A
gosto 2019, un gruppo di manifestanti vestiti di nero, i volti coperti da sciarpe e passamontagna, caschi e ombrelli, attacca un flessibile a un palo della luce e lo sega. Il palo crolla a terra, nel giubilo generale. I manifestanti non si fermano. Si avvicinano alla lampada del palo, distesa a terra, tirano fuori dagli zaini gli attrezzi e la smontano. Poi ne espongono la carcassa di fili e microchip alle telecamere. Secondo il governo infatti quelle lampade oltre a illuminare hanno dei circuiti integrati che servono a monitorare la qualità dell’aria e del traffico cittadino. Secondo i manifestanti, invece, servono a monitorare la popolazione: a riconoscere i volti e seguire gli spostamenti, a raccogliere dati necessari al controllo sociale e allo sviluppo delle intelligence artificiali violando le più elementari forme di privacy.
Agosto 2019, il video di questa scena diventa virale sulle testate di tutto il mondo. Siamo a Hong Kong, penisola di Kowloon, circondata dal Mar Meridionale Cinese. È una regione ad amministrazione speciale. È una spina nel fianco della Repubblica Popolare Cinese. Nel 2013 erano scesi in piazza i portuali. Nel 2014 gli studenti dell’Umbrella Movement. Nel 2019 la protesta, che durerà quasi un anno, è nata da una proposta di emendamento alla legge sull’estradizione, ma è evidente che nasce da un malcontento più profondo. Per questo ha una eco enorme sui media occidentali. Perché serve a raccontare la storia di un paese autoritario, una specie di dittatura che attraverso la tecnologia controlla la vita dei propri cittadini.
Agosto 2019, mancano pochi mesi allo scoppio della più grande emergenza sanitaria degli ultimi secoli: la pandemia data dalla diffusione del SARS-CoV-2. Che sia nata in una foresta, in un mercato o in un laboratorio, non ha importanza. Molti scienziati l’avevano vista arrivare, a causa dell’impatto dell’antropocene sul pianeta. Quello che importa è che abbia origine a Wuhan, capoluogo della provincia di Hubei, nella Cina Centrale. Circa mille chilometri di distanza da Hong Kong. Il Covid-19 è nato lì. E sui media occidentali hanno una eco enorme la rapidissima chiusura totale dell’intera città, un agglomerato da quasi sette milioni di abitanti, e l’istantanea costruzione degli ospedali. È ancora una volta la dimostrazione della geometrica potenza della Repubblica Popolare Cinese. La nuova avanguardia tecnologica del pianeta.
È ancora una volta la dimostrazione della geometrica potenza della Repubblica Popolare Cinese. La nuova avanguardia tecnologica del pianeta.
Ma come si è arrivati fino a qui? Ce lo racconta benissimo Simone Pieranni, giornalista tra i massimi esperti italiani di Cina, in Tecnocina. Storia della tecnologia cinese dal 1949 a oggi (add Editore, 2023). Un libro che per l’autore è il
risultato di questi anni di letture, di studio, di presentazioni, seminari e infine di scelte [nato] dall’esigenza di capire come sia possibile che un Paese presentato per gran parte della sua storia come “arretrato” possa aver sviluppato una propensione così radicale per la tecnologia, e come possa aver ottenuto dei risultati importanti. E come questa storia possa darci indicazioni su quello che potrà accadere. Il momento storico del resto è particolarmente propizio, considerando che la sfida tra Stati Uniti e Cina, spesso dipinta come una sfida tra Occidente e Cina, vede proprio negli aspetti dell’evoluzione tecnologica uno dei suoi punti più tesi e rilevanti.
Si parte dagli albori della Cina maoista. Dalla figura del Grande Timoniere che “pensa che la costruzione del socialismo proceda per onde, scontri e fughe in avanti (per risoluzioni, momentanee, di contraddizioni), e che sia necessario sprigionare queste energie attraverso la pratica. La scienza gli sembra una metafora perfetta per dimostrare l’importanza dell’applicazione pratica delle idee”. Un Mao Zedong presentato come il teorico di un marxismo quantistico. Un uomo ossessionato dalla teoria delle particelle elementari che fa uscire la fisica dai laboratori per farla entrare nel socialismo. E viceversa. Tanto che pochi anni fa sul New York Times il fisico e premio Nobel Sheldon Glasgow arriva a dire che una particolare particella andrebbe chiamata Maon. In onore di colui che col suo pensiero ha aperto la strada alla possibilità della sua scoperta.
Il periodo maoista, tra dipendenza sovietica e destalinizzazione, grandi balzi in avanti e fragorose cadute all’indietro, industrializzazione pesante e urbanizzazione forzata, getta le basi teoriche e pratiche dello sviluppo tecnologico e scientifico del paese. È qualcosa di inaspettato e di completamente diverso, tanto che le figure che meglio rappresentano questo periodo sono due donne: Xia Peisu, che lavora all’estero sui circuiti integrati e torna in patria per progettare nel 1960 il primo computer cinese, il 107, e la sconosciuta e Tu Youyou, che quando nel 2015 vince il Nobel per la medicina nessuno sa che è stata lei ad avere sconfitto la malaria. Ma l’Occidente, tutto preso dalla Guerra Fredda e dalla lotta tra altre due superpotenze, non se ne accorge. Sarà una costante del nuovo secolo cinese.
Dopo il Grande Timoniere arriva il Piccolo Timoniere, ma grande accelerazionista, Deng Xiaoping. E subito mette le cose in chiaro. Per la modernizzazione del paese, attraverso il passaggio dal socialismo al capitalismo di stato, scienza e tecnologia sono fondamentali. È con Deng, scrive Pieranni, che nasce il progetto che pone le base della Cina come la conosciamo oggi:
un paese non solo in grado di acciuffare la “terza ondata” e cavalcarla, ma anche di contrassegnare fin da subito quello sviluppo come autonomo e autosufficiente, due caratteristiche che emergeranno solo con il tempo e che le condizioni geopolitiche del mondo faranno diventare prioritarie durante il decennio di Xi Jinping al potere. Ma è in questa fase che prosperano le cosiddette caratteristiche cinesi: Mao aveva modellato il marxismo alla realtà cinese perché potesse funzionare in Cina, Deng e i suoi si apprestano a ripetere lo stesso azzardo, questa volta con il capitalismo.
Questo passaggio nel libro è riassunto in maniera magistrale da una foto. È il Convegno della scienza del 1978, quando Deng è appena salito al potere, e appaiono uno di fianco all’altro quattro scienziati: Wang Ganchang, Wang Daheng, Chen Fangyun, Yang Jiachi. La potenza sprigionata da questa istantanea è che va a rimpiazzare nell’immaginario collettivo cinese altri quattro volti tristemente noti: Wang Hongwen, Zhang Chunqiao, Jiang Qing e Yao Wenyuan. La Banda dei Quattro che durante la Rivoluzione Culturale maoista “poteva sabotare arbitrariamente la causa della scienza e perseguitare gli intellettuali”. Il periodo successivo a Deng, che si colloca tra il 1989 di Tienanmen e il 2001 in cui la Cina entra nel Wto, è invece caratterizzato dalla messa a terra dell’enorme sviluppo portato avanti in quegli anni. Nessuno ancora se ne accorge, ma la Cina sta bussando alla porta del mondo.
Il periodo successivo a Deng è invece caratterizzato dalla messa a terra dell’enorme sviluppo portato avanti in quegli anni. Nessuno ancora se ne accorge, ma la Cina sta bussando alla porta del mondo.
Questo periodo può essere riassunto nel nome di due aziende. Haier, un’azienda cinese che produce elettrodomestici, in particolare frigoriferi, che è la prima a impiantare una sua fabbrica sul suolo americano. E Huawei, la prima multinazionale cinese i cui prodotti telefonici invadono il mondo globalizzato. Huawei serve anche a raccontare un’altra storia, da azienda sull’orlo del fallimento diventa superpotenza grazie a un accordo politico con l’allora presidente Jiang Zemin: “se la tecnologia era legata alla sicurezza nazionale, non sarebbe stato meglio che le reti fossero controllate da un’azienda cinese anziché da aziende straniere?” E così “la storia di Huawei conferma che l’Occidente aveva pensato che, con l’apertura, a comandare in Cina sarebbe stato il mercato e invece no, al comando è rimasto il Partito comunista cinese.”
Il capitalismo della sorveglianza dispiega le sue ali: dal panottico benthamiano al palo della luce di Hong Kong che oltre che monitorare la qualità dell’aria e del traffico segue i volti e i movimenti della popolazione.
Il capitalismo della sorveglianza dispiega le sue ali: dal panottico benthamiano al palo della luce di Hong Kong che oltre che monitorare la qualità dell’aria e del traffico segue i volti e i movimenti della popolazione. Anche perché gli anni Zero sono gli anni di internet, e questa volta la Cina non solo non si fa trovare impreparata, ma è già avanguardia. “E dire che i dati erano davanti a tutti, anche se i media nostrani davano un ritratto in stile “strano ma vero” di aziende già famose come Alibaba e Tencent – scrive Pieranni – e avevano difficoltà a spiegare come la super app WeChat fosse molto più di una semplice somma di tutte le app sui nostri cellulari.” E così, mentre in Occidente si discute delle varie declinazioni dell’Impero, riferendosi a quella che sembra l’unica superpotenza uscita vittoriosa dal secolo breve, è con internet che avviene il grande balzo in avanti cinese.
Tutto ciò si traduce nella creazione di un’Internet cinese con caratteristiche proprie, molto diverso da quello occidentale. Un mondo nel quale, grazie alla vicinanza tra aziende private e Partito, alla leadership era consentito di mantenere uno stretto controllo, anche attraverso l’imposizione di censure e blocchi quando fosse stato ritenuto necessario. E non solo, perché la raccolta dei dati da parte delle piattaforme che si prenderanno un posto di primo piano nella digitalizzazione del Paese, fornirà al Partito comunista un notevole vantaggio quando i Big Data diventeranno l’elemento cruciale dello sviluppo tecnologico (e del controllo sociale).
E arriviamo alla Cina odierna, quella di Xi Jinping, pura avanguardia nella raccolta e nell’uso dei big data e nello sviluppo dell’intelligenza artificiale. Nel quattordicesimo piano quinquennale presentato da Xi a inizio 2022, “i Big Data sono considerati come “quinto fattore di produzione” all’interno dell’economia nazionale (insieme a lavoro, terra, capitale e tecnologia). Si tratta di uno scarto fondamentale che porterà la dirigenza a ragionare sulla data driven governance, ovvero una politica guidata dai Big Data (di cui la Cina è ricchissima) con conseguente corollario di norme e regolamenti. Ma non basta. La Repubblica Popolare è avanguardia anche nella creazione di supercomputer, come il Sunway Taihu Light. O lo Jiuzhang, prototipo di un computer quantistico annunciato questa estate e capace di “eseguire compiti comunemente svolti dall’Intelligenza artificiale 180 milioni di volte più velocemente del supercomputer più potente del mondo.”
Il socialismo quantistico di Mao Zedong diventa realtà, con tutte le sue enormi contraddizioni. E il conflitto tra capitale e lavoro si sposta nel punto più alto dello sviluppo scientifico.
Il socialismo quantistico di Mao Zedong diventa realtà, con tutte le sue enormi contraddizioni. E il conflitto tra capitale e lavoro si sposta nel punto più alto dello sviluppo scientifico. Come la Cina, nuova superpotenza globale, ci racconta che il suo sviluppo tecnologico affonda le radici nel passato – il nome del computer quantistico Jiuzhang viene da “un testo cinese di matematica del 200 a.C. nel quale venivano presentati 246 problemi; il testo ancora oggi è considerato un classico della matematica in gran parte dell’Asia”. Così fa anche la resistenza a questa nuova forma ibrida di capitalismo della sorveglianza, con i manifestanti di Hong Kong che per resistere si richiamano ai principi delle antiche arti marziali: “Essere senza forma, essere come l’acqua”. Capire la Cina, oltre che a capire il mondo, serve anche a capire come organizzare la resistenza.