R oberto Calasso, a capo di Adelphi da mezzo secolo, è uno degli editori italiani più noti al mondo, un’istituzione; come editore, però, nei decenni si è sempre sottratto dalla disperazione del risultato, dalla ricerca del caso editoriale cannibale. La sua casa editrice il risultato commerciale non lo disdegna, com’è logico, ma riesce ancora a raccontarsi come preferisce. Calasso è un editore e un intellettuale. L’editoria d’altronde, come mercato, vive di odiose etichette, scaffali, generi. Ed ecco che Elena Sbrojavacca, dottoressa di ricerca in Italianistica a Ca’ Foscari, dedica un saggio all’opera omnia di Calasso, e lo titola Letteratura assoluta.
Il saggio di Sbrojavacca nasce da un percorso accademico quasi decennale, inaugurato da una tesi di laurea già indicativa del libro a venire (e strumento necessario alla scrittura di un mio articolo di qualche anno fa, intorno a L’innominabile attuale). Cito la tesi perché già in quella si profilava la profondità dello studio di Sbrojavacca, pronta a inabissarsi nella mente di Adelphi. Già il titolo della tesi poi rimandava al futuro saggio, citando da La letteratura e gli dèi, e profetizzandosi:
Dèi e fantasmi si alternano sulla scena, con pari diritti. Non vi è più una potenza teologica in grado di reggerli e ordinarli. Chi si azzarderà allora ad avere commercio con loro, a combinarli? Una ulteriore potenza, sino allora mantenuta in una perenne minorità, e usata al servizio del corpo sociale, ma che ormai minaccia di disancorarsi da tutto […]: la letteratura. Che in questa sua mutazione potrà anche essere definita: letteratura assoluta.
Mi chiedo com’è nato il tuo studio: come lettrice di Calasso o di Adelphi? E come ti trovi, ora, che anche la tua ricerca è stata scaffalata? Bisogna inventare degli scaffali assoluti.
A metà della prima lettura della Rovina di Kasch pensai di aver fatto una scelta folle: per la sua forma ibrida, per la sua assenza di centro e per la miriade di riferimenti chiamati in causa praticamente a ogni riga il libro mi sembrava indecifrabile. Poi mi tornò in mente una frase che apriva La letteratura e gli dèi: “tutto finisce in storia della letteratura”. Cominciai a usarla come bussola per orientarmi all’interno di quel labirinto di storie e come in una sorta di incantesimo certe immagini si fecero più chiare. Rinunciai a cogliere ogni singola allusione, a voler contestualizzare ogni citazione: iniziai a vedere ogni figura, reale o immaginaria, come un filo in un grande tappeto di storie e provai a vedere quali disegni vi ritornavano più di frequente. Mi concentrai su quelli e ne venne fuori la mia prima tesi, incentrata solo sulla Rovina ma in effetti già intitolata Roberto Calasso o della letteratura assoluta. Dal 2014 al 2020 ho cercato di indagare tutti i volumi che nel frattempo si sono aggiunti all’Opera (quando ho cominciato parlavo di un’eptalogia, oramai il numero delle sue parti è quasi raddoppiato), procedendo nel solco delle prime intuizioni.
Mattoni cifrati, oracolari, autoriferiti, lirici, incantati. Non escludo a priori che forse, oltre a Calasso, sei l’unica persona al mondo ad avere letto tutto Calasso. E lo scrivo da entusiasta della Rovina di Kasch per esempio, che segnerei tranquillamente come capolavoro, di Cadmo e Armonia, L’Innominabile Attuale… parlare di letteratura italiana senza sapere cosa sta brigando Calasso è quantomeno sospetto; e non mi viene in mente nessuno che sia riuscito a trasformare l’uscita di un saggio trascendentale, di un percorso esoterico, in un passaparola tra generazioni, e un obbligo da vetrina. Libri difficili, si diceva. Ma se vogliamo accompagnare qualcuno alla lettura di Calasso, da dove consiglieresti di partire?
Oltre alla ricerca, all’analisi critica, insegni nelle scuole. Come introdurresti una classe di sedicenni all’opera di Calasso? Di cosa gli parleresti? Ho come la sensazione che la bibliografia dei programmi scolastici e i penati di Calasso siano due rette parallele.
Molto più che vuote definizioni infarcite di parole difficili, ho trovato utile partire da un’immagine che indago anche nel mio libro, molto importante per l’Opera di Calasso. Ai ragazzi ho chiesto di pensare a una foresta, e di dirmi come secondo loro se ne poteva avere una conoscenza “scientifica”, oggettiva. Le risposte non hanno tardato ad arrivare: si poteva fare uno studio della biodiversità, catalogare i tipi di piante e di animali che vi abitavano, valutare la qualità dell’aria… Poi però ho chiesto se la foresta come immagine suscitasse in loro qualcos’altro: per esempio se avessero mai sognato di perdersi in una foresta, o se conoscessero storie ambientate in boschi o foreste. Hanno constatato che in quelle immagini la foresta diventava qualcosa di diverso: un luogo misterioso e terrorizzante, in cui possono avvenire molte cose; abbiamo convenuto che in quei sentimenti di smarrimento o paura che la foresta incute non ci fosse meno verità che nei dati che si sarebbero potuti ricavare dall’osservazione scientifica. E abbiamo capito quali siano le due strade che si aprirono di fronte alla letteratura di quel periodo per descrivere quella cosa sfuggente che chiamiamo “la realtà”.
Il tuo racconto è prezioso, e bello, e potrebbe portare a un’intervista parallela, sullo Stato delle Lettere nelle scuole superiori. Come si conciliano le tue esplorazioni nella foresta profonda della letteratura, il tuo lanternino, e la “condizione illuminata” dell’insegnamento, dove gli studenti magari si aspettano che di fronte a loro svetti il faro? Simpatico magari, ma faro.
E a questo proposito, come sono stati i tuoi incontri con Calasso? In mezzo a tutto questo assoluto, tra chi scrive e chi studia, si riesce a evitare il disagio della catalogazione? Ci si incaglia nel perfezionismo, nel mai abbastanza?
Venendo al perfezionismo: credo che assieme alla sindrome dell’impostore sia un compagno fedele di qualsiasi ricercatore. D’altronde, studiando un’opera vasta come quella di Calasso è impossibile non scontrarsi con il “mai abbastanza”. Senza dubbio un certo senso di inadeguatezza mi ha seguita durante tutto l’attraversamento, e pur avendo messo un punto al mio libro sono consapevole di aver tralasciato di indagare alcune cose, ma accetto con (relativa) serenità il fatto che qualsiasi critica sia parziale.
Che letture hai scoperto grazie a Calasso? Come ha trasformato la tua mente di lettrice?
Sono sempre stato interessato al lato ninfolettico di Calasso, e il suo commento a Lolita di Nabokov mi è tornato in mente, a cicli continui, leggendo il nuovo pamphlet di Siti, Contro l’impegno. In una sintesi brutale: rappresentare nell’arte non significa approvare nella coscienza. All’artista però non può essere negato il dovere alla possessione, il viaggio che la porta altrove, per tornare dal sequestro, e cambiare il racconto del mondo. Cito allora Calasso:
Ma quando qualcosa di indefinito e possente scuote la mente e le fibre, fa tremare le gabbia di ossa, quando la stessa persona, fino a un attimo prima torpida e agnostica, si sente squassata dal riso e dalla smania omicida o dallo struggimento amoroso o dalla allucinazione della forma, o si scopre irrorata dal pianto, allora il Greco riconosce di non essere solo. C’è qualcuno accanto a lui, ed è un dio.
Sottolineare questo lato… posseduto di Calasso ci aiuta a ricostruire un profilo più completo, più esatto di chi forse l’ha inquadrato come lo stregone ermetico ossessionato dalle bibliografie dell’Austria Felix. Mi racconti il Calasso dell’ebrezza?
La letteratura che Calasso predilige scopre o ricerca in qualche modo il contatto con questa presenza, e con tutte le altre presenze che possono attraversare la mente: figure infestanti, idee ossessive, che si impongono e non la abbandonano perché chiedono di essere viste, magari raccontate. Al di là della misurata perfezione della scrittura, che cela la natura ossessiva di alcune immagini, l’Opera di Calasso è fatta anche di emersioni fantasmatiche: mi sembra che alcune ritornino a galla anche al di là della volontà autoriale. Quando a distanza di decine di anni la stessa scena si ripropone, magari descritta con parole molto simili, da un libro all’altro – Baudelaire che in sogno entra scalzo dentro un bordello-museo, il rinunciante che si avventura nella foresta, l’uccisione del mostro – dobbiamo pensare che in azione ci sia anche questa forza dirompente che Calasso ha tanto celebrato nelle parti più saggistiche della sua Opera.