G li appassionati di rock psichedelico giapponese conosceranno gli Acid Mothers Temple e i Fushitsusha di Keiji Haino; magari anche gli High Rise e i Mainliner. Ecco: tutti i gruppi citati non esisterebbero se non fosse per i Les Rallizes Dénudés, soprannominati i Velvet Underground giapponesi proprio per la loro estrema influenza sui gruppi a venire (è noto che all’epoca “i Velvet Underground li conoscevano in venti, ma tutti quei venti hanno fondato una band”), oltre che per la loro nota passione per il gruppo di Reed e Cale, di cui adoravano soprattutto il secondo album, White Light/White Heat.
Les Rallizes Dénudés non vuol dire niente, o forse vuol dire valise denudé (valigia vuota, cioè persona stupida). Una scuola di pensiero vuole sia una francesizzazione di rallyes come plurale di rally – anche la versione alternativa del nome del gruppo, Hadaka No Rallizes, non significa altro che “I Rallizes nudi”. Di sicuro l’intento è quello di omaggiare/scimmiottare la lingua francese, sull’onda della grande fascinazione estetica del chitarrista, cantante, leader e despota della band Takashi Mizutani: verso la fine degli anni Sessanta, Mizutani studia letteratura francese all’università Doshisha di Kyoto, stravede per l’esistenzialismo, legge Sartre e Derrida e fuma soltanto sigarette francesi.
Anche il suo aspetto è singolare: magrissimo, pallido, perenni occhiali e vestiti scuri, caschetto di capelli lunghi sul viso; lo stesso stile che verrà ripreso anni dopo da Keiji Haino. Pare infatti che Haino nutrisse per lui una vera venerazione, almeno inizialmente: ai tempi della sua prima band Lost Aaraaff, i due condividono spesso il palco, e Haino ne approfitta per prendere appunti per i suoi Fushitsusha, che alla potenza dei LRD aggiungeranno follia e improvvisazione.
Della personalità di Mizutani si sa poco, anche per via della sua proverbiale reticenza. Quel poco ci suggerisce uno sguardo nichilista sul mondo che fa a pugni con gli ideali di sinistra radicale: appoggerà l’Armata Rossa Giapponese, gruppo terrorista comunista, in ossequio a quella commistione tra freakness e radicalismo politico comune al mondo giovanile-universitario di quei tempi. Dallo stesso ambiente germineranno i Taj Mahal Travellers, coi loro lunghi bordoni di suono filtrati dall’elettronica.
Verso la fine degli anni Sessanta, Mizutani studia letteratura francese all’università Doshisha di Kyoto, stravede per l’esistenzialismo, legge Sartre e Derrida e fuma soltanto sigarette francesi.
Ma i LRD sono ben lontani da quella dimensione meditativa e bucolica, come dal folk che sembra essere l’unico medium possibile per la canzone di protesta: la loro psichedelia è aggressiva e sembra caricata a dosi di speed. Una versione della storia vuole che il gruppo muova i primi passi nel 1962 come ensemble teatrale, una formazione aperta a sperimentazioni interdisciplinari tra musica, poesia e arti visive, ma i tempi sembrano un po’ precoci. Quel che è certo è che nel 1967 Mizutani ne fa una rock band vera e propria, memorabile già dai primi concerti: concepiti per accompagnare spettacoli teatrali come quelli della compagnia di Shuji Terayama (l’idea verrà presto accantonata: volumi e impatto tendono a rubare la scena ai poveri attori), sono vere e proprie aggressioni sonore e visive – assalto sensoriale totale è la formula dichiarata.
Rumore bianco, danza, proiezioni psichedeliche: lo show è una versione meno sofisticata dell’Exploding Plastic Inevitable di Warholiana memoria, e pone i primi mattoni della costruzione di un culto. Si dice (tutto quel che riguarda la band sta nel regno del “si dice”) che a causa delle disastrose prime session in studio tra il ’67 e il ’68, con voce altissima nel mix, Mizutani decide che i LRD non registreranno mai più nulla. In effetti così sarà, in barba a un presunto interesse della Virgin per la band: tutti gli album (e sono molti) che possiamo reperire sono, con gradi diversi di cura e di autorizzazione, dei bootleg, registrazioni clandestine di concerti, spesso con date sbagliate e brani che si ripetono più volte.
Il repertorio è limitato, una dozzina di pezzi presenti in decine di versioni diverse: tra i più epocali forse “The Last One” e quella”Smokin’ Cigarette Blues” nella quale qualcuno ha voluto vedere la loro “Sister Ray”. Dice John Whitson della label americana Holy Mountain: “Non troveremo mai un loro disco perfetto, non esiste. Trovare le loro registrazioni è un po’ come quando gli archeologi trovano dei resti: un piatto rotto, un vaso a metà. Cose del genere”. I culti però si basano anche sulla mitopoiesi, e quindi non è possibile parlare dei LRD senza raccontare questa storia che del mito è sicuramente un capitolo fondante.
Il 31 marzo del 1970 il bassista del gruppo Moriaki Wakabayashi, molto vicino all’Armata Rossa Giapponese, è coinvolto nel sequestro di un volo della Japan Airlines: 129 persone tra passeggeri e equipaggio vengono prese in ostaggio e in seguito liberate; l’aereo, che da Tokyo era diretto a Fukuoka, è dirottato verso la Corea del Nord. L’idea era quella di andare a combattere per la liberazione comunista della Corea del Sud e da lì espandere la rivoluzione in tutta l’Asia orientale.
Wakabayashi vive lì da allora, in asilo politico assieme a tre degli otto responsabili. Nel 2004 ha fatto richiesta di tornare in Giappone e nel 2010, in un’intervista a Kyoto News, si è detto pentito di un’azione “egoista e presuntuosa”, e pronto a subire un processo e l’arresto. L’episodio non aiuta il destino della band: Mizutani, a sua volta vicino all’organizzazione, entra in una spirale di paranoia e isolamento ancora più profonda rispetto a quella in cui già viveva; terrorizzato dai Servizi Segreti, non uscirà per mesi dal suo piccolo appartamento di Tokyo se non per le più basilari esigenze di sopravvivenza.
Tra esilio autoimposto, discografia non proprio ortodossa, i mille problemi del leader e la scarsa fama, il gruppo resiste però per quasi trent’anni, con la sua ventina di musicisti intercambiabili a passarsi il turno sul palco attorno al padre-padrone (“tutti i membri del gruppo adoravano Mizutani come un dio”, F. Yamaguchi).
Anche se il luogo comune vuole che il vero periodo d’oro sia quello precedente al dirottamento, quello più prolifico (almeno per quanto riguarda le registrazioni) va dal 1977 ai primi anni Ottanta. In seguito, Mizutani chiama Fujio Yamaguchi come secondo chitarrista e ingaggia musicisti generalmente più capaci, cambiando così di molto il suono della band. Yamaguchi ha anche un approccio più melodico del chitarrista ritmico che va a sostituire; dopo aver suonato in una manciata di concerti (fortunatamente giunti fino a noi), tuttavia, lascia la band, che da qui in poi resterà più o meno stabilmente un trio.
Come trio, il gruppo intraprende strade più estreme, e il suono (spogliato a sola sezione ritmica più le asperità di Mizutani) diventa ancora una volta più astratto e disumano. Verso la fine degli anni Ottanta le apparizioni del gruppo si diradano. Ci restano solo poche registrazioni risalenti alla metà degli anni Novanta, fino allo scioglimento nel 1996, con un concerto tenuto in estrema segretezza.
Se il culto dei Les Rallizes Dénudés è stato alimentato da Julian Cope nello splendido Japrocksampler (in cui definisce Mizutani “un Dio del phaser che invoca gli spiriti scomparsi dei tempi antichi”), è probabile che la parte a loro dedicata sia stata un poco romanzata dall’autore, tanto che l’edizione giapponese del libro è introdotta da un apposito disclaimer. Il capitolo a loro dedicato è comunque privo di grandi certezze e informazioni precise, a differenza di quelli dedicati ad altre band: un effetto collaterale della portata innovativa del gruppo, apprezzato pienamente soltanto a posteriori, in epoche di lo-fi e no-fi.
Dallo scioglimento, Mizutani ha fatto una sola apparizione pubblica, un concerto free jazz in trio con Arthur Doyle e il batterista Sabu Toyozumi nel 1997. Si rincorrono voci che sostengono stia in Francia, ma altre lo vogliono sempre a Kyoto, o forse a Tokyo. Un’altra voce sostiene che le rare volte in cui ha parlato coi giornali lo abbia fatto inviando dei fax quando in Giappone era notte. Dal 2011, quando approva ufficialmente l’uscita di un box set, avvistamenti e voci di corridoio si interrompono.
In un articolo per Red Bull Academy, Grayson Haver Currin scrive che Mizutani si troverebbe ancora in Giappone, nascosto in piena vista, tuttora convinto di essere ricercato. Quello di Currin è però il diario di una ricerca, la ricerca di qualche certezza nella storia di un gruppo che, nell’azzeccata definizione del musicista Bloom, è come il fumo: è dappertutto (la loro influenza informa l’intero underground giapponese) e da nessuna parte.
C’è anche chi dice che siano tutti stratagemmi per alimentare il mito: “comparire all’improvviso a un soundcheck, non a un concerto. Così facendo sa che ne parleranno tutti, e tutti diranno che era stato lì fino a poco prima”. Certo, un eventuale ritorno dovrebbe essere all’altezza di aspettative stellari, le più grandi di sempre per un ambiente chiuso e autoriferito come quello dell’underground giapponese. Mizutani dovrebbe combattere contro se stesso, col rischio di distruggere in una sera decenni di mistero.
Più facile forse allora combattere con qualcun altro. Sempre secondo Bloom, a trattenere Mizutani sarebbe la fama guadagnata nel frattempo da Haino, e il suo ruolo di ambasciatore dell’underground giapponese nel mondo. Un divorante elemento di gelosia per chi un tempo era la sua più grande influenza.
E pare che l’argomento sia innominabile per lo stesso Haino: Bloom si spinge a considerare Mizutani la sua nemesi, da sconfiggere per poter guadagnare il suo posto al sole: “Ha fatto cose che dicevano esplicitamente Ora lo scettro è mio. Quando lo vedi che mette su un gruppo con Sami e Doronco (Haino ha formato uno sporadico trio con due ex membri dei Les Rallizes Dénudés, attivo tra il 2006 e il 2010, N.d.R.), sta chiaramente dicendo che si è preso il posto di Mizutani.”
La loro musica resta una delle declinazioni del rock psichedelico più pesante e scura, figlia del garage e dei Blue Cheer, sepolta sotto feedback e distorsioni.
È ovviamente una visione personale e opinabile di Bloom, e al di là delle leggende, è sempre la musica a contare più di ogni cosa. Quella dei LRD resta una delle declinazioni del rock psichedelico più pesante e scura possibile, figlia del garage e dei Blue Cheer, sepolta sotto feedback e distorsioni, tra un basso ipnotico e circolare e una batteria lenta e pesante: un’esperienza totalizzante, come essere risucchiati da un tornado nero pece.
Tra la valanga di registrazioni, ricordiamo il mitico Live’77 (con molti brani sovrapponibili a Heavier Than A Death In The Family – nel senso che sono proprio le stesse registrazioni); Blind Baby Has Its Mother’s Eyes, con una qualità audio vagamente superiore alla norma; i France Demo Tapes e il cofanetto in 6 CD di materiale risalente ai primissimi ’80 (e all’ingresso in formazione di Yamaguchi) Double Heads.
Musica che ricerca un effetto ben preciso, citando un volantino dei LRD di fine anni Sessanta: “Per quei giovani – te compreso – che vivono questa moderna atroce adolescenza e che vogliono vera musica radicale, spero sinceramente che dal dolore penetrante possa nascere un dialogo che riempia questa stanza”.
Per essere, ancora una volta, dappertutto e da nessuna parte.
Tra le fonti di questo articolo segnaliamo la monografia di Ondarock, l’articolo In Search of Les Rallizes Dénudés di Grayson Haver Currin, Japan’s Most Mysterious Band: Les Rallizes Dénudés da Dangerousminds.net, e il capitolo dedicato ai LRD su Japrocksampler di Julian Cope (Arcana, 2008). Una versione di questo articolo è stata originalmente pubblicata sul sito Pixarthinking; l’autore desidera ringraziarne l’editor Mattia Coletti.