S e la letteratura è da sempre specchio e simbolo di altri significati, alcuni libri sembrano essere concepiti come il punto d’incontro di tutte le simbologie e i quesiti che un testo letterario può provare a incamerare. Le domande — e le conseguenti risposte azzardate — sono parte integrante del nuovo romanzo di Andrea Gentile (minimum fax, 2021) che attraverso la storia misteriosa di Tramontare, prima bambina e poi anziana, più che raccontarci la vita di un preciso individuo ci racconta il potere che domande viscerali, enigmi e mutamenti interiori hanno sulla vita di una persona, plasmandola come creta nelle mani del tempo e dell’interrogativo.
Qual è il mio stare al mondo, si chiede. Qual è la ragione del tuo sguardo. Sparire o morire non sono la stessa cosa? Affronti il futuro, qualche volta? In Tramontare ogni domanda si trasforma in simbolo, senza aver bisogno di risposta. Ogni cosa è metafora: i quesiti posti, i personaggi che sfiorano — o meglio colpiscono — la bambina e il paesino misterioso e sospeso che la protagonista perlustra: “Masserie di Cristo è tutta stelle e solennità, il sole sembra assente da sempre. Assomigliamo a un quadro di un secolo lontano, siamo tutti di cartapesta, siamo un presepio senza religione.”
Il paesino in questione è il paese d’origine dello scrittore, un agglomerato urbano disperso nelle terra molisane, che nella produzione letteraria di Gentile si trasforma romanzo dopo romanzo — con L’impero familiare delle tenebre future e I vivi e i morti — diventando un portale verso nuove storie, una di quelle città fantastiche sospese in cielo, prive di vera correlazione con il mondo circostante e le regole del tempo. Tutto a Masserie di Cristo sembra immobile e già antico, fermo in un’epoca polverosa, in una stasi in cui il microcosmo del paese prende una piega sinistra: ogni pettegolezzo e diceria si tinge di scuro, di catastrofe, amplificandosi come dentro una casa degli specchi dove ogni voce rimbomba sulle pareti delle stanze infinite e stratificate, dove ogni azione si perde dentro un labirinto, simile all’ostile Tribunale ne Il processo di Kafka dentro al quale Josef K. si insinua alla ricerca di risposte.
In questo “presepio senza religione” come lo definisce la Tramontare ormai anziana, i personaggi non hanno nome, sono definiti dal loro ruolo nella comunità: dalla Sorella, divinità fulminea, al Padre, il Bambino Nitido, il Cancelliere, tutti diventano manichini del loro ruolo, figuranti di una fantasia e simboli anch’essi di un compito. Diversamente da loro Tramontare, che per identificativo ha un verbo, non avendo un nome che la incasella in una mansione è definita dal movimento: una bambina frenetica, mai ferma su un pensiero o in un singolo luogo di Masserie, un personaggio così dinamico da ricevere fin dalla prima pagina un monito che le ricorda che non saranno la lacrime a evitarle il capolinea del suo muoversi, la morte.
“Non ho alcun problema verso ciò che muore. È ciò che vive morendo che mi preoccupa. Questo è il punto. Stare fermi è impossibile. Come si può restare immobili? C’è l’illusione di restare immobili. Ci sarà sempre, da qualche parte, un respiro che si muove.”
Icona di movimento, che sia generativo o decadente, Tramontare è anche simbolo di morte. Glielo ricorda il nome che porta e le persone che le parlano: per questo non la teme, la accoglie come il vuoto che concretamente cerca di scavare nella sua classe, a scuola, nei ritagli di tempo solitari, talvolta osservata solo dalla limpida figura del Bambino Nitido, personaggio sul quale la piccola riversa la speranza di trovare risposte, specchio della sua solitudine piena di quesiti. Tra i tanti simboli che possiamo attribuire a Tramontare uno di questi è questa morte che non ha paura, serafica, e la serenità con la quale accogliere il vuoto, creandolo con il proprio avanzare, pacato come il passeggiare dei personaggi walseriani.
Come la morte e come il dolore, il vuoto per Gentile si trasforma in qualcosa da accogliere, senza timore di esservi attraversati.
Nel vortice di pensieri che Tramontare vive — soprattutto nella prima parte della storia legata all’infanzia dove tutto è nuovo e fecondo — il suo pensiero torna spesso a quel buco scavato in segreto a scuola, un vuoto concreto che si veste con rapidità di simbolo, filosofico e letterario. Per la bambina vuoto e buio sono due mondi distinti e “lavorare alla costruzione di un vuoto [la] fa sentire bene. È possibile, in questo modo, dimenticare il buio”: l’antagonista delle nostre vite. Scavare alla ricerca di vuoto invece “è come un modo per abbracciare se stessi”. Il vuoto, per Tramontare, non è un nemico ma uno spazio spogliato dai veli, dalle sovrastrutture che riponiamo nelle nostre vite; come la morte e come il dolore, il vuoto per Gentile si trasforma in qualcosa da accogliere, senza timore di esservi attraversati.
In questo libro, duplice in ogni lettura, anche la protagonista si sdoppia, creando così un vuoto in quello che dovrebbe essere il nucleo di una storia; lasciandoci invece solo gli estremi, momenti analoghi per solitudine e immaginazione. Se nella prima parte Tramontare è una bambina in continuo movimento, mai uguale a se stessa, nella seconda parte ci viene presentata una Tramontare anziana, che fatica a ogni passo: una donna in perenne decadimento, un essere in discesa, che non ricorda nulla se non qualche dettaglio sparso tra i dolori del corpo che muore. In mezzo, tra l’infanzia e la vecchiaia, un frammento di vita lasciato in bianco. Una voragine ricolma di ricordi, un vuoto — appunto — che si trasforma in terreno fertile per il gioco della scrittura di Gentile. Allontanandosi sempre più da una narrativa nitida, una letteratura fatta di storie e fatti, ci permette di addentrarci invece in un romanzo saturo di sensazioni nel quale nasconde la linfa vitale dei grandi romanzi misteriosi, tra le nebbie della scrittura mitteleuropea e il fiabesco realismo magico, giocando con le potenzialità dei ricordi e delle domande che li avvolgono.
In una Masserie di Cristo ancora più deserta, appesantita dal tempo e dalle morti, Tramontare rimane e al tempo stesso “non esiste, non è mai esistita, andavo dicendo a me stessa mentre giravo il cucchiaio nella pentola”. La bambina tramontata è ora definita dei ricordi offuscati che trascina insieme alle sue gambe pesanti cariche di vene varicose e dolori, unici elementi che le ricordano di essere al mondo. In un lavoro a esclusione la protagonista del romanzo sembra passare in rassegna tutti i mali che definiscono la vita di un individuo, tentando di definire quali ci descrivano per davvero: se non è il vuoto che scaviamo, il buio che evitiamo o la morte che prima o poi ci avrà, sarà forse il dolore a scandire il tempo? La risposta, una delle tante che possiamo pescare dentro questo calderone di riflessioni e di oscurità, sembra così semplice, scritta nera su bianco.
“La questione è: esserne consapevoli. Non provare avversione per il dolore. Non provare bramosia per i piaceri del corpo. Questo è quello che avrei dovuto imparare e che non ho mai imparato. Questo è stare a questo mondo.”
Così Tramontare ci confessa ciò che scandisce il tempo: la consapevolezza del dolore, la percezione del prurito e del male, l’essere “solo consapevoli”. Per poi — forse in un gioco fanciullesco trascinato per una vita intera, uno di quei giochi da campetto che cambia le regole di volta in volta — svelare la soluzione a molte delle domande dentro e fuori dal romanzo, e cioè “capire il mistero che non c’è nessun mistero”. In una storia che racconta tutto senza descrivere quasi nulla, Andrea Gentile prende in prestito un paesino perso nel tempo, una bambina poi anziana, per descrivere lo stare nel momento presente, in eterno e inevitabile tramontare, in un esperimento letterario dove l’individuo è fatto di apparizioni, costellate da domande, ricordi e prolifici vuoti.