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a pandemia ha messo drammaticamente in evidenza la totale l’incapacità del governo di Jair Bolsonaro di gestire un paese multietnico e disuguale come il Brasile. Il Coronavirus ha colpito soprattutto gli indigeni, i neri e la popolazione povera, come in un macabro coronamento di un progetto politico che sin dalla sua nascita difendeva la sterilizzazione di massa dei cittadini meno abbienti, l’abrogazione delle leggi in materia di protezione ambientale, l’industrializzazione dell’Amazzonia, l’inferiorità delle donne e lo sterminio della popolazione carceraria come elementi indispensabili all’ordine e al progresso scritto nella bandiera nazionale. Proprio di questo filo rosso parla Fascismo tropicale: il Brasile tra estrema destra e Covid-19, uscito per Dissensi Edizioni a dicembre, un ricco mosaico della società brasiliana e delle conseguenze nefaste prodotte dal meticoloso smantellamento delle politiche sociali, sanitarie e ambientali in nome di una idea di sviluppo incompatibile con la tutela dei diritti umani, civili e sostenibilità ambientale. Ho incontrato la sua autrice, Claudiléia Lemes Dias, nata in Brasile a Rio Brilhante nel 1979 e laureata in legge e specializzata in Tutela Internazionale dei Diritti Umani e Mediazione Familiare. Claudiléia vive da molti anni a Roma e ha lavorato come ricercatrice presso il Dipartimento di Storia e Teoria del Diritto dell’Università di Tor Vergata.
Puoi parlarmi della stesura del tuo ultimo saggio, Fascismo tropicale, sull’attuale situazione politica in Brasile?
Quel bambino il giorno dopo continuerà a vendere il suo geladinho, continuerà abbandonato alla sua miseria. Alla fine gli hanno detto che faceva una bella cosa, che andava bene così. Gli è stato venduto un secondo di fama, un sogno, non una soluzione per il problema di quella famiglia molto povera. Lo stesso schema viene applicato dal Presidente agli indios. Bolsonaro è riuscito a spaccare alcune etnie propagandando che anche loro avevano la possibilità di sfruttare la loro terra, di arricchirsi con l’agribusiness. Però questo arricchimento di tipo occidentale e capitalista non appartiene alla loro civiltà. Si tratta soltanto di un’operazione che l’estrema destra compie con successo per dividere la società. Dunque, da questo punto di vista la realtà brasiliana è interessante proprio perché è un progetto riuscito dell’estrema destra: se riescono a spaccare l’intero paese possono restare al potere a lungo perché gli investimenti in propaganda sono i più ingenti degli ultimi decenni. Non interessa l’unione di tutti, ma proprio la divisione dall’interno. Bolsonaro odia la democrazia e lo dimostra quotidianamente.E cosa ti aspetti dal tuo saggio? È questo che volevi, informare gli italiani sulla situazione brasiliana?
Cosa provi quando ricevi tutte queste notizie da lontano, ti viene subito la voglia di andare in Brasile, e sei riuscita ad andarci quest‘anno?
I bambini e ragazzi sono sottoposti a un controllo assoluto da parte degli agenti presenti negli istituti scolastici, perché vengono inseriti per sorvegliare l’amministrazione e l’istruzione degli alunni nelle discipline principali, come la musica, lo sport, la ripristinata educazione morale e civica e la matematica. Mentre i militari insegneranno il valore della patria e l’inno nazionale ai bambini poveri, i figli dell’élite brasiliana frequenteranno scuole dal modello scandinavo, nelle quali lo sviluppo del pensiero e della creatività è incentivato e completamente opposto al sistema militare. Come dicevo prima, la mia famiglia è divisa politicamente. Ci sono quelli che continuano a votare a sinistra, com’era il caso di mio papà e qualche mia sorella, ma i restanti si dicono convinti della propaganda di Bolsonaro, perché ignorano le conseguenze dei regimi militari del passato. Visto che mi sono laureata in Brasile nella facoltà di Legge, ho assorbito i profondi insegnamenti sul significato dei regimi militari dal punto di vista delle libertà individuali e dei diritti civili. Nei licei, invece, ci insegnano poco o niente. Il risultato è che la maggioranza della popolazione brasiliana ignora cosa significhi vivere in uno Stato governato da forze militari. Le persone credevano che Bolsonaro parlasse in campagna elettorale “tanto per”. A proposito, esprimo la mia grande critica verso la sinistra che ha governato il Brasile per ben quattordici anni e, in tutti questi anni, non ha fatto una seria revisione del materiale scolastico, impedendo così la sana consapevolezza politica delle classi più basse. Di conseguenza, è evidente che ho dei nipoti ignari su tutto che sostengono fortemente la propaganda bolsonarista. Nonostante l’indicazione di libri e documentari molto validi sulla tematica, hanno preferito credere alle fake news diffuse sui social o messaggi arrivati su WhatsApp.
Di recente hanno pubblicato un video in cui i proprietari terrieri avevano equipaggiato i loro trattori come un ‘caveirão’, come avviene nelle favelas del Rio de Janeiro. Il ‘caveirão’ è un mezzo corazzato tutto dipinto di nero con un teschio davanti, usato dalla polizia per contrastare gli attacchi dei narcotrafficanti. Cosa hanno fatto i proprietari terrieri della mia zona? Hanno dipinto di nero i loro trattori, hanno messo un teschio sopra e hanno posizionato nei punti strategici dei fucili pronti a sparare contro chi “invade” le loro terre. In realtà, però, sono loro che hanno per prima invaso quelle terre, che appartengono all’etnia Guarani-kayowá, l’unica in Brasile che non ha i diritti di proprietà garantiti dallo Stato. Sono considerati “i palestinesi tra gli indios”, gli unici che non hanno una “reserva”. Parliamo di un’etnia costretta a spazi sempre più ridotti, asfissiata da fattorie abusive. Ad un certo punto quella terra appartenente alla fattoria diventa improduttiva dopo l’eccesso di agrotossici e pesticidi e quindi la terra si ribella, non è più capace di produrre niente. Cosa fanno i proprietari terrieri, a questo punto? Si espandono e invadono gli spazi concessi agli indios, si impossessano delle loro terre e poi gli sparano quando cercano di recuperare i propri territori con la strategia del ‘caveirão’, che ho descritto prima. Con la sinistra di Lula e Dilma al governo la situazione non era tanto migliore. Lo ripeto: ci sono stati per ben quattordici anni. Sono molto critica nei confronti dell’ex presidente Lula e delle sue promesse vuote di introdurre la riforma agraria, di garantire una maggiore protezione per l’ambiente e la tutela dei popoli indigeni. La sua prima ministra dell’ambiente, Marina Silva, di fatto ha migliorato la situazione della Foresta Amazzonica riuscendo a contrastare il deforestamento e gli incendi. Ha ottenuto risultati promettenti, mondialmente riconosciuti come un modello di sviluppo sostenibile da seguire ma, siccome era “troppo ambientalista” fu sostituita da Carlos Minc nel secondo mandato di Lula. Minc è stato piazzato per fare l’esatto contrario di Marina Silva: portare lo sviluppo industriale nella foresta amazzonica e rendere meno burocratica la costruzione di centrali idroelettriche nel cuore della foresta. Di certo non erano richieste partite dalle comunità indigene, che protestarono fortemente contro questo cambio di direzione. Alla fine, erano progetti pianificati durante il regime militare che venivano rispolverati senza ritegno da un governo di sinistra. Perché rispolverare i vecchi progetti del regime militare che avevano come intenzione portare le industrie nell’Amazzonia? Perché era un progetto che coincideva perfettamente con le intenzioni della “sinistra” in quel momento. Aveva bisogno di nuovi alleati dopo aver perso la sua base per via delle riforme neoliberali che aveva adoperato. Come risultato abbiamo una sinistra che ha portato le dighe, e la destra attuale che porta il fuoco.Ti senti a casa in Brasile?
Ma non pensi che il problema principale risieda negli accordi economici tra il Brasile e le grandi multinazionali occidentali?
Nel 1989 la mia famiglia ha vissuto un periodo di grave crisi economica, che coincideva con le riforme scellerate del governo di allora. C’era una grave inflazione che arrivava a quasi 1000% all’anno. Abbiamo dovuto bussare in ogni porta, nel nostro paese, a chiedere cibo. Ci è capitata questa cosa. Quindi, riesco a mettermi nei panni dei bambini poveri del mondo perché sono stata una di loro. Si prova la stessa identica cosa. C’è un senso di precarietà che ci accomuna: oggi hai cibo e una casa, domani chissà! Dal punto di vista della situazione politica, quella italiana mi suscita interesse e preoccupazione. Da lei dipende il mio futuro e quello della mia famiglia, quella che ho costruito. La politica brasiliana, però, mi provoca un senso di rabbia e di rivolta tale che mi dispera. A dire il vero, mi sciocca al punto che sento di dover fare qualcosa, di dover dire qualcosa su quella realtà. La miseria cruda, dura e cinica l’ho vissuta là e non qua. Se io fossi nata in un quartiere periferico di Roma come San Basilio o nella Pietralata raccontata da Pasolini e avessi vissuto la povertà delle borgate romane la sentirei più mia e combatterei per loro ugualmente e con la stessa passione. Quando penso, però, che nelle favelas, in piena pandemia, manca l’acqua, la luce, il gas e il cibo, mi rendo conto che possono contare unicamente con la solidarietà della società civile perché un governo non c’è per loro. Forse dieci anni fa ti avrei risposto in maniera diversa, considerandomi una cittadina del mondo. Oggi, al contrario, non mi sento più una donna cosmopolita. Oggi sento che la mia patria è il Brasile, anche se amo Roma e l’Italia e non mi vedo più a vivere da nessun’altra parte. Volevo anche toccare il discorso della negazione della cittadinanza alle seconde generazioni da parte dello Stato italiano. Secondo me è assurdo che solo a diciotto anni venga loro riconosciuto il diritto di sentirsi parte della loro casa, al loro Paese. Si tratta di un grave errore giuridico e anche affettivo. È disumano. Come io sono legata al Brasile, questi ragazzi sono legati all’Italia. Il fatto che i loro genitori siano nati in un altro paese è irrilevante per questi bambini. Anche loro sentono profondamente l’Italia come la loro patria, perché non ne conoscono nessun’altra. Che questo non gli venga riconosciuto è una ingiustizia sociale immensa. I miei figli nati in Italia sono giuridicamente italiani perché hanno un padre italiano. Questo, però, non è tutto. Loro ameranno l’Italia più del Brasile perché si tratta di un’impronta forte, quella del luogo in cui sono nati. La sviluppiamo all’inizio della nostra vita ed è innegabile che resti per sempre. Sei attivamente legato a essa come ad un genitore, nel bene o nel male. Sono i primi insegnamenti della tua vita, che non possono essere riprodotti da nessun’altra parte. È una questione affettiva, non è razionale. Ho visto un documentario molto bello su un gruppo di esiliati politici brasiliani che avevano trascorso l’esilio in Francia durante il regime militare. Erano stati brutalmente torturati prima di essere messi su di un aereo e cacciati dal paese. Un giornalista chiese loro sulle sensazioni che avevano provato durante il mondiale di calcio del ‘70. Alla fine, erano stati cacciati via da un governo che li odiava, che li aveva massacrati e accusato di anti patriottismo. Risposero che mentre guardavano la finale del mondiale erano molto confusi: non sapevano se tifare per il Brasile oppure no. Ad ogni gol del Brasile trattenevano l’urlo di gioia e chiudevano i pugni dalla rabbia. Alla fine della partita si sono abbracciati piangendo per il successo brasiliano. Come brasiliana e come scrittrice sento il dovere di trasmettere al mondo quale sia la vera realtà vissuta dal mio popolo oltre gli stereotipi, anche di genere, che ci hanno appioppato i regimi militari.Parlando della tua identità, ti senti più brasiliana o più italiana?
Per quanto riguarda il tema dell’integrazione e discriminazione, come è stato il tuo primo periodo in Italia? Hai vissuto delle ingiustizie nei tuoi confronti come straniera?
Secondo me il vero razzismo italiano deve ancora emergere. Quando professioni prestigiose verranno occupate sempre di più da persone non bianche il gioco si farà ancora più duro. Sono certa che questo fenomeno avverrà anche qui, come è già successo ad esempio in Brasile e negli Stati Uniti. Qui c’è ancora l’idea che gli immigrati vengono per fare solo i lavori che gli italiani non vogliono svolgere, ma quando i figli dei migranti inizieranno a svolgere gli stessi lavori o cominceranno a diventare una forte presenza politica, quali saranno le reazioni? Quindi, ci sono una serie di situazioni non ancora esplose. Per questo vedo persistere più provincialismo che razzismo nella società italiana. Dobbiamo prepararci emotivamente e con intelligenza al momento in cui i razzismi esploderanno. La destra cercherà con tutte le sue forze di schiacciare i tentativi dei migranti di emergere . Ancora è raro vedere come dipendenti delle Poste persone nere o asiatiche, vederle come conducenti sugli autobus… è rarissimo nella società italiana e quando accade causa un effetto WOW che può andare in due direzioni. Per il momento, questa assenza rispecchia bene la forte arretratezza italiana rispetto alle altre società.Con il tuo primo libro, una raccolta di brevi racconti intitolata Storie di extracomunitaria follia (Mangrovie edizioni, 2009) cosa intendevi essenzialmente?
La dipendenza affettiva del figlio maschio nei confronti della madre, in questo caso di una madre castrante, convinta che nessuna donna sarà mai all’altezza del proprio figlio, di una madre che soffoca i suoi figli con il suo “troppo amore” e che, agli occhi di questi figli, diventa l’unica vera donna delle loro vite, è il cuore del romanzo. Nel romanzo i figli crescono e diventano uomini che però non riescono ad essere né mariti né amici né zii né padri… insomma, sono solo figli! Con questo romanzo ho voluto allontanarmi dal tema dell’immigrazione per paura di restare ingabbiata in un unico canone tematico. Nel terzo romanzo Anatomia del maschio invisibile, ripubblicato con il titolo Biografia non autorizzata di un marito narcisista c’è anche qui una sezione autobiografica, ma è tutto ambientato a Roma. In questo romanzo cerco di fotografare il modo in cui un uomo narcisista riesce, unicamente attraverso la parola, solo con il “dialogo”, a dominare all’interno della coppia e a danneggiare l’autostima della persona che ha accanto di modo irreversibile. Attraverso le parole, i non detti e le menzogne, senza fare uso della violenza fisica ma “solo” della violenza psicologica, un narcisista può scombussolare la psiche di chiunque lo stia ad ascoltare. Per parlare del Brasile, invece, ho scelto la saggistica. Come ci tengo a raccontare la realtà del mio paese, romanzarla mi sembrava un escamotage commerciale. Mi hanno sempre chiesto “ma perché non racconti la tua vita in Brasile? Perché non ti racconti in prima persona senza filtri?”. Il punto è che quando mi metto a scrivere su di me, mi vengono talmente tante sensazioni, tante emozioni, che a volte non riesco a proseguire. Sono consapevole dell’importanza di trascrivere le mie esperienze personali. Penso che sarà un passaggio obbligatorio. Non accadrà a breve, perché ci sono tanti episodi difficili da percorrere, iniziando da mia madre che era molto violenta, da noi bambini che dovevamo sempre mentire a mio padre quando notava certi ematomi sulla nostra pelle… Insomma, dovevamo dire che eravamo cadute o che avevamo litigato tra noi sorelle perché, altrimenti, partivano discussioni violente tra di loro e, di conseguenza, ci sentivamo sempre in colpa. Oramai sono trascorse quasi tre decadi, ma non mi sento ancora pronta. Poi mi chiedo: ma a chi potrebbe interessare la mia storia, come reagirebbero le persone dopo aver letto tutte le situazioni pesanti contenute nel libro? Dall’altra parte, però, mi dico che la mia realtà coincide con la realtà di milioni di bambini non solo brasiliani, ma anche italiani. Ci sono milioni di adulti che vivono in condizioni precarie, affettivamente parlando, senza sapere bene il perché. La famiglia uccide più della mafia qui in Italia, così ci dimostrano i dati forniti dalle questure. Negli ultimi vent’anni il paese ha perso 30.000 bambini uccisi per mano di un genitore. Si tratta di un’ecatombe della quale nessuno parla, non vuole parlare e ancor meno pubblicare. Sento di essere chiamata a scrivere la mia storia proprio per queste ragioni, anche se per ora mi manca il coraggio.Come ebbe inizio il tuo percorso come scrittrice? La tua formazione era basata sul diritto. Hai abbandonato il tuo percorso da avvocatessa?