I n un articolo pubblicato nel Settembre 1960 sulla rivista “Astronautics” dal titolo Cyborgs and Space, i ricercatori dell’istituto di salute mentale Rockland State Hospital di Orangeburg, Manfred Clynes e Nathan Kline, speculavano su una serie di strategie da adottare per potenziare il corpo umano e regalare all’umanità la possibilità di viaggiare oltre l’atmosfera terrestre. Nel testo, basato a sua volta sul saggio Drugs, Space and Cybernetics, si faceva cenno a un nuovo essere umano “espanso” grazie all’implementazione dei suoi processi bio-vitali, per favorire il suo adattamento ad atmosfere ostili. Questo avveniristico costrutto venne denominato “cyborg” (cybernetic organism) e definito come “un soggetto capace di incorporare componenti esogene, estendendo la funzione di autoregolazione del proprio organismo per adattarlo a nuovi ambienti”.
Come sia evoluta la percezione collettiva del termine cyborg alla luce dei linguaggi del cinema, della letteratura e di certa arte contemporanea, come sia orientata principalmente all’esaltazione delle potenzialità formali ed estetiche offerte dall’alterazione dei corpi, è significativo di come i paradigmi della tecnoscienza, nonché della filosofia e della critica, non abbiano fatto lo stesso numero di proseliti nel passaggio dal vecchio al nuovo millennio. Forse, anche per questo motivo, nel 2017 ha generato grande eco l’opera di fiction Body/Mind/Change, estensione online della grande mostra David Cronenberg: Evolution. Il progetto racconta il lancio della società fittizia BMC Labs, di cui lo stesso Cronenberg è testimonial in un video teaser coerente con le atmosfere claustrofobiche dei suoi film, in grado di produrre impianti biologici capaci di espandere le capacità del corpo umano aumentandone sia la resistenza alle malattie sia la capacità cognitiva.
Sono molti gli scienziati e i pensatori che negli ultimi cinquecento anni hanno immaginato il futuro della razza umana nel quadro di un processo evolutivo legato ai progressi della tecnoscienza.
Prevedendo che in pochi anni “il 15% della popolazione sarà migliorato” all’interno di un “mercato di circa 30 miliardi di dollari”, il primo prodotto lanciato dalla BMC Labs è il POD (Persona, On-Demand): un sistema cellulare ibrido su scala nanometrica, costruito a partire dalle nostre stesse cellule e dal nostro sistema genomico. Se il progetto Body/Mind/Change è frutto di fantasia e riporta agli immaginari della science fiction e di certa narrativa cyberpunk anni Novanta, in verità sono molti gli scienziati e i pensatori che negli ultimi cinquecento anni hanno immaginato il futuro della razza umana nel quadro di un processo evolutivo maggiormente legato ai progressi della tecnoscienza. Dal filosofo ortodosso Nikolai Fedorovich Fedorov al genetista e biologo evoluzionista J.B.S. Haldane, dal padre della crionica Robert Ettinger al fautore dell’estensione della vita Saul Kent, dal matematico Marvin Minsky all’eugenista Julian Huxley e al teorico e saggista F.M. Esfandiary, fino ai più conosciuti Max More, Damien Broderick, Ray Kurzweil, Hans Moravec, Vernor Vinge e Nick Bostrom, la contaminazione tra elemento naturale e soggetto artificiale ha sempre affascinato l’essere umano per le enormi potenzialità sia da un punto di vista strettamente evolutivo sia squisitamente teologico. Innesti, protesi, impianti, ma anche biotecnologie, genetica, neuroscienze e nanotecnologie sussurrano da tempo al nostro orecchio promesse di superamento della condizione umana e possibilità quasi blasfeme di modellazione dei nostri corpi.
Questo approccio strettamente quantitativo, determinista, muscolare al discorso evolutivo – tipico di certo pensiero transumanista – rischia però di essere limitato e cieco rispetto a una serie di questioni sociali, politiche, identitarie sui nuovi corpi che sono gli elementi alla base delle istanze di pensiero, etico e sociale, al contrario, del Postumanesimo. In questo caso, il quadro di riferimento teorico ed epistemologico abbraccia diversi ambiti disciplinari che pongono il corpo umano al centro della propria ricerca, nel rapporto con il contesto circostante. Filosofi della fenomenologia e pensatori post-moderni, decostruzionisti e post-strutturalisti (Husserl, Heidegger e Merleau-Ponty, ma anche Derrida, Lyotard, Foucault, Irigaray, Deleuze e Guattari su tutti), filosofi e sociologi della scienza (Serres, Latour), rappresentanti del post-femminismo, delle teorie queer, del cyberfemminismo e del neo-materialismo provenienti da diversi ambiti della teoria critica, dei cultural studies e della filosofia (Hayles, Butler, Haraway, Braidotti, Barad, Van Der Tuin, Zylinska, Plant, Hester, Preciado), nonché rappresentanti dell’antropologia sociale (Ingold), del realismo speculativo (Badiou, Brassier, Meillasoux) e della Object Oriented Ontology (Harman, Bryant, Morton), hanno contribuito tra la fine del secolo scorso e i primi vent’anni del nuovo millennio a definire i contorni di un nuovo essere umano in relazione non gerarchica con tutti gli elementi (umani e non-umani, naturali e artificiali, organici e inorganici) che lo circondano. Anche e soprattutto grazie all’implementazione e all’espansione corpora, sensoriale e cognitiva garantita dallo sviluppo della ricerca tecnologica e scientifica. In questo scenario teorico, il corpo umano emerge come una chimera in grado di superare i dualismi di materia e significato, natura e cultura, organico e artificiale. Organismo ibrido aperto al contempo al dialogo con i mondi del design e dell’arte: anzi, con quel territorio interdisciplinare, scarsamente definito e manchevole di riferimenti e metodologie operative.
Un approccio strettamente quantitativo e determinista al discorso evolutivo rischia di ignorare le questioni sociali, politiche, identitarie del Postumanesimo.
Il corpo umano espanso dalla tecnoscienza è infatti al centro di indagini, progetti e momenti di condivisione di una serie di media lab, istituzioni e centri di ricerca a livello internazionale da almeno tre decenni. Nonché di molti artisti e designer che, a stretto contatto con le pratiche culturali e produttive di questi luoghi, indagano le possibili modalità di dialogo tra noi esseri umani e il contesto nel quale siamo immersi. Dare uno sguardo all’attività condotta in alcuni di questi luoghi (Genspace, Baltan Laboratories, Waag Society, CyborgFoundationLabs e Hackteria, solo per citarne alcuni), mette in evidenza una quantità considerevole di studi, procedure e iniziative che innescano impensati equilibri tra arte, design, tecnologia, scienza, filosofia, etica e società. Questi luoghi sono stati e sono tutt’oggi preziosi per le pratiche e i processi produtivi di artisti e designer come Sputniko!, Neil Harbisson, Anouk Wipprecht, Heather Dewey-Hagborg, Margherita Pevere e Marco Donnarumma, ad esempio, i quali operano in una pratica di sperimentazione radicale, che prende spunto sia dal pensiero filosofico sia dalle prassi open source e DIY.
Dall’analisi di opere come Menstruation Machine – Takashi’s Take di Sputniko!, Stranger Visions di Heather Dewey-Hagborg, Wombs di Margherita Pevere o anche Eingeweide di Marco Donnarumma/Fronte Vacuo, si evidenzia come “corpo espanso” è per tutti loro un costrutto sostanzialmente aperto alla contaminazione con l’ambiente circostante. Un’entità ibrida, compenetrazione di elementi di naturalità e di artificialità, in cui le proprietà fisiche, percettive e cognitive sono estese oltre i normali limiti a definire un sistema integrato senza un confine fisso e inviolabile. Una architettura bio-meccanica che attiva miriadi di relazioni con elementi non-umani. Un composto di attanti, capace di meravigliose diversità. Un’entità bio-techno-queer in costante mutazione e sostanzialmente indefinibile in termini sia naturali sia culturali. Esso rivendica la promessa di una profonda molteplicità strutturale, una serie potenzialmente infinita di congruenze e incongruenze, che nascono da una libertà assoluta di progettazione di funzioni, esperienze e processi. Esplora l’alterità e l’ambiguità sfidando le convenzioni e abbraccia tutto ciò che è contraddittorio, grazie a una prassi di contaminazione che non può esser stabilizzata, unicamente progettata e definita perché scevra da una caratteristica agentiva presente a priori, quanto coeva a fenomeni energetici, sensibili ed estetici in divenire. Genera quindi opere mai del tutto finite, in costante trasformazione, che nascono solo in parte da un’idea o da una immagine pre-definita e sono in grado di intervenire sui processi di formazione del pensiero critico collettivo.
Il corpo umano emerge come una chimera in grado di superare i dualismi di materia e significato, natura e cultura, organico e artificiale.
In altre parole, il loro “corpo espanso” è un modello incarnato di produzione di significato, un soggetto-oggetto di conoscenza che passa attraverso opere ed esperienze che mettono in dialogo creativi, progettisti, scienziati, programmatori , filosofi e società comune. Ad essi, restituisce una serie di scenari, narrazioni e riflessioni sul rapporto tra essere umano e contesto che favoriscono il dialogo interdisciplinare e la diffusione di un tipo di conoscenza scevro da divisioni sociali, culturali e accademiche e che ambisce ad allargare la prospettiva di una rinnovata libertà corporea, accettazione sociale e coscienza ambientale.
Un estratto da Chimera. Il Corpo Espanso per una nuova ecosofia dell’arte di Marco Mancuso (Mimesis Edizioni, 2023).