J ohn Merril Olin, un grande imprenditore americano, apre il giornale una mattina del 1969 e ci trova delle terribili foto di militanti neri che entrano, “fucili in mano e cartucce a bandoliera – nel rettorato dell’ateneo in cui lui aveva studiato da ragazzo, la Cornell University”. Indignato, sconvolto davanti a quell’occupazione, l’imprenditore recupera la fondazione che porta il suo nome e la consacra all’obiettivo di “riportare le università all’ordine”. Nei 36 anni successivi, la fondazione Olin distribuirà “fondi per più di 370 milioni di dollari alle cause del liberismo estremo”. Due incisi. 1) La Olin corporation vendeva soda caustica, defolianti per l’esercito, armi e munizioni; 2) secondo il sito di Cornell, “members of the Afro-American Society (AAS) occupied Willard Straight Hall to protest Cornell’s perceived racism, its judicial system and its slow progress in establishing a black studies program”. È solo il primo assaggio di una controffensiva degli imprenditori contro le forze che minacciano il sogno americano.
Per una vita migliore grazie ai defolianti
Due anni dopo, la Camera di Commercio degli Stati Uniti riceve un memorandum da tale Lewis F. Powell Jr., avvocato “specializzato nella difesa delle industrie del tabacco”. Il suo memorandum confidenziale si intitola: Attacco al sistema americano di libera impresa. Non ci sono solo gli estremisti col fucile e i militanti socialisti: la American Way of Life è minacciata anche dai moderati. “Le voci più inquietanti che si uniscono al coro delle critiche vengono da elementi rispettabili della società: dai campus, dai college, dai pulpiti, i media, le riviste intellettuali e letterarie, le arti, le scienze, i politici.” La società sta andando a sinistra, la New Left è capace di “radicalizzare migliaia di giovani”, ma la cosa più preoccupante di tutte è “l’ostilità dei liberals rispettabili e l’influenza dei riformisti. È la somma totale delle loro opinioni e influenze che potrebbe fatalmente indebolire e distruggere il sistema”.
Il memorandum contiene anche una cosiddetta “descrizione agghiacciante di quel che viene insegnato nei nostri campus”. I poveri imprenditori americani sono assediati da ogni parte dalle forze anti-sistema sprigionate dalla fioritura culturale ed economica del secondo dopoguerra. “Non si esagera se si dice che, in termini di influenza politica rispetto all’attività legislativa e di governo, il dirigente d’impresa americano è davvero l’‘uomo dimenticato’”. Mi diverte menzionare qui che l’autore del memorandum in quel momento fa parte del consiglio di amministrazione di Philip Morris e diventerà giudice della Corte Suprema due mesi dopo. Per far capire da che punto di vista scriveva di uomini dimenticati.
È il momento, secondo Powell, che gli imprenditori facciano qualcosa di contro-intuitivo: si dovrebbe “condurre una guerra di guerriglia [guerrilla warfare] contro chi fa propaganda contro il sistema cercando insidiosamente e costantemente di sabotarlo”. I “portavoce del sistema dell’impresa” devono diventare “molto più aggressivi che in passato”. In primo luogo devono puntare alla conquista delle università, perché “è il campus la singola fonte più dinamica” dell’attacco al sistema dell’impresa. Il fatto è che poi i laureati vanno a lavorare nei mass media, nel governo, nelle scuole, nell’editoria. Bisogna cambiare la loro testa perché le loro idee non operino poi contro gli interessi dell’impresa.
D’Eramo sa individuare storie forti, le sa raccontare con tale dettaglio e intelligenza da poter influenzare profondamente le idee di chi legge.
Il nome a questa “guerra di guerriglia” lo darà qualche anno dopo un presidente della Fondazione Olin, William E. Simon, già ministro del Tesoro per Nixon: counter-intellighentsia, concetto ispirato alla nozione militare di counter-insurgency. La spiegazione: “le idee sono armi – le sole armi con cui altre idee possono essere combattute”.
Guida perversa all’ideologia
Per raccontare Dominio, il nuovo saggio Feltrinelli di Marco D’Eramo, saggista e collaboratore di New Left Review e MicroMega, ho cominciato da due delle storie da cui parte. Come per gli altri suoi saggi importanti (i due classici Il maiale e il grattacielo e Il selfie del mondo), D’Eramo sa individuare storie forti, le sa raccontare con tale dettaglio e intelligenza da poter influenzare profondamente le idee di chi legge.
D’Eramo è un Lao Tze dello storytelling. La sua è un’arte della guerra ideologica. Ha un modo raffinato di occupare, come insegna Lao Tze, il posto disponibile nel campo di battaglia, che sia lo Yin o lo Yang, il campo aperto o le spalle al muro. Se la sinistra ha perso e deve occupare la parte debole del campo di battaglia, D’Eramo fa leva sulla forza del liberismo militante, l’avversario principale della sinistra, la usa per ridare forza al pensiero di sinistra. Onorando l’intelligenza dell’avversario – D’Eramo detesta l’atteggiamento di sinistra di trattare sempre gli avversari come degli stupidi – ne sfrutta la forza e la fa sua.
Per questo motivo ho provato frustrazione davanti al modo in cui il libro è stato recensito. Si fa troppo facilmente il riassunto, come se si dovesse imparare più il ritornello che le strofe. La forza non sta sul ritornello: hanno vinto i cattivi. Su Left, Daniele Barbieri introduce dicendo: “Fra tante guerre, aperte e sotterranee, la più importante degli ultimi 50 anni è stata resa invisibile. È quella dei padroni contro i sudditi”; e su Internazionale, Michael Braun di Die Tageszeitung: “Da quarant’anni il neoliberismo si è affermato, ormai quasi incontrastato, come la religione civile che a livello globale governa l’economia, le società e la politica”. D’Eramo racconta “l’offensiva ideologica, alla fine vincente, orchestrata da ricchissime fondazioni statunitensi, finanziate da grandi capitalisti del midwest, portata avanti per convincerci che non esistono capitalisti e operai, sfruttatori e sfruttati, ma soltanto ‘imprenditori di se stessi’, che siano miliardari o profughi su una barca diretta a Lampedusa”.
Onorando l’intelligenza dell’avversario – D’Eramo detesta l’atteggiamento di sinistra di trattare sempre gli avversari come degli stupidi – ne sfrutta la forza e la fa sua.
È tutto vero, ed è giusto dirlo se si scrive di questo libro, ma visto che ogni aspetto della comunicazione è guerra tra ideologie, guerra di framing e di narrazioni, anche parlare di un libro tanto dettagliato cedendo al ricatto della concisione e del riassunto vuol dire darla vinta all’avversario. Marco Bascetta sul manifesto secondo me fa un lavoro migliore prendendosi lo spazio per i dettagli, tanto più convincenti dei riassunti: “Il premio Nobel per l’economia, inventato di sana pianta dalla Banca centrale svedese nel 1968, nella seconda metà degli anni Settanta promuove a ripetizione i monetaristi della scuola di Chicago discepoli dell’ultra-liberista von Hayek, a partire da quel Milton Friedman che fu ispiratore e collaboratore del golpe cileno del 1973 e della conseguente dittatura di Augusto Pinochet…” Se si accetta di far parte di una guerra ideologica, e per il manifesto è così, si può combattere a viso aperto e riconfigurare le associazioni mentali dei lettori per esempio accostando scandalosamente i nomi Nobel e Pinochet. Questo è combattere.
Il mio punto di vista è condiviso dall’esercito americano, che, come racconta D’Eramo, parla di ideologia con grande raffinatezza nel suo “manuale ufficiale statunitense di controguerriglia (counter-insurgency)” (2007, firmato dai generali David H. Petraeus e James Ames). Per insurgency non si intende chissà che: solo le ideologie alternative a quella dominante.
“Le idee sono un fattore motivante […]. Le guerriglie [insurgencies] reclutano appoggio popolare attraverso un appello ideologico […]. L’ideologia del movimento spiega ai suoi seguaci le loro tribolazioni e fornisce un corso di azione per rimediare a queste sofferenze. Le ideologie più potenti attingono alle ansie emotive latenti della popolazione, come desiderio di giustizia, credenze religiose, liberazione da un’occupazione straniera. L’ideologia procura un prisma, compresi un vocabolario e categorie analitiche attraverso cui la situazione è valutata. Così l’ideologia può plasmare l’organizzazione e i metodi operativi del movimento”.
L’esercito americano si dimostra intelligente e preparato quanto i migliori intellettuali e le migliori riviste di sinistra: prende sul serio la battaglia delle idee, il rapporto e lo scontro fra le ideologie. “Il meccanismo centrale attraverso il quale le ideologie sono espresse e assorbite è la narrativa. Una narrativa è uno schema organizzativo espresso in forma di storia. Le narrative sono centrali nel rappresentare le identità […]” . E ancora: “La più importante forma culturale da capire per le forze Coin [counterinsurgency] è la narrativa […]. Le narrative sono i mezzi attraverso cui le ideologie sono espresse e assorbite dagli individui in una società […]. Dando ascolto alle narrative, le forze Coin possono identificare il nucleo dei valori chiave della società”.
Se si accetta di far parte di una guerra ideologica, si possono riconfigurare le associazioni mentali dei lettori, per esempio accostando scandalosamente i nomi Nobel e Pinochet. Questo è combattere.
Un esercito non deve controllare solo cosa fanno le persone con i propri corpi: deve anche monitorare cosa pensano. A nome di due generali dell’esercito americano si ragiona quindi su come i gruppi si formano e consolidano le proprie credenze, su come l’ideologia sappia dare alla vita delle comunità il tipo di racconto capace di connettere i fatti della vita dandogli un senso. È la maniera più neutra di definire l’ideologia. Il mondo si cambia cambiandone il racconto. Lo fanno tutti, ma di solito chi è al centro di un sistema fa finta che la sua non sia ideologia, cioè racconto connettivo.
Chi è al centro di un sistema al contrario parla spesso come se le ideologie fossero solo quelle degli altri, degli sconfitti. I quotidiani mainstream parlano come se esistesse da una parte un normale scambio di idee non ideologico, dall’altra le ideologie fastidiose. È un modo di ragionare ideologico, ma ha il merito di essere riuscito negli ultimi quarant’anni a far passare il mondo in cui viviamo per un mondo non-ideologico. I generali, invece, che sono i difensori dello status quo per definizione, sanno che la narrazione chiamata mainstream, chiamata sistema, va coltivata e difesa in modo che continui a essere la forma di racconto della realtà preferita dalla gran parte della popolazione.
Il padronato unito non sarà mai sconfitto
Riprendiamo il racconto. Nella sua lettera alla Camera di Commercio Powell fa una cosa che anche chi è a sinistra dovrebbe fare oggi: ruba dai suoi avversari, perfino con ammirazione: “il padronato deve imparare la lezione appresa tanto tempo fa dal movimento operaio […]. Questa lezione è che il potere politico è necessario; che tale potere deve essere coltivato assiduamente, e che, quando necessario, deve essere usato aggressivamente e con determinazione – senza imbarazzo e reticenza […]”. Dunque, per difendere gli interessi dell’imprenditore bisogna fare politica, e farla copiando i sistemi del movimento operaio. Adorabile. Geniale. È esaltante quando si trovano scritte certe cose nero su bianco. Ci dà compensazione per i milioni di articoli di giornale noiosi e generici, per i miliardi di tweetstorm capziose.
Ecco, secondo Powell, come bisogna copiare lo sforzo che ha fatto la sinistra per entrare nella politica e nell’immaginario: “…la forza sta nell’organizzazione, in una accorta pianificazione e messa in atto a lungo termine, nella coerenza dell’azione per un numero indefinito di anni, nella scala del finanziamento disponibile solo con uno sforzo congiunto, e nel potere politico ottenibile solo attraverso un’azione unitaria e organizzazioni nazionali”. Cruciale è “riequilibrare” le facoltà [qui ho il dubbio che l’inglese sia faculties, cioè i corpi insegnanti] finanziando corsi, borse di studio, dipartimenti, cattedre, libri di testo, saggi e riviste.
I quotidiani mainstream parlano come se esistesse da una parte un normale scambio di idee non ideologico, dall’altra le ideologie fastidiose.
E poi, come riassume D’Eramo, Powell “allarga il raggio all’istruzione secondaria, ai media, alla tv, alla pubblicità e alla politica, al rendere a tutti i livelli più amichevole la giustizia verso gli imprenditori. Insomma, delinea una ‘guerriglia totale’, una strategia alla von Clausewitz applicata alla riconquista dell’egemonia ideologica”.
Le proposte e l’inquadramento ideologico di Powell ricevono attenzione da “un pugno di miliardari dell’America profonda”, che si mettono, come Olin, a operare attraverso le Fondazioni. I nomi sono quelli letti anche in questi anni rispetto ai finanziamenti alle organizzazioni di estrema destra religiosa e politica, ci sono dentro i Coors, i Koch, i DeVos, ma l’aspetto più importante è la trasparenza delle loro operazioni. Scrive D’Eramo: “Sia ben chiaro che qui non stiamo parlando di nessun complotto, non c’è nessuna dietrologia, nessuna conspiracy theory: tutto avvenne alla luce del sole, i movimenti di denaro sono accessibili a chiunque su bilanci ufficiali scaricabili in rete”.
Perché a essere invisibile è l’ideologia, che è ciò che lega tutti i movimenti. In un mondo dove non si considera l’ideologia, tutto appare cospirazione, anche ciò che non ha niente di segreto, perché l’ideologia dell’anti-ideologia impedisce di leggere i nessi espliciti tra certi fatti, spingendo la mente, che spontaneamente cerca nessi (d’altronde l’ideologia serve proprio a fornire nessi stabili), a cercarne di folli: ed ecco i rettiliani, QAnon e così via. Siccome parliamo di ideologia e non di complotti per paranoici, e siccome D’Eramo ci invita a rispettare l’intelligenza del nemico, procediamo a unire le cose che si possono unire senza diventare dei pazzi col cappello di stagnola fatto in casa.
Nel 1976, un giovane, Richard Fink, destinato poi a dirigere le fondazioni dei Koch, consegna a Charles Koch The Structure of the Social Change, dove spiega che “l’investimento nella struttura della produzione delle idee può fruttare maggiore progresso economico e sociale quando la struttura è ben sviluppata e ben integrata”.
In un mondo dove non si considera l’ideologia, tutto appare cospirazione, anche ciò che non ha niente di segreto.
Bisognerebbe dunque seguire una strategia economica in tre fasi per la “produzione e vendita di idee”: prima investire “in materie prime intellettuali” finanziando le università. Queste materie prime indigeribili al pubblico devono poi “essere trasformate in una forma più pratica e maneggevole” pagando i think tank. “Ma mentre i think tanks eccellono nello sviluppare nuove politiche e nell’articolare i loro benefici, sono meno capaci di produrre cambiamento. Movimenti di base sono necessari nell’ultimo stadio per prendere le idee dai think tanks e tradurli in proposte che i cittadini possono capire e su cui possono agire.”
In sintesi, nelle parole del magnate Charles Koch: “Realizzare un cambiamento sociale richiede una strategia integrata verticalmente e orizzontalmente”, che deve andare dalla “produzione di idee allo sviluppo di una politica all’educazione, ai movimenti di base, al lobbismo, all’azione politica”.
Queste sono solo le prime pagine del fantastico libro di Marco D’Eramo, e il resto è altrettanto ricco di dettagli e di storie. La storia della diffusione delle idee pro-corporation è secondo lui la storia di una vera rivoluzione, che una volta realizzata a forza di finanziamenti strategici (e per strategici personalmente intendo geniali, al netto della puzza di zolfo) si può diffondere a tanti livelli della vita pubblica. Il portato più importante da segnalare nel momento in cui ci troviamo è forse la popolarizzazione dell’idea che lo Stato faccia male le cose e dunque sia meglio privatizzare il più possibile. Il voucher, per dire, oggi svetta in tutta la sua potenza ideologica, come agile strumento che serve a dirottare il denaro delle tasse dalla spesa pubblica al consumo privato. Siccome l’ideologia dice che il settore pubblico è senza speranza e vittima perenne di corruzione e inefficienza, la scuola e la salute e il lavoro possono spostarsi sempre di più dallo stato senza che il popolo si accorga che ciò vuol dire smantellare quella struttura che è la sola ricchezza di chi non ha un patrimonio personale. È un patrimonio che si disperde in una massa di consumi privati, rendendo impossibile la progettazione collettiva: lo scopriamo in pandemia rispetto alla frammentazione e privatizzazione della sanità.
D’altronde “fu grazie all’azione dei think tanks conservatori che l’idea di uno stato ‘frugale’ fu venduta con successo al pubblico e all’elettorato americano”. “L’attacco allo stato si dispiegò attraverso migliaia di trasmissioni tv, programmi radio, articoli, tutti abbondantemente foraggiati dalle fondazioni conservatrici e alimentati dai loro think tanks che si specializzarono nel finanziamento di libri a metà strada tra il trattato accademico e il pamphlet ideologico”. Un testo chiave è Losing Ground: American Social Policy 1950-1980 (1984) , scritto da Charles Murray, intellettuale finanziato dalle fondazioni Olin, Bradley e Smith Richardson. “La sua tesi è che tutti i programmi sociali varati dallo stato Usa abbiano accresciuto la povertà, invece di alleviarla, perché creerebbero incentivi a comportamenti miopi che a lungo termine imprigionano nella povertà…”
D’Eramo racconta le vere, entusiasmanti storie dei vincitori della guerra ideologica interna all’occidente per far tornare la voglia di avventura agli sconfitti.
D’Eramo racconta le vere, entusiasmanti storie dei vincitori della guerra ideologica interna all’occidente. Non ci dà solo le parole d’ordine a cui siamo assuefatti, ma tanti appigli storici e narrativi cui ancorare la rabbia e la voglia di cambiamento. Non predica, ma avvince con il suo romanzo realista fatto di archivi e libri fuori catalogo. Da quella polvere fa riemergere l’avventura dei vincitori per far tornare la voglia di avventura agli sconfitti.
La sinistra deve superare la spocchia delle case al mare e delle vittorie morali, del buon senso e dell’olismo culturale. Deve godersi la Storia. Non è possibile che un intellettuale di sinistra oggi sia meno intelligente dei generali americani: “i generali dei marines autori del Manuale riprendono … le due tesi fondamentali che aveva espresso il filosofo marxista francese Louis Althusser cinquant’anni fa: a) ‘L’ideologia è una rappresentazione del rapporto immaginario degli individui con le proprie condizioni reali d’esistenza’; b) ‘ogni ideologia ha per funzione quella di costituire gli individui in soggetti’ (nel caso del Manuale in ‘soggetti dell’insurrezione’)”.
Per D’Eramo “noi comunque ci portiamo dentro un’ideologia, che lo vogliamo o no. È per questo che nessuno può dire la frase ‘io non sono ideologico’. Quando non aderisci volontariamente a un’ideologia (a una religione), vi aderisci involontariamente, ‘respiri’ ideologia”. Ripartiamo per lo meno da questo, non accontentiamoci di meno.