D urante la pandemia ho disdetto quasi tutti gli abbonamenti a quasi tutte le piattaforme di streaming. L’insano gesto era mosso dalla consapevolezza che pagare un tot ogni mese mi metteva addosso il peso morale del consumo forzato: spendevo soldi per quella roba, tanto valeva stare al passo e continuare a buttar giù episodio dopo episodio dopo episodio. L’uscita incessante di contenuti, sempre più o meno nuovi, teneva in piedi l’illusione che il mondo stesse andando avanti normalmente, e io mi costringevo a credere alla menzogna col fardello del mio pegno mensile. Tutto considerato, non era una dipendenza sana, né, per giunta, particolarmente eccitante. Via Netflix, goodbye Mubi, adieu Disney+ e così via.
Disdissi quasi tutte i miei abbonamenti – tranne uno. Quello a Patreon, piattaforma che permette di pagare una quota mensile a un artista d’elezione in cambio del suo lavoro in esclusiva. Nel mio caso: Bret Easton Ellis.
Il motivo per cui non me ne andai è facile: per meno di 5 euro Bret Easton Ellis offriva la possibilità di accedere al suo podcast. Fin qui nulla di straordinario, certo, se non fosse che, nel podcast, Bret Easton Ellis leggeva il suo nuovo romanzo, The Shards – romanzo che non solo non era ancora stato pubblicato, ma che diceva Ellis, non era ancora del tutto concluso. Aveva in mente il piano generale dell’opera e aveva finito buona parte dei capitoli, ma era sostanzialmente ancora in fieri. Per di più – e questa era forse la parte più eccitante – non era ancora stato adulterato dalla mano di alcun editor o lettore esterno. Dal settembre del 2020 fino al settembre del 2021, ogni due settimane, Ellis leggeva un nuovo capitolo del suo libro assolutamente inedito, uscito ancora caldo dalla sua penna.
Come se non bastasse, questo non era un romanzo qualsiasi. No, era una storia vera. Anzi meglio: era la storia vera del trauma giovanile che aveva portato Ellis a scrivere il suo primo libro, Meno di zero. Il libro era “99% pura autobiografia”, diceva l’autore, “tutti gli avvenimenti sono reali, tutto quello che c’è dentro è successo davvero, tutte le scene sono vere, e questo è il motivo per cui” non poteva “chiamarlo romanzo o fiction”. Un memoir, insomma, narrato dalla sua stessa viva voce, in esclusiva assoluta per gli iscritti. Un documento sulla vita e i giorni di uno degli scrittori più iconici e controversi del recente passato: un livello di intimità tale da far girare la testa! Ogni due settimane, partiva il jingle e poi Ellis iniziava il racconto dicendoci che, come sempre, stava registrando “da qualche parte a nord di Doheny Drive, proprio sotto il Sunset Boulevard”, poi qualche chiacchera preliminare e attaccava con The Shards.
La storia che si dipanava nelle nostre orecchie puntata dopo puntata era semplice. Ellis ricostruiva gli avvenimenti dell’autunno del 1981, più precisamente del suo ultimo anno di liceo alla Buckley. Quell’anno si era aperto con l’arrivo di un nuovo studente al liceo, Robert Mallory – un ragazzo misterioso, oscuro. Nella seconda puntata del podcast, nelle chiacchere che precedono la lettura del capitolo, Ellis lo caratterizzava senza mezzi termini: un “nuovo studente probabilmente psicotico”. Robert Mallory non arrivò solo a Buckley: insieme a lui piombò nella vita dei giovani studenti anche The Trawler (in italiano tradotto in un non elegantissimo Pescatore a Strascico), un assassino spietato che terrorizzò la compagnia di amici di Bret Easton Ellis e la cui brutalità segnò indelebilmente la psiche dell’autore. Sullo sfondo, uno degli scenari tipici dei romanzi di Ellis: una Los Angeles gotica, ragazzi ricchi e annoiati, la cocaina e Hollywood nella sua età dell’oro.
Uno dei tratti distintivi della poetica di Ellis è sempre stato l’utilizzo di narratori inaffidabili, e spesso addirittura completamente rotti.
La trama era certamente intrigante, ma l’appeal era evidentemente altrove: non era un noir qualsiasi, dopotutto, era un racconto reale. Era una storia vera ma era qualcosa di più nobile del true crime: era la narrazione senza filtri (tranne pochi accorgimenti legali, ovviamente) di un anno di sangue e terrore – la fine dell’innocenza di Bret Easton Ellis e l’inizio del suo lavoro come scrittore.
O, perlomeno, così diceva l’autore. Molti nel pubblico – quasi tutti, ad essere onesti – non erano affatto convinti che The Shards fosse una storia completamente vera. Dopotutto, uno dei tratti distintivi della poetica di Ellis è sempre stato l’utilizzo di narratori inaffidabili, e spesso addirittura completamente rotti. Perché cambiare proprio ora? Non era tutto un po’ troppo perfetto, cinematografico? Ci aveva già provato con Lunar park a fregarci con uno pseudo-memoir, no? E poi lo stesso Ellis aveva ammesso che c’era almeno una percentuale di menzogna. Dove stava? Per di più, l’Ellis protagonista di The Shards veniva descritto incessantemente dall’Ellis autore del racconto come un “bugiardo”, un “favolista” – e, proprio per questo, un futuro scrittore di successo. Se i due Ellis davvero coincidevano, non era lecito pensare che fossero entrambi dei bugiardi?
Il dubbio fece scattare una sorta di nascondino che coinvolgeva la voce narrante e il pubblico: il pubblico andava a ripescare i vecchi annuari della Buckley per vedere chi fosse chi, faceva fact-checking delle descrizioni, studiava le storie dei serial killer che infestavano Los Angeles nei primi anni Ottanta per capire se ci potesse essere un corrispettivo reale per The Trawler, appuntavano diligentemente, in playlist su Spotify e liste su Letterboxd, le canzoni e i film che Ellis citava ogni due per tre. Ed Ellis, per tutta risposta, si correggeva dicendo che no, aveva sbagliato quella descrizione di quel personaggio, che forse quegli avvenimenti non erano accaduti dove o come aveva detto inizialmente, che a volte la memoria lo tradiva e che l’aveva contattato su Facebook una delle protagoniste della storia e gli aveva chiesto perché, fra tutti i nomi con cui poteva ribattezzarla, avesse scelto proprio Debbie.
The Shards si concluse il 9 settembre del 2021 e venne pubblicato in forma cartaceo il 17 gennaio 2023. In Italia, è uscito il 10 ottobre del 2023 col titolo Le schegge. L’ultima pagina del libro recita:
Questa è un’opera interamente di finzione. Personaggi, avvenimenti ed episodi sono il frutto dell’immaginazione dell’autore. Tranne per l’autore stesso, ogni somiglianza con persone vive o defunte è perlopiú casuale e non reale.
Chiedersi se un romanzo ci stia dicendo la verità è inutile. Anche quando l’autore sceglie la prima persona singolare più intransigente per raccontare solo e rigorosamente i fatti suoi, possiamo tranquillamente evitare di chiederci se e in che misura ci stia dicendo la verità: la sostanza del libro, quello che lo rende o meno interessante, starà sempre e comunque altrove.
Ci sono poche eccezioni a questa regola aurea, e Le schegge di Bret Easton Ellis è probabilmente una di queste. Non tanto perché sia davvero rilevante la veridicità di quanto Ellis racconta, quello resta effettivamente una questione davvero superflua, quanto per il fatto che il gesto narrativo che Ellis ha deciso di fare nel suo ultimo libro – partire immediatamente dicendoci “questa è una storia vera, un memoir” – crea una tensione affascinante fra Le schegge, il resto della sua produzione e il personaggio che si è creato negli anni. Di più: rende, almeno a prima vista, Le schegge un unicum all’interno di tutta la sua opera.
Appena Ellis concluse la sua lettura di Le schegge sul suo podcast, The Quietus mi commissionò un pezzo su quello che avevo ascoltato. Ero smarrito e avevo un limite di parole draconico. Riassunsi tutto quello che avevo da dire così:
Schegge non è mai melodrammatico, ma se volessi essere sproporzionatamente crudele nei confronti di Ellis direi che questo è il suo primo romanzo New Sincerity: onesto, cattivo, sentito. E questa è una descrizione sorprendente per uno che è sempre stato la versione jock di Alain Robbe-Grillet – i cui romanzi più famosi erano tutta superficie e niente profondità, in cui un omicidio è un omicidio è un omicidio.
Un’affermazione vera, ma estremamente superficiale. Vera perché, effettivamente, Le schegge rappresenta una sorta di inversione a U per la poetica di Ellis. Una svolta che ha portato l’autore divenuto famoso anche per avere attaccato David Foster Wallace e ogni forma di sincerità in letteratura come una cosa conservatrice e sentimentalistica (David Foster Wallace era “così conservatore, così bisognoso di ammiratori, che trovo imbarazzante l’alone di sentimentalismo che lo circonda”) ad affermare, in quasi tutte le presentazioni di Schegge, che i suoi amici gli hanno sempre chiesto “perché non abbia mai scritto un memoir” e che lui gli ha sempre risposto che già l’ha fatto: “è in nove volumi”. Dall’odiare la sincerità all’essere l’autore più sincero che ci sia, in altre parole.
Ma il mio era un giudizio estremamente superficiale, dicevo, perché incapace di dirsi un fatto in fondo molto semplice: la (presunta) sincerità è solo una parte della storia, probabilmente la meno interessante – nulla più di una mossa pubblicitaria, direbbe qualche malalingua. La parte essenziale, ad esempio, dell’idea che Ellis sia sempre stato sincero, che abbia disseminato il suo memoir in ogni suo libro è il fatto che Le schegge è effettivamente la continuazione di un lavoro che iniziò con il suo primo romanzo. Le schegge è una struttura nuova (per Ellis, perlomeno) e nient’altro, per raccontare sempre la stessa storia.
Un fatto che diventa quasi ovvio quando si prende Schegge per quello che è – quello che è davvero, intendo, al di là del modo in cui lo narra l’autore. Le schegge non è altro che il prequel e, forse, il capitolo finale di una trilogia formata da Meno di zero e Imperial bedrooms. Anzi meglio, nel gergo dei franchise contemporanei è tecnicamente un requel: un reboot, ossia una ripresa della struttura e dei motivi della storia originale, ma presentato come un vero e proprio antefatto. Una storia che racconta quello che è successo prima della saga, ma riprendendo più o meno pedissequamente la trama portante e i tratti essenziali della saga stessa. Un revival che riscrive il punto di partenza.
Le schegge è un requel, fra l’altro, inserito in una trilogia in cui la struttura portante non è mai variata molto: un uomo ricco e annoiato viene perseguitato da un male oscuro, segue finale aperto. In Meno di zero e Le schegge è un uomo ricco e giovane, mentre in Imperial Bedrooms è un uomo in piena crisi di mezz’età – la sostanza resta invariata. Le schegge, insomma, non è per niente diverso da Scream 6 o l’Halloween di David Gordon Green: funziona esattamente allo stesso modo, che sia una storia vera o meno.
Le schegge non è altro che il prequel e, forse, il capitolo finale di una trilogia formata da Meno di zero e Imperial bedrooms.
Questa però non è un’accusa, anzi è il più grande pregio di Le schegge e, soprattutto, della trilogia di Ellis – trilogia che sotto questa luce appare, da un lato, come un lavoro sulla prima persona nella fiction e, dall’altro, come un vero e proprio attacco all’idea che la sincerità abbia un qualche valore etico o politico, almeno in letteratura.
Da un certo punto di vista tutta la trilogia appare proprio come una distruzione della prima persona singolare e della sua sacralità. Nei primi due libri, infatti, la prospettiva della prima persona veniva colpita ma con un certo fair play: in Meno di zero la prospettiva del protagonista, Clay, si sfaldava sotto la violenza oggettiva del mondo in cui si trovava immerso, mentre in Imperial bedrooms veniva sfidata dicendo sostanzialmente che la voce narrante era quella del Clay in carne ed ossa a cui Ellis aveva rubato la storia in Meno di zero (“Su di noi avevano fatto un film. Il film era tratto da un libro di una persona che conoscevo”, questo l’incipit di Imperial bedrooms) e poi disfacendo fisicamente anche quel personaggio. C’erano momenti in cui Ellis inseriva delle interferenze che confondevano personaggio e autore (come quanto Clay si scopre del segno dei Pesci, come Ellis, ad esempio) ma era sempre un personaggio che parlava dal suo punto di vista e, quindi, finto per definizione, anche se affermava il contrario. La distruzione dei personaggi stava lì a rappresentare la totale non-esistenza, e quindi assoluta libertà, dei protagonisti stessi: espressioni iperboliche del nostro mondo, ma liberi dai vincoli che a noi vengono imposti e che ci autoimponiamo.
Le schegge fa un passo oltre, e riesce a dire ciò che gli altri due libri non riuscivano nemmeno a sfiorare: non è più un protagonista qualunque a parlare, ma l’autore stesso, equiparandosi, di fatto, ad un personaggio fra gli altri. Dopotutto, anche il Bret di Le schegge viene psicologicamente e fisicamente eroso man mano che il romanzo prosegue, eppure Ellis è ancora qui con noi. Sarà davvero traumatizzato? Avrà subito (e agito) davvero tutta quella violenza? Non è importante. Il messaggio di fondo è tanto semplice quanto felicemente immorale: nel momento in cui un personaggio inizia a parlare in un romanzo smette di essere reale, non rispetta più le leggi del nostro mondo, anche quando quel personaggio sono io. Può essere uno specchio deformante del nostro mondo, ingigantirlo o rimpicciolirlo, ma non è dei nostri.
Ciò che rende unico Le schegge, quindi, non è l’essere un documento fedele e preciso della vita di Ellis – l’essere, in breve, più sincero – ma l’essere il punto finale di questo processo di distruzione che sarà, con tutta probabilità, la posterità di Ellis, il fardello che ci toccherà refutare o abbracciare. Anche se il Bret di Le schegge dovesse scoprirsi un bugiardo, il punto resta illuminante: giurare che una storia è vera è solo un altro modo di mentire, e quindi fare letteratura.