“N
on penso che Putin sia un personaggio come Hitler. Putin viene fuori da Dostoevskij”. Così rispondeva Henry Kissinger in un’intervista al Financial Times nel maggio 2018, dopo aver spiegato che gli atteggiamenti sempre più minacciosi del presidente russo potevano essere una conseguenza dell’espansionismo NATO, che poco a poco toglieva pezzi a quello che un tempo era l’Impero Russo. Lo stesso anno, Alejandro Jimenez sull’Harvard Political Review riprendeva il paragone: “Putin ha fatto appello a questa precisa idea: quando parla dei suoi ‘fratelli in armi’ e della ricomposizione dell’unità tra l’Ucraina e la Russia fa eco a Dostoevskij. Quando annette la Crimea nella Federazione russa, agisce su quest’anima russa”. Il Presidente russo è molto attento alla cultura letteraria russa, ha omaggiato a più riprese i grandi scrittori slavi. Dostoevskij in particolare. Il 23 ottobre 2021, all’incontro annuale del Valdai Discussion Club, Putin si lancia in curiosi parallelismi tra la rivoluzione bolscevica e la cosiddetta cultura “woke” definita “la causa del crollo dei valori occidentali”. Entrambe avrebbero infatti operato “la distruzione di valori secolari” quali la religione e la famiglia, spacciandolo per progresso. Poche settimane dopo, parlando dei liberali russi, dice: “Dostoevskij ha detto che ‘i nostri liberali sono lacchè disposti a pulire gli stivali di qualcuno’”.
I Demoni parte come una storia di redenzione per diventare un intenso j’accuse contro i pensatori liberali e le idee nichiliste che si stavano diffondendo nella Russia dell’epoca.
Questa citazione, secondo lo studioso Mitchel Echmaninoff, è un atto d’accusa verso le ideologie liberali americane ed europee, malgrado “il presidente russo utilizzi solo una parte dell’immensa cultura russa per sviluppare la sua ideologia di vendetta contro l’Occidente”. Se questo è vero, è però anche utile sottolineare come Dostoevskij effettivamente si schierò più volte contro le “merdose” ideologie occidentali (cfr. “Memorie di uno scrittore”) che a parer suo infettavano lo spirito russo. Uno degli esempi più famosi è il libro I Demoni, scritto fra il 1869 e il 1872 e pubblicato a puntate nel 1873: il romanzo parte come una storia di redenzione (forse speculare alla sua, in gioventù socialista utopistico e – dopo una lunga carcerazione – cristiano conservatore), per diventare un intenso j’accuse contro i pensatori liberali e le idee nichiliste che si stavano diffondendo nella Russia dell’epoca.
Catechesi rivoluzionaria
Il romanzo prende spunto da un fatto di cronaca reale. La sera del 21 novembre 1869, un membro del gruppo di studenti rivoluzionari dell’Università di Pietroburgo Narodnaja Rasprava, tale Ivan Ivanov, viene attirato con una scusa nel giardino dell’Accademia agricola di Mosca. Lì alcuni compagni lo accusano di delazione, lo uccidono e lo seppelliscono, il tutto per ordine del fondatore del gruppo, Sergej Gennadievič Nečaev.
Quest’ultimo, molto amato ex-post da tanti anarcoindividualisti e dagli storiografi bolscevichi (cfr. Il catechismo del rivoluzionario. Bakunin e l’affare Necaev di Michael Confino), era figlio di un imbianchino e di una serva della gleba e si era fatto abilmente strada negli ambienti nichilisti guadagnandosi la simpatia di rivoluzionari come Tkacev e, soprattutto, Bakunin. Con il futuro autore di Stato e Anarchia avvia anche una lunga collaborazione sulla rivista Kolokol e poi nella stesura del pamphlet Il Catechismo del Rivoluzionario, dove teorizza una figura inedita di militante politico: “un uomo perduto che non ha interessi propri, né cause proprie, né sentimenti, né abitudini, né proprietà, nemmeno un nome”. Nel testo, inoltre, viene proposto il terrorismo come forma di lotta coerente e adeguata per la prosecuzione dei propri obiettivi.
Dostoevskij reagisce con particolare orrore all’assassino di Ivanov: non lo considera un semplice omicidio, ma un vero e proprio crimine ideologico, e sulla figura di Necaev modella uno dei protagonisti de I Demoni: Petr Stepanovic Verchovenskij. Verchovenskij è il figlio di un liberale francofilo, ha studiato in Svizzera e dirige il gruppuscolo nichilista che scuoterà l’anonima cittadina vicina a Pietroburgo teatro dell’azione del romanzo – e metafora di una Russia “posseduta” dalle potenze demoniache del nichilismo. Senza scrupolo alcuno, le parole di Verchovenskij paiono essere uscite direttamente dalle pagine del “Catechismo” di Necaev e Bakunin: “Ogni membro della società vigila l’altro ed è obbligato alla delazione. Ognuno appartiene a tutti e tutti appartengono a ognuno. Tutti sono schiavi e nella schiavitù sono uguali. Nei casi estremi, c’è la calunnia e l’omicidio, ma l’essenziale è l’uguaglianza.”
La vittima Ivanov/Satov è, nel racconto di Dostoevskij, la perfetta raffigurazione del ‘capro espiatorio’ descritta da René Girard.
Insieme al suo sparuto gruppo di rivoluzionari, Petr Stepanovic sconvolge gli equilibri della città fino ad arrivare ad assassinare l’ex nichilista Satov, convertito al panslavismo e accusato, appunto, di delazione come il povero Ivanov. La vittima Ivanov/Satov è, nel racconto di Dostoevskij, la perfetta raffigurazione del “capro espiatorio” descritta da René Girard. L’analisi di Girard parte dalla dinamica del desiderio umano. L’uomo infatti, a differenza delle altre specie animali, non agisce per istinto ma osservando, desiderando e infine imitando; nasce così un rapporto triangolare nel quale ognuno desidera qualcosa solo perché qualcun altro la possiede. In pratica, desideriamo ciò che è posseduto dal modello a cui ci omologhiamo. Ma dato che in un tempo infinito noi disponiamo di un numero finito di cose, ecco che il desiderio collettivo fra individui si tramuta in antagonismo, dando così inizio al meccanismo della rivalità mimetica. E quando la rivalità diventa eccessiva, l’odio si diffonde a tutta la società e tende a convergere su una sola vittima: il “capro espiatorio”, appunto, cioè l’individuo o l’animale che deve pagare al posto di altri perché la collettività possa trovare accordo unendosi contro qualcuno o qualcosa. Girard trova quindi l’origine del legame sociale nell’odio verso il capro espiatorio e nella violenza della sua uccisione, cioè nella condivisione da parte del gruppo dell’assassinio di un innocente, capace di cementare il patto di convivenza tra i suoi membri. Del resto, già nel 1795 il Marchese De Sade nel pamphlet Francesi, ancora uno sforzo se volete essere repubblicani tesseva l’elogio dell’omicidio non solo come dimostrazione dell’assoluta libertà dell’individuo, ma anche perché la politica stessa si era sempre basata sull’assassinio e sulla violenza. L’omicidio, insomma, come proseguimento della politica con altri mezzi.
Non importa se Ivanov/Satov sia colpevole o meno, il suo sacrificio crea un legame fra rivoluzionari che invera il loro rapporto come società reale e non più mera comunione d’intenti ideologica: l’ultimo sforzo per essere animali sociali.
Nel caso della Narodnaja Rasprava di Necaev e dei Demoni di Dostoevskij, questo processo serve per mimare la società contro cui si oppongono: non importa se Ivanov/Satov sia colpevole o meno, il suo sacrificio crea un legame fra rivoluzionari che invera il loro rapporto come società reale e non più mera comunione d’intenti ideologica: l’ultimo sforzo per essere animali sociali. Ma i nichilisti non vogliono solo imitare l’esistente cui si oppongono, vogliono anche cancellarlo, ed ecco che richiedono una risposta mimetica anche da parte della Società.
Baudrillard, all’indomani dell’11 settembre 2001, scrive “Lo spirito del terrorismo”, in cui descrive come i terroristi, nel loro suicidio-omicidio tanto reale quanto simbolico, riportano il discorso della morte -solitamente uno dei più grandi rimossi della società- all’attenzione pubblica. La morte dei terroristi costituisce un’arma simbolica e sacrificale più potente di quella reale. Spostare la morte sul piano simbolico comporta trasferirla in un ambito dove vige la regola della sfida e del rilancio, cioè dove a una morte si può rispondere solo con una morte uguale o superiore. Una morte simbolica, anche di pochi individui, ma alla quale non si può rispondere se non con una morte altrettanto intensa, che però comporta inevitabilmente per il sistema occidentale una morte che non può essere perseguita: quella relativa alla sua scomparsa, al suo definitivo crollo. Il terrorismo, in pratica, cerca di far sì che il sistema si suicidi in risposta alla sfida del proprio suicidio.
Nel romanzo di Dostoevskij, infatti, l’omicidio di Satov è eseguito da Verchovenskij e i suoi, ma viene rivendicato da Alkesej Nilic Kirillov, pietra angolare del libro. Un superuomo nietzschano ante litteram che per negare l’esistenza di Dio decide di togliersi la vita, diventando simbolicamente una divinità con prelazione su vita e morte dell’umano. Manovrato da Petr Stepanovic, prima di spararsi scriverà una lettera poco in cui si assume la responsabilità dell’assassinio di Satov, mettendo in atto la dinamica descritta da Baudrillard, per quanto attraverso una menzogna. Ed eccoci quindi davanti quindi alla compiutezza del fenomeno terroristico, a un tempo mimetico e antagonistico alla società. Eppure manca un tassello: qual è l’oggetto del desiderio dei Demoni?
Stat crux dum volvitur orbis
Ogni nuovo credo ha bisogno di un messia, e Verchovenskij lo trova nella figura di Nikolaj Vsevolodovič Stavrogin. Con un nome che deriva dal greco antico σταυρός, cioè croce, il giovane “demone” ha la capacità magnetica di attrarre tutti coloro che incontra, tanto che più di un personaggio nel romanzo gli fa atto di fedeltà assoluta, sfociando in un’adorazione che ha del religioso. Stavrogin ha sposato un’idea di libertà illimitata, negando l’esistenza di qualsiasi morale: “Formulai per la prima volta in vita mia questo severo pensiero dentro di me: che non conosco e non sento né il male né il bene, e che non solo ne ho perduto il senso, ma so che il male e il bene in realtà non esistono nemmeno”. Questa trasvalutazione dei valori lo porta a compiere, con freddo cinismo e quasi con passività, atti perversi quali la violazione dell’innocenza di una bambina, per poi assistere passivamente al suo suicidio. Stavrogin non prova più nulla: è “l’uomo assurdo” descritto da Camus più di 60 anni dopo ne Lo Straniero, e come lui commette atrocità solo per dimostrare la mancanza di senso della vita. Ma Stavrogin porta la croce della consapevolezza che questo oltrepassamento non porti ad altro che all’aridità del cuore, e per questo cercherà riparo in una tardiva confessione e infine nel suicidio.
Nei nichilisti del romanzo di Dostoevskij, è perennemente in atto la meccanica del desiderio triangolare descritta dal filosofo francese: Stavrogin desidera (e vive) un’esistenza al di là del bene e del male, essi imitano questo suo desiderio desiderando lui.
Secondo Dostoevskij, probabilmente, egli non è altro che un uomo mosso dalla mancanza di significato del proprio tempo che, abbandonata l’idea di Dio, cerca riparo in atti insensati. J.G. Ballard, nel romanzo Millennium People, fa dire al terrorista Richard Gould: “Perché il mondo rimanga integro, noi dobbiamo credere nel movente, nel rapporto di causa-effetto. Ma se diamo un calcio a questi parametri, ci accorgiamo che l’atto gratuito, il gesto privo di significato, è l’unico ad avere un significato”. E mentre Stavrogin vaga nella sua assenza di senso e di desiderio, diventa per i nichilisti – che desiderano essere come lui – ciò che, per dirla con Girard, “la donna è per l’amante, ciò che il rivale è per il geloso, ciò che la roulette è per il giocatore, e ciò che per Raskolnikov è quel Napoleone in cui Hegel vedeva già l’incarnazione vivente della divinità”. Nei nichilisti del romanzo di Dostoevskij, è perennemente in atto la meccanica del desiderio triangolare descritta dal filosofo francese: Stavrogin desidera (e vive) un’esistenza al di là del bene e del male, essi imitano questo suo desiderio desiderando lui.
Ognuno è il demone di qualcuno
Il 24 febbraio Vladimir Putin comincia l’invasione dell’Ucraina. Secondo la sua propaganda, l’operazione è atta a “denazificare” il paese e a scongiurare l’entrata di questo nell’orbita della NATO, cosa che metterebbe a rischio i confini. In Italia si scatena una massiccia propaganda anti-russa, che passa dalla richiesta del sindaco di Milano Giuseppe Sala al direttore d’orchestra del Teatro La Scala Valery Gergiev, da sempre vicino al presidente russo, che condanni l’invasione, fino all’annullamento (poi ritirato) di un ciclo di seminari su Dostoevskij tenuti da Paolo Nori da parte dell’Università Bicocca, per “evitare polemiche”. Anche da parte di grandi firme del giornalismo nazionale le penne si infiammano: per Paolo Mieli i pacifisti sono “cinici”, per Manconi la resistenza ucraina è equiparabile a quella partigiana, fioccano i paragoni fra Putin e Hitler. Sul fronte opposto, il patriarca di Mosca Kirill appoggia la guerra definendola una reazione di difesa contro i “modelli di vita peccaminosi” sostenuti dall’Occidente, uno su tutti “il gay pride”. “Se l’umanità riconosce che il peccato non è una violazione della legge di Dio – ha osservato durantela domenica del Perdono –, se l’umanità concorda sul fatto che il peccato è una delle opzioni per il comportamento umano, allora la civiltà umana finirà lì”.
In questa nuova versione della propaganda fondata sull’idea dello scontro fra civiltà, non è difficile scorgere l’ombra del romanzo di Dostoevskij: per Putin le società occidentali sono demoniache, possedute, hanno rinnegato Dio e la tradizione in favore di una cultura peccaminosa e priva di significato.
In questa nuova versione della propaganda fondata sull’idea dello scontro fra civiltà, non è difficile scorgere l’ombra del romanzo di Dostoevskij: per Putin le società occidentali sono demoniache, possedute, hanno rinnegato Dio e la tradizione in favore di una cultura peccaminosa e priva di significato. In questo c’è un’assoluta continuità con l’opera del grande scrittore russo: l’alba della ragione del francofilo e liberale Stepan Trofimovic Verchovenskij ha generato i mostri nichilisti comandati dal figlio, e un occidente liberale minaccia l’integrità dello spirito russo.
Da questo punto di vista, l’espansionismo “democratico” dei Paesi NATO sembra dar ragione a questa propaganda, e del resto la voluttà del sangue urlata a mezzo stampa sulle nostre testate nazionali, la ricerca continua di eroi e addirittura un istinto suicidario visibile nell’opinione di molti nel non disattendere la richiesta di una no-fly zone sul territorio ucraino, che porterebbe a un ulteriore escalation del conflitto internazionale con esiti imprevedibili e presumibilmente drammatici, parrebbe dimostrarlo pienamente. Del resto, gli ultimi anni hanno messo in luce la costante ricerca di un capro espiatorio da parte di politica e opinione pubblica per rinsaldare i legami di una società in crisi; se questo meccanismo è connaturato in ogni collettività, oggi pare esserne diventato l’essenza stessa. Come per i Demoni, pare non esserci altro che legame fra gli umani che l’odio per l’altro. D’altra parte anche la richiesta del sangue di Putin, che sta portando il popolo russo al default, l’adorazione che anche in Italia alcune frange estremiste provano per lui, e un attacco a un Paese che pareva disporre di difese militari più deboli, lo connoterebbero come un indemoniato dei nostri tempi. Forse la profezia del grande scrittore russo si è compiuta: i Demoni hanno preso possesso delle città e delle menti. E questi demoni siamo noi tutti, da Oriente a Occidente.