mondo in cui le intenzioni morali possano realizzarsi, e nessun ordine morale è concepibile senza riferimento a un ordine naturale.
D’altra parte, è vano supporre che questo modello possa essere offerto da un ordine sovrannaturale, trascendente, privo di alcun riferimento alla nostra esperienza. Si tratterebbe di ipotizzare un superamento della condizione umana, che lo stesso Kant aveva inizialmente provato a immaginare supponendo l’esistenza di extraterrestri, e che teologi e visionari del suo tempo attribuivano alla condizione angelica, ma che risulta infine impraticabile. Per renderci intelligibile un ordine, perfino uno metafisico, conclude Daston, dobbiamo sempre rappresentarlo secondo una sua manifestazione sensoriale, sotto forma di fenomeno: “per esseri come noi, c’è sempre e solo apparenza”. Si tratta di una posizione filosofica radicata nel pensiero di Kant, che Daston ritrova, corrobora e riformula dopo un lungo percorso. Per Kant, non solo le intuizioni sensoriali sono il solo mezzo per dare “senso e significato” ai concetti metafisici come sostanza e causa; la stessa idea di una legge morale universale, capace di vincolare tutti gli esseri razionali, si ricava da un’analogia con quella della legge di gravitazione universale: come quest’ultima, in natura, collega tutti i corpi nell’universo infinito, la legge morale vincola tutti i soggetti razionali sul piano ideale. L’imperativo categorico, la celebre legge morale kantiana, afferma infatti: “agisci come se la massima della tua azione dovesse, per tua volontà, divenire una legge di natura”.
L’analogia non toglieva lo iato tra ideale e reale, tra razionalità e storia. Questo iato restava per Kant insopprimibile, tale che nessuna garanzia provvidenziale o idea di progresso storico poteva cancellarlo. Per affrontare questa spaccatura fra la dimensione razionale e quella sensoriale, nella Critica del giudizio del 1790, riconobbe nel sentimento estetico della natura una prova che l’umanità può in realtà trovare un accordo universale e disinteressato. Come possiamo pretendere da tutti una comune capacità di riconoscere la bellezza della natura, così condividiamo una razionalità capace di guidare verso un mondo morale. La bellezza naturale pertanto è un “simbolo della moralità”. Riecco la natura come caso esemplare, punto di sutura tra reale e ideale, su cui far leva per immaginare un mondo morale diverso da quello presente.
Sono tutte pagine che Daston ha certamente presenti in Contro natura. Lei stessa sostiene altrove che, in un mondo che appare sempre più dominato da regole, regole e algoritmi non sono mai senza eccezioni, e per interpretarle e procedere con la vita umana, oltre alle capacità logiche, è necessaria l’intuizione del buon senso, quel “senso che abbiamo in comune”, che Kant faceva risalire alle comuni facoltà conoscitive degli esseri umani. La prospettiva filosofica che fa da sfondo a Contro natura sembra quindi ascrivibile a un progetto antropologico di origine illuminista. Mostrare le condizioni della razionalità umana, del suo esercizio, può orientarci nel tentativo di fare i conti con le infinite controversie sull’ordine, naturale e morale, delle cose umane, facendo a meno dell’illusione di un accesso a un ordine delle cose assolutamente oggettivo, trascendente, che pretenda di far sparire queste controversie con un lampo folgorante. Il pensiero di Daston invita a un esercizio prezioso per navigare in tempi d’incertezza e fanatismo.
Estratto dalla prefazione a Contro natura di Lorraine Daston (Timeo, 2024).