Un’intervista allo scienziato ambientale Vaclav Smil a partire dal suo ultimo libro, Crescita. Dai microrganismi alle megalopoli.
Alessio Giacometti è editor del Tascabile e dottorando in scienze sociali a Padova. Suoi testi sono stati pubblicati su Il Tascabile, la newsletter MEDUSA, RADAR Magazine, Singola e altre riviste.
C
rescere è l’imperativo del nostro tempo, l’ultimo credo: dobbiamo crescere sempre, ad ogni costo. Ma per fare cosa, poi? Per andare dove? Persuasi dall’idea che il progresso materiale possa durare per sempre, politici liberali ed economisti ortodossi venerano la crescita della ricchezza a tal punto da considerarla la soluzione a tutti i mali, oltre che l’unica misura dello sviluppo: dicono che quel che non cresce è in crisi, se non già morto è moribondo. I saliscendi dei mercati finanziari sono perciò fonte di grande euforia o preoccupazione diffusa, eppure pochi altri concetti sono così sovraccarichi di ideologia come quello di crescita, che di per sé si colloca al di là del bene e del male, privo com’è di alcun valore o tendenza morale.
Nel suo Crescita. Dai microorganismi alle megalopoli (Hoepli, 2022, traduzione di Luciano Canova), Vaclav Smil confronta le traiettorie di crescita di decine di processi naturali, sociali, tecnologici e conclude che sì, la crescita è “una realtà proteiforme onnipresente nelle nostre vite”, il suo corso è ubiquo e governa lo sviluppo dei batteri come delle galassie, ma non c’è niente a noi noto che continui a crescere in eterno. Su questo mondo crescono la crosta oceanica, l’altezza delle montagne, le cellule tumorali; crescono anche la resa delle colture, il peso dei salmoni d’allevamento, la superficie dei televisori. Ma tutto ciò che cresce alla fine si ferma, per un motivo o per l’altro. L’unica evidenza è che nulla, proprio nulla, sembra poter espandersi all’infinito.
Professore emerito alla facoltà di Scienze ambientali dell’università di Manitoba, in Canada, Smil ha la fama d’essere un analista acuto e un divulgatore prolifico, i suoi libri gli hanno valso una certa notorietà in anni recenti. In questo suo ultimo saggio a essere tradotto in italiano accumula esempi di processi che superano una massa critica, entrano in una fase di crescita esponenziale, poi rallentano e raggiungono il plateau: in alcuni casi rimangono lì stazionari, in altri collassano, in altri ancora declinano per un po’ ma poi rimbalzano.
Su questo mondo crescono la crosta oceanica, l’altezza delle montagne, le cellule tumorali; crescono anche la resa delle colture, il peso dei salmoni d’allevamento, la superficie dei televisori. Ma tutto ciò che cresce alla fine si ferma, per un motivo o per l’altro.
L’osservazione delle curve di crescita può fornire molte indicazioni utili per orientarsi nelle nebbie del futuro, ma non è mai una garanzia di successo nelle previsioni a lungo termine. Ben al di sotto dei modelli predittivi si celano infatti i grandi processi fisici che regolano ogni pattern di crescita: le leggi di conservazione dell’energia, la limitatezza delle risorse materiali, i vincoli al loro utilizzo per gli scopi sociali. L’ingegno umano sarà anche una poderosa macchina per abbattere i limiti, ma non esiste traiettoria di sviluppo che possa sfuggire a queste restrizioni.
Della crescita dice Smil che è come una “calamita per aggettivi”, l’ultimo dei quali è il più equivoco di tutti: sostenibile. L’inerzia della storia ci spinge infatti a sfidare ogni limite, a sfondarlo, mica ad averne tema o rispetto. Il destino di questo secolo è quello di impattare i limiti terminali, quelli planetari, di infrangerli oppure di infrangersi. Anche se i tecno-ottimisti sono certi che presto disaccoppieremo la crescita dell’economia dai consumi di energia e risorse materiali, per ora la condizione umana rimane tragicamente confinata nella zona critica di un pianeta sempre più esausto. “Per quanto diversa la nostra civiltà possa essere in confronto a quelle che l’hanno preceduta”, ammonisce Smil, “essa opera comunque all’interno dello stesso vincolo”. Dopo tante storie sulla fine del mondo, si torni a coltivale la consapevolezza del mondo finito. L’ho intervistato.
Leggendo Crescita ho subito pensato ai grafici del “cruscotto planetario” diffusi qualche anno fa dal gruppo di scienziati con a capo il chimico Will Steffen per descrivere la traiettoria della Grande Accelerazione, il periodo successivo alla seconda guerra mondiale di crescita esplosiva della popolazione, dei consumi e dell’impatto umano sulla Terra. Come molti dei grafici presenti nel suo libro, quelle curve esibivano tutte una progressione inizialmente timida e impercettibile, che all’improvviso si fa indomabile e fuori controllo. Il che è un doppio problema: sulle prime non ci accorgiamo che una curva di crescita sta per diventare insostenibile, e quando ce ne accorgiamo sembra ormai inevitabile un impatto catastrofico alla fine della corsa. È questa la trappola della crescita?
Tutti i fenomeni in accelerazione alla fine decelerano: nessun albero cresce fino al paradiso, e le paure di una crescita inarrestabile non sono altro che paure. Mezzo secolo fa anche le persone meglio informate sullo stato delle cose erano terrorizzate dalla crescita demografica incontrollata, mentre oggi la maggior parte dell’umanità ha tassi di fertilità ormai vicini o al di sotto del livello di sostituzione, con molti Paesi che già registrano una popolazione in declino: il Giappone, ad esempio, ha perso quasi 750mila persone l’anno scorso, e uno studiopubblicato qualche anno calcolava che ben 17 nazioni dell’Unione Europea potrebbero vedere dimezzata la propria popolazione entro il 2100. Le cose possono sembrare fuori controllo per un po’, ma ogni volta rallentano, in un modo o nell’altro. Certo, prima che ciò accada i periodi di crescita impetuosa possono generare grandi benefici ma anche grandi problemi, di natura ambientale e sociale. La conoscenza necessaria per affrontarli però non manca, e in un certo senso neanche i mezzi tecnologici. Quel che spesso non abbiamo è la volontà di impegnarci in modo convinto e duraturo.
La pandemia di COVID-19 ha mostrato quanto possa essere complesso arrestare una crescita esponenziale. Riuscirci è possibile, ma solo nelle fasi iniziali. Più la curva si flette e più diventa incontrollabile. È questa una legge ferrea della crescita che conosciamo da sempre, in verità, ne discutevano già i greci antichi con il paradosso del sorite: c’è una soglia oltre la quale un aumento quantitativo ulteriore si trasforma in un cambiamento di tipo qualitativo. All’inizio SARS-CoV-2 era un virus locale circoscritto al solo mercato di Wuhan, ma poi, di contagio in contagio, ha innescato una pandemia globale che nessuno poteva più fermare. Nel caso del riscaldamento globale alcune delle soglie critiche, i famosi tipping points, sono già state superate, e in molti ritengono che una trasformazione qualitativa dei regimi climatici sia già entrata in moto. Cosa possiamo fare con una curva di crescita quando non è più sotto il nostro controllo?
Sulla Terra non esiste alcuna crescita esponenziale eterna, col tempo tutto si rivela essere limitato. Questo vale per ogni pandemia, e vale anche per le emissioni di gas serra. Per nostra sfortuna non possiamo prevedere con precisione la traiettoria potenziale di un certo processo quando è ancora nelle sue fasi inziali, perciò la diffusione di SARS-CoV-2 ha esibito differenze sensibili nelle diverse traiettorie nazionali: repentine in alcuni Paesi come l’Italia, straordinariamente lente altrove. Questo è vero anche per le emissioni, che in certe nazioni si sono stabilizzate e sono addirittura in declino da alcuni decenni, mentre in altri Paesi sono ancora in rapida crescita, al punto che nessuno può prevedere con sicurezza la loro traiettoria futura a livello mondiale. Se la pandemia di COVID-19 non è stata sotto l’esclusivo controllo dell’Unione Europea, non lo sarà neanche il riscaldamento globale, nonostante gli innumerevoli piani varati da Bruxelles: in Europa vive solo il 6% della popolazione mondiale, e anche se il vecchio continente dovesse riuscire ad abbattere le proprie emissioni, la Cina, l’India e l’Africa subsahariana – che assieme corrispondono al 50% dell’umanità – continueranno a usare sempre più energia, vale a dire più combustibili fossili, nel prossimo futuro. E questo perché, facendo altrimenti, condannerebbero se stesse a una cronica povertà. Nella prefazione che accompagna l’edizione italiana del libro scrivo che nuovi eventi come la pandemia di COVID-19 ci hanno ricordato quanto sia imprevedibile il nostro futuro e come questi stessi eventi possano modificare improvvisamente molte traiettorie di crescita di lungo periodo.
Il suo libro sulla crescita me ne ha ricordato un altro letto di recente, Rallentare (2021) del geografo sociale Danny Dorling. La sua tesi è che molti dei fenomeni insostenibili che pensavamo in forte espansione hanno da tempo iniziato a decelerare: non che abbiano finito di crescere in termini assoluti, solo non lo fanno più così rapidamente dal momento che la loro crescita relativa scende di anno in anno. E questo è un bene per tutti noi, perché qualcosa che sale mentre sta già rallentando ci intimorisce di meno, e possiamo anche immaginare di controllarlo in qualche modo. A detta di Dorling la Grande Accelerazione ha già cominciato a esaurirsi, stiamo per entrare nel “Grande Rallentamento”. Lei invece sembra avere una visione meno ottimistica.
Non mi pare ci sia nulla di nuovo sotto il sole. Nessun essere vivente cresce all’infinito, ma nemmeno alcun manufatto, struttura o processo: modelli di crescita vincolati caratterizzano lo sviluppo delle macchine e delle capacità tecniche tanto quanto la crescita delle popolazioni e l’espansione degli imperi. Il declino graduale dei tassi di crescita, l’eventuale saturazione e lo stadio stazionario sono l’essenza stessa delle curve a “S”, o sigmoidi, che regolano la crescita della maggior parte dei fenomeni di origine antropica non meno che la crescita degli organismi. Nel mio libro raccolgo decine di esempi di fenomeni reali con tassi di crescita che via via rallentano, assumendo nomi diversi a seconda di alcune proprietà minori che li riguardano. Il loro risultato finale è però sempre lo stesso: la fine della crescita. Come ho scritto, la crescita esponenziale – naturale o antropogenica che sia – è sempre e soltanto un fenomeno temporaneo, che termina per tutta una serie di vincoli fisici, ambientali, economici, tecnici o sociali.
Tra le decine di curve di crescita presenti nel libro, quella cui dedica più pagine riguarda l’economia. Prima della pandemia e della guerra in Ucraina, il Pil a livello mondiale cresceva del 2-3% annuo, con un periodo di raddoppiamento di circa 23 anni. Gli economisti dibattono da tempo su quanti futuri raddoppiamenti siano ancora possibili, ma anche la crescita dell’economia raggiungerà il limite, prima o poi: il fatto è che alla fine della crescita materiale siamo oggi del tutto impreparati. Esiste una via per le prosperità, il benessere e la felicità umana che non implichi il consumo pianeta? Alcuni cercano quella via in avanti, accelerando sulla crescita e il capitalismo “verde”, altri voltandosi indietro, auspicando la decrescita. Tra qualche decennio potremmo scoprire di aver preso la direzione sbagliata.
Non può esistere alcuna civiltà senza consumo materiale, ma nel futuro, con la popolazione che prima smetterà di crescere e poi inizierà a diminuire, potremmo non avere altra scelta che vivere con meno. Quel che osserviamo in questo momento in molti villaggi rurali e piccoli insediamenti urbani in via di spopolamento in Giappone, Romania, Bulgaria, Italia, Spagna e Franca diventerà la nuova norma a livello mondiale: entro la metà di questo secolo anche la popolazione della Cina si ridurrà lievemente, solo l’Africa subsahariana avrà tassi di fertilità relativamente alti ancora per un po’. Non è però la prima volta che accade nel corso della storia: nazioni in declino demografico con migrazioni di massa, squilibri economici e un tenore di vita ridimensionato non sono nulla di nuovo per l’umanità. Eventi di questo genere hanno segnato la nostra esistenza per lunghi e difficili periodi. È vero però che nessuna economia moderna è mai entrata in un periodo di recessione così duraturo e ininterrotto da poter essere visto come una nuova tendenza. L’economia cosiddetta ortodossa non ha ancora nessun modello migliore da seguire di quello basato sulla crescita continua. Nel libro dico che potremmo non conoscere ogni dettaglio di come fare la cosa giusta, ma la direzione delle azioni richieste è chiara: garantire l’abitabilità della biosfera pur mantenendo la dignità umana.
Nel libro scrive che possiamo misurare la crescita in relazione a ogni tipo di variabile, ma la crescita è soprattutto funzione del tempo: serve necessariamente che il tempo passi, affinché la crescita imprima la sua curva. Tutto questo, osserva, è in palese contraddizione con le narrazioni che invocano il mantra di un’innovazione dirompente e immediata. Un esempio è quello della transizione energetica, che non avverrà dall’oggi al domani. Anche lo sviluppo dell’intelligenza artificiale è più lento di quanto non si dica. Ogni volta che guardiamo alle curve di crescita per prevedere il futuro, incappiamo in clamorosi errori di valutazione. In un mare di promesse roboanti, il suo libro è una bussola di prudenza e realismo.
Molti fenomeni contemporanei, come quelli legati all’economia digitale, sembrano esibire tassi di crescita maggiori rispetto ad altri processi del passato, ma è solo un’illusione: nel mio libro la chiamo la fallacia della comparazione. Aspettative esagerate, previsioni indifendibili e ipotesi ingenue di un cambiamento rapido, massivo e generale sono diventate una consuetudine, e i media alimentano queste illusioni (o delusioni?) con un flusso costante di notizie di innovazioni radicali e progressi senza precedenti. Eppure ci vuole così poco per avere una prospettiva più realistica su quel che accade: basta guardarsi attorno, non stiamo volando verso Marte – il 2022 era la data inizialmente prevista da Elon Mask per i suoi viaggi interplanetari –, l’intelligenza artificiale è servita a poco o nulla per prevenire e gestire la pandemia, i destini delle nazioni dipendono come sempre dal capriccio di un uomo forte o insignificante, non esistono ancora processi decisionali governati da reti neurali perfettamente razionali. È troppo sperare che i media si convincano, un giorno o l’altro, a rimanere fedeli alla realtà? Sfortunatamente lo è, il clamore e l’irrazionalità sono destinati a continuare a lungo.