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a coppia Il’f e Petrov (Il’ja Ilf e Evgenij Petrov, nati a Odessa, rispettivamente 1897-1937 e 1903-42), attiva in Russia tra la metà degli anni Venti e la seconda metà degli anni Trenta, diventa celebre grazie al romanzo picaresco Le dodici sedie (1928), il cui protagonista Ostap Bender, irresistibile figura di“grande tessitore”, o “grande impresario” a seconda delle traduzioni, insegue queste famose dodici sedie alla ricerca dei brillanti cuciti nell’imbottitura di una delle dodici al tempo della Rivoluzione, quando gli aristocratici occultavano i preziosi in vista di tempi migliori.
Lo aiuta un impiegato dell’anagrafe di una città (immaginaria) di provincia: Vorob’janinov, ex aristocratico che aveva perso tutto con la Rivoluzione, vale a dire i privilegi e le comodità di quella classe spudoratamente ricca che nella Russia zarista, come diceva Stalin, stava a cavalcioni sul collo del popolo e non conosceva altri valori a parte il proprio vantaggio sibaritico. Le sedie, requisite dal lussuoso appartamento di Vorob’janinov nella città di Stargorod, sono in seguito finite nei meandri dell’amministrazione mobiliare e si sono disperse chissà dove: sono quindi il pretesto, come le “anime morte” nel poema di Gogol’, per un viaggio labirintico attraverso la Russia, in particolare Mosca e i distretti meridionali, in cui la verve satirica dei due autori trova mille occasioni per sorprendere, lasciare di stucco e far ridere sonoramente i lettori. Alla fine della storia, è da notare, il grigio impiegato Vorob’janinov mostra tutto il veleno del suo retaggio nobiliare e si rivela ben peggiore del suo socio delinquente e bugiardo matricolato senza casta. Vorob’janinov uccide Bender nel sonno con un colpo di rasoio, perché non vuole fare a mezzo. Hanno trovato la dodicesima sedia dove quindi è sicuro che ci sono i brillanti; invece questi sono scivolati fuori già da un pezzo e il sindacato locale li ha usati per costruire un Teatro del popolo, un bene collettivo. Un omicidio inutile quindi, un atto isterico dettato da un senso della proprietà malato, proprio da manicomio criminale.
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l nobile è più infido del proletario anche se questo è un malfattore, e il demone del denaro porta alla perdizione e alla rovina.
Mi sono dilungato sulla trama per mostrare come nelle sue linee essenziali sia del tutto conforme allo schema della lotta di classe: il nobile è più infido del proletario anche se questo è un malfattore, e il demone del denaro porta alla perdizione e alla rovina. Questo procedimento è costante in Il’f e Petrov, che forse credevano sinceramente negli ideali socialisti e comunque non erano interessati alla dissidenza. La stessa cosa si vede nel Vitello d’oro (1931), il seguito delle Dodici sedie, dove Bender resuscita come un personaggio dei cartoni animati, con una bella cicatrice sul collo, e si propone stavolta di accumulare un milione di rubli per andare a spassarsela a Rio de Janeiro. Ma anche stavolta non succederà nulla: ottenuta la somma, Ostap si accorgerà di non sapere che farne nella patria del socialismo, dove la gente lavora onestamente e ha di vista il bene comune. Rimarrà solo e desolato come il presentatore dello spettacolo quando cala il sipario e tutti riprendono le normali attività. Fine del mondo capitalista e abbattimento del suo idolo fondante e più pericoloso: il vitello d’oro per l’appunto, il denaro, l’arricchimento personale ai danni della cosa pubblica.
Veritiera o simulata che fosse, questa accortezza degli autori a livello costruttivo è peraltro smentita a ogni passo dallo svolgimento umoristico della trama, dalle motivazioni dei personaggi, dal tratteggio della società sovietica impegnata prima nella Nep (Nuova politica economica), poi nella costruzione forzata del socialismo collettivistico. Il bersaglio ufficiale della satira di Il’f e Petrov sono proprio “quei tali che non comprendono questo periodo di ricostruzione”, e mantengono pertanto istinti predatori, arretratezza di pensiero, mentalità filistea e soprattutto una terribile stupidità che li rende vulnerabili a ogni forma di imbroglio e idea balorda. Per dare un’idea si può dire che i tipi di Il’f e Petrov, sebbene radicati nella Russia anni Venti, somigliano ai personaggi dei film dei fratelli Coen, con i quali condividono la combinazione esplosiva di caratteri già pronti per suscitare il riso nella sua più libera e spensierata espressione: sono efferati e dementi nello stesso tempo, pavidi, servili, sbruffoni, soggetti a improvvisi innamoramenti e sfrenate fantasticherie. Sul piano letterario il modello dichiarato è Gogol’, da cui provengono moltissime movenze stilistiche e l’attitudine lirico-digressiva, la magniloquenza sghemba (il cosiddetto skaz) del narratore, oltre all’incomparabile ricchezza di dettagli “parlanti”: nomi, abiti, scarpe, occhiali, pettinature, ghette eccetera, quell’insieme di oggetti per cui Andrej Siniavskij poteva dire di Gogol’ che era un maestro nell’estrarre il carattere di un personaggio da un dettaglio insignificante.
Il bersaglio della satira sono proprio ‘quei tali che non comprendono questo periodo di ricostruzione’, e mantengono istinti predatori, arretratezza di pensiero, mentalità filistea e una terribile stupidità che li rende vulnerabili a ogni forma di imbroglio e idea balorda.
Tutti questi elementi e molti altri in grado di procurare piacere e meraviglia sono oggi finalmente accessibili al lettore italiano in due testi pubblicati dall’editore fiorentino Spider & Fish, in un volume intitolato Le incredibili vicende della città di Kolokolamsk, che oltre a questo contiene anche il racconto lungo Senza macchia. Sono testi scritti originariamente per giornali, come del resto quasi tutta la produzione dei due autori, corsivisti per mestiere su quotidiani e riviste satiriche negli stessi anni di Bulgakov e di Michail Zoščenko. Invece di spedire un personaggio in giro per la Russia come nei romanzi maggiori (e come nelle Anime morte), qui l’azione si concentra nello spazio teatrale di una città immaginaria (come nel Revisore): Kolokolamsk nel primo caso e Pappagrado nel secondo. Ecco come viene presentata Kolokolamsk:
Poiché non riteniamo necessario ammantare di mistero la storia della città Kolokolamsk, portiamo a conoscenza i nostri lettori del fatto che:
a) Kolokolamsk esiste davvero
b) Non ha niente a che vedere con Volokolamsk
c) Si trova proprio al confine tra la RSFS Russa (la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa) e la RSSU (la Repubblica Socialista Sovietica Ucraina) e pertanto non è riportata sulle carte geografiche di nessuna di queste due repubbliche amiche e alleate. È tutta colpa dunque dei nostri geografi.
Anche di Pappagrado veniamo a conoscere la storia, che comprende un cambiamento di nome come è successo in quegli anni a Pietroburgo, ma per motivi tanto sciocchi che in seguito i cittadini si sono vergognati di tornare al nome originario di Kukuev. Le incredibili vicende che hanno luogo a Kolokolamsk sono tutte avventure della più pura idiozia, generate dall’indole balzana dei personaggi e dalla loro renitenza a diventare “uomini nuovi”. Il cittadino medio della città sembra piuttosto intento a cavarsela meglio che può e, appena ne ha l’occasione, spillare soldi agli altri e poi magari esibirsi in qualche mirabolante ostentazione di consumo vistoso. L’emigrato Horacio Fedorencos (Gerasim Fedorenko) diventato miliardario in Sud America, torna in città e costruisce un grattacielo di trenta piani per i concittadini: ma la gente ci si installa prima che sia finito, ci alloggia pecore galline attività artigianali, e in poco tempo lo manda in rovina. Resta ovviamente la carcassa che svetta su un lato della piazza principale, piazza dei Membri.
Altrimenti può succedere che l’unico proletario del luogo, il calzolaio ambulante Tesseratov, venda il titolo a Monsieur Autentik, il presidente della pseudo-cooperativa Privati Affari, il quale se ne serve per allargare il suo volume di scambi: “Nel cielo di Kolokolamsk sorse trionfante la boriosa stella del proletario d’onore Monsieur Autentik”. Quest’ultimo si arricchisce e Tesseratov si pente di essersi sbarazzato delle proprie origini. Va a trovare Autentik per ricomprargliele: “Monsieur Proletario sedeva a un’enorme scrivania. Al mignolo della mano sinistra gli luccicava un anello con falce e martello di brillanti”. Insomma il classico approfittatore, il nepman dalle maniere cerimoniose e i sentimenti volgari. Sui giornali in cui uscivano è da supporre che i testi fossero accompagnati da vignette, e anche il testo di Spider & Fish è corredato dalle immaginose illustrazioni di Drushba Pankow e Stefano Stefanescu. La dimensione infatti è quella della gag, a metà fra teatro d’avanguardia e cinema muto, nel segno del dinamismo e in una sorta di animazione generale delle persone e degli oggetti. Ecco l’arrivo dell’inventore Matronov, residente di Pappagrado, in sella a un’improbabile bicicletta (il “biciclo Matronov”) fatta in legno di tiglio: “Scorto Filjurin, l’inventore fece una brusca manovra per frenare, ma l’inerzia del pesante mezzo era tale che Matronov dovette fare due giri intorno alla statua dimenando le gambe prima che la bici si fermasse”.
La dimensione è quella della gag, a metà fra teatro d’avanguardia e cinema muto, nel segno del dinamismo e in una sorta di animazione generale delle persone e degli oggetti.
A proposito di Pappagrado, qui l’innesco fantastico delle vicende è un po’ più scivoloso e come si usa dire “profetico” rispetto alla storia successiva del regime sovietico. Si tratta infatti di Filjurin, un impiegato all’Ufficio per la dotazione di servizi Eco-com-Pappa (Economia Comunale Pappagrado), che d’un tratto diventa invisibile a causa di una saponetta inventata dal citato Matronov per togliere le lentiggini. La saponetta viene trovata per terra da Filjurin che si guarda bene dal restituirla al legittimo proprietario; la usa invece per insaponarsi con gusto alla banja del luogo e constata con orrore di avere perso il corpo, ovvero di essere diventato trasparente. Seguono sviluppi imprevedibili: inizialmente Filjurin è depresso, tutto ciò che per lui aveva senso è finito per sempre: “Era stato abbandonato: mangiare, bere, fumare, amare, muoversi per lavoro, far colpo su qualcuno grazie ai propri vestiti o al proprio corpo. Una cosa soltanto gli era rimasta: la capacità di pensiero. Ma Filjurin non ci si era mai dedicato”.
Ma contro le sue previsioni l’invisibilità diventa uno strumento di coscienza sociale: perché infatti licenziarlo se può ancora lavorare? Perché il direttore dell’Eco-com-Pappa si permette un atteggiamento dispotico verso i dipendenti e piazza nell’amministrazione i suoi figli e fratelli? Un’entità trasparente comincia ad aleggiare per gli uffici e i sindacati, persino nelle case private, ascoltando i discorsi e venendo a conoscenza delle piccole e grandi irregolarità politiche e amministrative di cui chiunque in un modo o nell’altro è colpevole. Si diffonde la psicosi della delazione e un’ondata conseguente di confessioni pubbliche, che anticipano la sinistra atmosfera degli anni a venire, il periodo cosiddetto del terrore o delle “grandi purghe” staliniane (1935-39). E poi c’è anche dell’altro: una persona che si smaterializza, ovvero che non c’è più, di cui si parla a mezza voce o non si parla affatto perché il suo caso è imbarazzante, è un fenomeno possibile nella Russia del tempo almeno quanto nel teatro fantastico di Pappagrado: è quanto succede a Trockij, per esempio, per l’appunto in quegli anni, quando è espulso dal partito (1927), poi esiliato a Alma Ata (1929) e infine espulso dall’Urss, cancellato dalle fotografie, innominabile per chiunque non voglia avere guai col tribunale del popolo.
Il’f e Petrov come si è detto non volevano guai col tribunale, aspiravano semplicemente a fare gli scrittori nel solco della grande tradizione umoristica russa, dal più volte nominato Gogol’ a Čechov, ai compagni di strada Bulgakov, Babel’ Oleša e tutti quanti. Anche per questo i loro testi rimangono godibili a distanza di tempo, anche da chi non ha una conoscenza particolareggiata del contesto. In questo senso va dato il merito alla traduttrice Caterina Garzonio non soltanto di aver fornito una versione efficace sotto il profilo stilistico, in presenza di una prosa non facile e piena di stratificazioni colloquiali, letterarie eccetera, ma di aver fatto la scelta di sciogliere per il lettore italiano gli innumerevoli nomi e sigle “parlanti” di cui è punteggiato il testo e che per il lettore russo sono immediatamente comprensibili. Per cui ad esempio il signor Grom, in russo, diventa Rimbombov in italiano e la piazza Členskaja diventa piazza dei Membri. Senza questo accorgimento, una parte consistente dell’effetto comico sarebbe andata perduta.