Q uando TechGnosis: Myth, Magic, and Mysticism in the Age of Information dello scrittore Erik Davis uscì per la prima volta, nel 1998, Google stava muovendo i primi passi, la rivista Wired incarnava alla perfezione la nascita di una prospettiva che mescolava lo spirito imprenditoriale californiano con un atteggiamento hippie, e la descrizione di cyberspazio fornita da Gibson veniva ancora accolta come un possibile mito fondativo. Ciò che ha permesso a TechGnosis di resistere nel tempo e di rimanere tutt’oggi un libro rilevante per comprendere la cultura digitale è stata la decisione di Erik Davis di fare un passo indietro rispetto al proliferare incontrollato di novità tecnologiche e informatiche che hanno segnato quegli anni.
Come scrive Davis nell’introduzione al saggio, si tratta di un libro “scritto all’ombra del millennio”, ma che per dare un senso ai cambiamenti allora in atto decide di ripercorrere i complessi collegamenti sotterranei che legano le tecnologie contemporanee e gli universi digitali a vicende che si perdono nel tempo, come lo gnosticismo, lo sviluppo del pensiero alchemico e la filosofia ermetica. In questo senso TechGnosis ha contribuito a complicare il quadro teorico dei media studies tracciando, inoltre, la genealogia di concetti che ora fanno parte del nostro rapporto quotidiano con internet. La conversazione che segue è nata dalla recente pubblicazione, per la casa editrice NERO, della nuova traduzione in italiano di Techgnosis, curata da Francesca Massarenti.
Vorrei iniziare questa conversazione partendo da una domanda che viene quasi spontanea rileggendo TechGnosis nel 2024: quanto nel frattempo è cambiato quello che, in modo molto generico, potremmo definire il nostro rapporto con l’universo digitale? Per restringere l’ambito della domanda vorrei concentrami su ciò che scrivi nella seconda postfazione, scritta nel 2015: parlando della diffusione di complesse teorie del complotto sorte dopo l’undici settembre scrivi, quasi con cautela, che questi fantasmi cospiratori fanno parte dell’immaginario politico moderno. Nel 2024 – mentre Kill All Normies è diventato un classico, il PizzaGate segue fasi alterne di rinascita e assistiamo al ritorno di vecchie paure legate ad armi chimiche di distruzione di massa – la tua tesi non solo è stata pienamente confermata, ma ha assunto una dimensione e degli effetti tali da non poter più essere rilegata in secondo piano.
TechGnosis è stato scritto dai margini guardando verso un mondo mainstream che non esiste più. Molti di questi margini sono diventati parte della corrente principale del mondo o, se vogliamo, il mainstream stesso si è dissolto e frammentato, permettendo così a tutti questi discorsi, ispirazioni, idee, paure e fantasie di migrare verso il centro. Quindi è un po’ ironico che il 2015 sia stato probabilmente l’ultimo momento in cui si poteva dire che questi fatti erano ancora periferici. Perché, almeno negli Stati Uniti, il periodo che ha preceduto l’elezione di Donald Trump è stato un successo, una sorta di esplosione del pensiero cospiratorio e poi una crescente consapevolezza che quest’ultimo avrebbe avuto delle conseguenze politiche. E queste conseguenze politiche erano abbastanza visibili, almeno dalla mia prospettiva. Uno degli aspetti più curiosi di quel fenomeno affascinante, e allo stesso tempo disturbante, che è QAnon è il suo essere cresciuto di interesse anche per un segmento di popolazione che, generalmente, avrebbe sostenuto iniziative di sinistra o votato per i Democratici. Erano persone che facevano parte di comunità legate alla medicina alternativa, alla psichedelia, allo studio delle energie corporee. C’è sempre stata una specie di politica mista in quel mondo, ma negli Stati Uniti, almeno nella controcultura, era in gran parte vicino a un lato progressista.
Ciò che rende interessante QAnon è il suo essere così eclettico da poter assorbire tutto. Alcune persone si sono poste con un atteggiamento abbastanza razionale, sono preoccupate soprattutto dal deep state e non sposano un pensiero soprannaturale, ma nello stesso movimento convivono altre persone che parlano di macchine del tempo e alieni. E poi ci sono delle questioni che si collocano a metà strada, penso alla teoria sull’abuso e traffico minorile. Da una parte, essa costituisce una possibilità concreta. In alcune versioni, tuttavia, è prevalsa una sorta di rilettura satanica, alimentando, in un certo senso, una paura e una fantasia cristiana. Eppure ci sono forme di QAnon pagane, non cristiane e addirittura anti-cristiane. Sembra che nel suo complesso non abbia senso: come può funzionare? Come può effettivamente generare, almeno provvisoriamente, un immaginario politico coeso? E ciononostante ci è riuscito. Da un certo punto di vista, dunque, QAnon è un segno del crollo delle barriere che tenevano le teorie del complotto ai margini, che è ciò che definisce una teoria del complotto. Basta guardare l’origine del termine stesso: dopo l’assassinio di John F. Kennedy, quando la Commissione Warren concluse che Lee Harvey Oswald agì da solo, diverse persone rifiutarono a gran voce questa ricostruzione, iniziando a notare dei buchi nella storia. La “teoria del complotto” nasce per delimitare, bloccare questi discorsi e mantenerli ai margini, lontani dalla narrazione principale.
In un certo senso, nella seconda prefazione sono stato un profeta timido: l’ho visto arrivare, ma non pensavo che questo fenomeno avrebbe avuto effetti così profondi e sviluppi così rapidi. Non ho scritto molto a riguardo, ma ho trascorso quasi un intero anno della pandemia ad occuparmi di queste tematiche come ospite in diversi podcast. Ho cercato di allontanare le persone da quello che alcuni ora chiamano “conspiritualità”. È una sorta di fusione tra queste visioni spirituali alternative e le teorie del complotto. Ho cercato di spiegare come funzionano le cospirazioni, perché sono attraenti, perché richiedono una sorta di igiene mentale per comprenderle o evitarle. Ogni volta che parlavo di teoria del complotto, dovevo sempre insistere sulla cautela. La storia e il potere spesso prendono una forma cospirativa: respingere tutto dichiarando che sono solo teorie del complotto, senza confrontarsi con esse, non è più sufficiente. Quello che cerco di offrire con il mio lavoro è un certo modo di essere aperti, ma scettici. Surfando sulle complessità di questi temi, non cercando di ripristinare una visione mainstream basata sulla razionalità e su una particolare narrazione storica, che non ritengo più accessibile. Voglio dire, siamo nel brodo. Siamo in una giungla composta da tutte queste diverse versioni della realtà, e anche se c’è sempre meno luce, dobbiamo trovare il nostro modo di attraversarla.
Nel capitolo “Tecnognosi, all’americana” sottolinei come le fantasie di immortalità del transumanesimo e dell’estropianesimo siano più affini allo gnosticismo che al cristianesimo. Anche quando queste aspirazioni si realizzano nella variante di possibili viaggi di conquista extraterrestri, esse non smettono di essere infarcite di una nostalgia per una dimora cosmica. Non ti sembra che la risposta di abbandonare il pianeta – Musk parla anche di trasformare con echi alchemici il genere umano in una specie interplanetaria –, proprio nel momento in cui si sta andando verso un completo tracollo della Terra, rifletta indirettamente una spinta ad abbandonare la materialità del pianeta in direzione di una trascendenza cosmica?
È una domanda molto interessante, e con il giusto tempismo dato che sto per insegnare un corso riguardo al romanzo di Philip K. Dick Le tre stimmate di Palmer Eldritch (1964). In quel romanzo c’è un miliardario spaziale che torna da un sistema extraterrestre con una nuova droga migliore della vecchia psichedelica consumata dalle persone. È una storia molto oscura di una sorte di arconte, una figura dello gnosticismo che si riferisce ai governatori del mondo. È un termine che ha delle sfumature di significato diverse rispetto ai demoni. Questa distinzione è cruciale perché parte del mood gnostico contemporaneo deriva da un’ossessione per gli arconti. Se ti immergi nella teoria delle cospirazioni, nella spiritualità di nicchia, troverai persone che parlano degli arconti e dell’idea che la nostra realtà, così come la stiamo vivendo ora, è in gran parte, se non esclusivamente, sotto l’influenza di questi grandi e oscuri controller non-umani. Per fuggire è necessario cercare delle fessure nella realtà. È diverso da ciò che mi stai chiedendo, ma è un altro segno che siamo in un’era gnostica. Ciò che mi ha colpito è che ci sono molte strane risonanze tra questa figura di Palmer Eldritch ed Elon Musk: anche lui è un personaggio che associamo allo spazio e alle droghe. Sai, proprio in questi giorni, il The Wall Street Journal ha parlato delle diverse droghe che Musk si è preso. E ha perfettamente senso. Perché fa parte di un certo tipo di mentalità da Silicon Valley, ora globalmente diffusa tra i miliardari della tecnologia, che combina una sorta di arroganza, una specie di senso antidemocratico, con una fede nella tecnologia e nel superamento tecnologico.
Penso sia interessante parlare della differenza tra cristianesimo e gnosticismo, dal momento in cui puoi guardare l’intera idea di progresso tecnologico come una delle idee storiche più importanti, se non la più importante, che ha guidato l’Occidente. Questa idea porta con sé la prospettiva che stiamo andando verso un mondo migliore, e che stiamo diventando persone migliori, più efficienti e più potenti. In un certo senso, quello che si potrebbe dire è che nei suoi modi migliori, nei suoi modi più liberatori, il mito del progresso, che anima in maniera diversa il marxismo così come il capitalismo, parlava davvero di un accoglimento cristiano della totalità positiva del mondo e delle persone. Quello che sta accadendo ora è che le persone per le quali il mito del progresso è ancora vero stanno diventando sempre meno. La maggior parte di noi non ci crede più. E in realtà sperimentiamo qualcosa di simile all’opposto, anche in forme banali: nessuno di noi crede che l’ultimo iPhone migliorerà la sua vita. Posso parlare per la mia generazione: quando uscivano i primi Mac e stava arrivando un nuovo computer eravamo tutti molto entusiasti, c’era la percezione di un grande salto avanti collettivo. Ci sono però delle minoranze di persone che possono ancora identificarsi, fare soldi, credere e intensificare questo tipo di processo. Il lato cristiano sta venendo meno, ovvero è meno incentrato sul mondo intero e sull’intera popolazione, in questo senso si avvicina di più a un senso politico gnostico. Tutti noi, con un po’ di accorgimenti, possiamo sentire la classe miliardaria parlare esplicitamente di trascendere la terra, di caricare la mente o di prolungare la vita come una sorta di estensione galattica per affrontare ciò che il capitalismo, e molte altre forze storiche, ci hanno lasciato. Mi riferisco a questi problemi, a queste esternalità – come le chiamano in economia – tutte queste conseguenze non intenzionali, questo karma negativo, che ci sta affogando. Il cambiamento climatico ne è un esempio perfetto. Stiamo soffrendo e continueremo a soffrire per decisioni tecnologiche che sono state prese molto tempo fa. È come se avessimo fatto un patto con questi arconti del petrolio e ora ci troviamo con plastica ovunque: nei nostri corpi, nelle parti più remote della terra.
Ecco dunque che ritorna una forma di pensiero gnostico, come causa della tecnologia e del suo essere, in parte, animata da questa specie di fantasia di trascendenza e perfezionamento. Si tratta ovviamente di una versione materialistica e grossolana di queste idee spirituali precedenti legate al perfezionamento. Ora è la tecnologia che sta diventando perfetta, è la tecnologia che si sta svegliando, sta diventando IA o qualunque altra cosa. E così la classe miliardaria, le persone che riescono a vedere cosa sta succedendo, sono ancora in grado di indentificarsi con l’intera area spaziale, ma sarà solo un’altra ripetizione. È la storia raccontata da Philip K. Dick. Sembra che sarà un nuovo fantastico mondo, ma appena arrivati, ritorna la competizione, la spazzatura, la lotta e lo sfruttamento. Per lo meno, questa componente spaziale è più divertente rispetto al semplice sfruttamento e all’estrazione grezza di noi stessi come modo per intensificare la ricchezza di questa classe superiore. È una classe sociale che effettivamente sta fluttuando via e sarà presto molto diversa rispetto a noi in termini di genetica e di cure mediche a cui ha accesso. O per il suo coinvolgimento con le tecnologie transumane che ci potranno portare ad un punto in cui non ci sarà più una sola e indistinta razza umana.
Ripercorrendo la storia dei primi giochi multiplayer online e, soprattutto, dei Multi-User Dungeon (MUD), riporti una discussione centrale di quegli anni. Ovvero che il diffondersi di universi multi-utente che si allontanavo drasticamente da quell’immaginario, per divenire veri e propri mondi anarchici, aveva portato con sé le lamentele dei giocatori più vicini ai primi MUD sulla mancata distinzione fra avatar e persona reale. Da qualche anno però mi sembra che stia nascendo una spinta contraria, derivata dal diffondersi di pratiche di worldbuilding. Più che una forma di escapismo, leggo questo bisogno di costruire universi e mondi come un desiderio di collaborare ad una trama comune. Penso ad esempio all’idea di lore e alla funzione esplorativa che è affidata agli abitanti di questi universi. Non hai l’impressione che l’idea stessa di avatar richiami un mondo online che sta scomparendo o che si è ridotto ad essere sempre più marginale?
Mi piace quest’idea. Penso però che sia più una tua prospettiva, in parte perché non sono così sintonizzato con il mondo dei videogiochi contemporanei. Certo, qualcosa l’ho notato anch’io. Ad esempio quello che è successo con Minecraft mi sembra significativo: siamo in un mondo totalmente diverso, dove il gioco non si concentra più sulla costruzione singola, ma sull’atto di costruire in collaborazione con altri. Altrettanto importante è notare che si tratta di costruire un mondo che sembra riflettere una profonda necessità di condividere, di dare vita a comunità e assumersi la responsabilità delle strutture in cui viviamo. Sai, è come dire, se tutto questo sta accadendo virtualmente, non è che può avere un impatto anche nel mondo reale? Oppure soddisfa esigenze che il mondo materiale non può soddisfare? Queste domande ci portano in direzione di quella strana tensione nella quale ci si chiede se il mondo virtuale sia solo un luogo di fuga o effettivamente un posto dove molti dei nostri veri bisogni iniziano ad essere soddisfatti collettivamente. Mi sembra quindi una risposta molto valida e creativa a questa condizione, al fatto cioè che Internet è diventato terribile in molti sensi. Uno dei sensi per cui è diventato un posto terribile, come hai detto tu, è che ha assorbito le nostre vere identità individuali e le ha trasformate in cartoni animati. Abbiamo il peggio di entrambi i mondi. Queste identità, infatti, sono troppo legate alle nostre identità ordinarie anche solo per poterci divertire con loro.
L’idea della lore è davvero fantastica. Penso che sia un riconoscimento di qualcosa che è stato vero per molto tempo, non solo nella game culture, ma nel fantasy e nelle sottoculture in generale. Penso che la lore rifletta delle profonde esigenze e desideri umani universali legati alla costruzione di mondi, allo sviluppo di rituali e schemi, creando una sorta di intimità in cui può trovare spazio l’aspetto ludico, la rivalità, ma anche un senso di potere e importanza. Dall’esterno una convention di fan di Star Trek negli anni ’70 sembrava una cosa priva di importanza, un piccolo stagno, eppure l’interno di questo stagno racchiudeva così tanta ricchezza e multidimensionalità da andare ben oltre l’idea di semplice consumatore. In molti modi le diverse sottoculture pop sono andate incontro ad una meccanizzazione e razionalizzazione da parte dell’industria dei media. Un ottimo esempio è Hunger Games: quando un film simile esce, il dipartimento marketing ha già assegnato ai fan la possibilità di lavorare gratuitamente al fine di sviluppare una cultura attorno alla pellicola che, a sua volta, creerà la base per il merchandising e la ripetizione del prodotto attraverso i sequel. Il fan diventa, in questi casi, parte della proprietà mediatica. L’ascesa dei film sui supereroi si spiega in parte grazie anche a questo meccanismo. Questo per quanto riguarda il livello mainstream di grandi oggetti mediatici. Penso invece che nelle lore più esoteriche che menzionavi tu, dove ci sono numeri più ristretti di persone o quantomeno forme di lore più arcane, vi sia lo spazio per una maggiore ricchezza. Il concetto stesso mi sembra anche indicare il modo in cui ora navighiamo il mondo: si tratta di attraversare la lore di un luogo e imparare i diversi linguaggi di quei posti. C’è una sorta di frattura tra le nostre identità ordinarie e questi mondi mitici e nerd con cui interagiamo.
Su queste tematiche è uscito un libro molto interessante intitolato What We Do is Secret (2023) di Larne Abse Gogarty, dedicato alla musica underground americana. Ciò che amo di quel libro è il collegamento tra idea di segretezza e creatività delle sottoculture. Negli anni ’80 vi erano molti spazi fisici che potevano essere occupati e che, per essere raggiunti, dovevi sapere come trovarli. Stiamo parlando di processi completamente analogici. Il flyer attaccato al muro creava un perfetto livello di visibilità in modo tale che le band potessero iniziare a conoscere altre band simili in parti differenti del paese. Da qui era possibile iniziare a creare delle reti fra questi luoghi, dei circuiti di distribuzione indipendenti dei dischi in modo da dare vita non proprio a una scena nazionale, ma ad una sorta di rete in grado di collegare tutte queste scene locali. Da un punto di vista culturale è questo ciò a cui si aspira quando si fa worldbuilding. È molto difficile realizzare una cosa simile negli ambienti contemporanei del capitalismo della sorveglianza e della saturazione di informazioni. Non puoi nascondere un progetto, un’idea, così a lungo da permetterle di prendere forma senza che venga prontamente ridicolizzata, limitata e sfruttata commercialmente. Si inizierà subito a discuterne con toni polarizzanti. Quindi ciò che mi sembra di capire – e lo presumo, dato che non sono sufficientemente informato – è che questo processo di worldbuilding segua una traiettoria che va dal basso verso l’alto. Emerge da persone che creano un gioco e una relazione collettiva. Occupando uno spazio fisico o digitale, che permetta alle novità di iniziare ad emergere. È come il passaggio dai social media più mainstream a Discord: la gente si spaventa perché potrebbero esserci dei nazisti, e sì, probabilmente ci sono. Ma non voglio, per questo motivo, soffocare la tecnologia e lo spazio che permette la nascita di questi processi creativi mettendoli sotto la funzione sorvegliante di una macchina discorsiva che giudica tutto. Bisogna accettare i rischi e i pericoli che accompagnano queste attività affinché abbiano la forza per creare lo spazio necessario per delle sottoculture ricche e fiorenti.
Tempo fa mi ero imbattuto in un meme in cui si comparava la meditazione allo scrolling infinito, alla stimolazione da troppa noia della meditazione veniva contrapposta la noia da troppa stimolazione del doomscrolling. Questa idea mi ha riportato al passaggio del tuo libro in cui recuperi la bizzarra strategia messa in opera da Genesis P-Orridge e dai membri di Thee Temple ov Psychick Youth di trasformare il rumore bianco delle televisioni in strumento di ipnosi e meditazione. Valentina Tanni nel suo Exit reality (2023) sottolinea come nelle culture online emerse a partire dagli anni Dieci ad apparire non è un desiderio per universi mentali e disincarnati, ma una ricerca di elementi spirituali e ipnotici che passano spesso attraverso sensazioni fisiche o stati emotivi. Tanni in particolare cita il mondo degli ASMR, ma anche il perenne stato di distrazione, quasi estatico, dato dalla completa saturazione dell’attenzione. Di fronte a questi nuovi tecno-rituali, al proliferare di soglie e tunnel che rendono la distinzione fra vita online e offline più sfuocata, possiamo ancora parlare di tecno-animismo?
Penso che abbia ancora senso parlare di tecnoanimismo soprattutto in relazione alle forme di intelligenza artificiale che presto abiteranno oggetti e tecnologie con cui interagiamo nel mondo, e soprattutto mentre ci stiamo spostando verso una comunicazione verbale con esse. Questo concetto, dunque, continuerà a fornire un quadro teorico utile per indicare come personifichiamo, proiettiamo e incontriamo l’agency cosciente delle tecnologie non-umane. Penso però che quello che mi stai chiedendo sia diverso. La tua domanda riguarda un evento e uno spazio differente all’interno dello sviluppo tecnologico e penso vi siano molte cose che stanno accadendo a questo proposito. Innanzitutto, è come se si fossero scoperte le dinamiche, non solo delle emozioni, ma anche dell’affetto. Mano a mano che questo spazio dato alla sensazione si intreccia con la comunicazione, con i processi digitali, nei processi artistici e nello sviluppo delle soggettività, si ottiene qualcosa di molto interessante che, in un certo senso, risponde anche a delle logiche collettive. Quello che voglio dire è che, come il worldbuilding può essere colto in senso positivo, così questo re-impegnarsi con la sensazione corporea, la fisicità e l’affetto delle emozioni può essere visto come una risposta al fatto che il linguaggio parlato sta collassando nel suo potere concreto di costruire dei mondi. Sta divenendo rumore, una forma di distrazione. Non penso sia un caso che una delle prime grandi crisi che l’IA ha introdotto nella mente delle persone riguardi proprio la scrittura. Perché rappresenta una più profonda e vasta crisi che concerne lo scollamento tra le discussioni – e con esse il bisogno continuo di rinominare, il chiacchiericcio da social – e il modo in cui la storia, il mondo fisico e le nostre soggettività cambiano nel tempo. Ecco perché c’è una sorta di slittamento istintivo verso forme esperienziali meno linguistiche. Questo spiega anche perché stiamo assistendo ad una sorta di ritorno a pratiche meditative e new age. Ma riguarda anche l’ASMR e il modo in cui le persone trovano nuove forme di unione attraverso le sensazioni. E questo può avvenire anche con i traumi: il trauma è una sorta di cluster energetico, molto intenso e reale che per definizione stessa sfugge al linguaggio.
Chiunque apprezzi e conosca il mondo della musica elettronica sa che vi sono molti modi di sentirsi parte di un corpo collettivo che passano per stati energetici, fisici, affettivi, dunque per lo più non linguistici. Anche il mondo della rinnovata spiritualità non è che un’altra zona culturale in cui le persone si trovano per creare comunità, con pratiche collettive che le aiutano a sviluppare concetti ed esplorare spazi nuovi. A volte attraverso forme di trance, a volte attraverso il completo rilassamento o la noia stessa. Se medito, in un certo senso, io mi disconnetto, esco dall’idea di consenso, non sto più lavorando nella società. Non sto facendo nulla, sono seduto sul mio cuscino a guardare il mio ombelico (navel-gazing). In un altro senso, tuttavia, sto effettivamente incontrando zone di affetto che non riguardano più la mia personalità. Si tratte di zone elusive, bizzarre, difficili da catturare linguisticamente, culturalmente e ideologicamente. Certo, può essere semplicemente una grande distrazione, un modo per non pensare più. Nelle loro forme più intelligenti però, si tratta di modalità di esplorare nuovi rapporti con i nostri corpi, il nostro sistema nervoso e le tecnologie. Così come modi per esplorare il rapporto con altri corpi. È una sensazione che fa credere che ci sia ancora qualcosa di possibile, che non tutto possa essere semplicemente assorbito dai discorsi su Internet.